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Perché i banchieri devono tornare a leggersi il modulo 253 di Malagodi e Mattioli
Quali sono i veri motivi che hanno fatto deflagrare le quattro banche (Etruria, Marche, CariFerrara, CariChieti), commissariate poi dalla Banca d’Italia? Al di là di acquisizioni di altre banche locali a prezzi da capogiro – che hanno caratterizzato in particolare Banca Etruria – per le altre banche locali la causa determinante sta nell’incapacità di valutazione del merito di credito.
I sette anni di recessione avrebbero ammazzato anche un cavallo. Molte imprese hanno chiuso i battenti non per incapacità ma per la più lunga crisi dal dopoguerra. Se la Germania avesse avuto il calo della produzione industriale che abbiamo avuto noi, il sistema bancario tedesco sarebbe messo ben peggio di quello che è, considerando che ha beneficiato di aiuti di Stato ingenti (240 miliardi, dal 2007 al 2013).
I casi osservati italiani, però, sono anche la dimostrazione di una sempre più evidente difficoltà per queste banche commerciali a distinguere le aziende meritevoli di credito dalle altre e a sostenere la crescita delle imprese.
Le sofferenze di Banca Etruria pari a un terzo degli impieghi sono l’elemento che induce a riflettere sullo stato dell’arte della selezione del credito. Gli intermediari creditizi non sono stati in grado in modo efficace ed efficiente di accumulare, estrarre e catalogare le informazioni più rilevanti sulla capacità di rimborso delle imprese. E quindi non distribuiscono alla rete commerciale le indicazioni necessarie per lavorare a favore delle imprese meritevoli. Spesso ci si focalizza sui dati di bilancio passati e non si concentra l’attenzione sulle prospettive future, che sono quelle che contano.
Sarebbe interessante sapere se Massimo Bianconi, per anni direttore generale di Banca Marche, abbia mai letto il volume di Giovanni Malagodi “Dalla crisi allo sviluppo. Scritti per la riorganizzazione delle filiali Comit 1934-35” (a cura di F. Pino e F. Gaido), edito da Nino Aragno, mirabile editore di libri introvabili e impossibili. In questo volume sono raccolti i testi e i resoconti di quanto Malagodi – tra i maggiori collaboratori di Raffaele Mattioli – fece per la riorganizzazione della struttura della Banca Commerciale Italiana a metà degli anni Trenta.
Nell’introduzione si legge: “Ai fini della storia bancaria appaiono formidabili per la logica stringente, ‘a maglia stretta’ – le routine ideate da Malagodi per impostare e uniformare, nelle filiali, attività professionali quali lo sviluppo della clientela, media e piccola, e l’analisi del ‘merito di credito’. Il culmine è ritenuto il modulo 253, questionario per l’analisi dei clienti richiedenti i fidi, steso in ventiquattr’ore da Malagodi, e più tardi emulato nella sostanza dalla altre banche italiane”.
Come era stato disegnato il modulo 253? Secondo Malagodi – i cui solidi riferimenti erano Giovanni Giolitti, Benedetto Croce, Raffaele Mattioli e Luigi Einaudi – il questionario era “un’esposizione sistematica di come si debba studiare un credito ordinario e determinarne la validità, la liquidità e la redditività per la banca che lo concede”. Il nuovo metodo si basava sull’estensione temporale e qualitativa delle informazioni da considerare per la corretta valutazione del cliente e della sua richiesta.
Malagodi estese l’analisi del bilancio da due a tre anni, così da “determinare se miglioramenti o peggioramenti della liquidità abbiano carattere di eccezione o rappresentino una tendenza persistente”. Malagodi e Mattioli invitavano la struttura della BCI a dare rilievo anche agli elementi di natura extracontabile. Lo scopo era di considerare ogni azienda “come un’entità viva e quindi in movimento, e quanto meno possibile una cosa morta ed immobile”. Malagodi suggeriva di procedere a un’attenta analisi, per poi arrivare alla sintesi attraverso un “giudizio ragionato”, per il quale sono indispensabili anche le “attitudini naturali […] e quella particolare sensibilità che si può acquistare solo con esperienza lunga e molteplice”.
Al termine dell’ispezione della Banca d’Italia in Banca Etruria conclusa il 18 marzo 2013, nella relazione furono contestate “carenze nella funzionalità degli organi e nel sistema dei controlli con significative ricadute sulla qualità del portafoglio crediti, sulla redditività e sul patrimonio di vigilanza”. Le sanzioni emanate furono pari a 2 milioni e mezzo di euro. In un altro passaggio gli ispettori scrivono: “Non è stata approfondita la convenienza della banca nel compiere le operazioni, nè effettuato un confronto tra le condizioni applicate e quelle di mercato”.
Inoltre, una volta deliberato il finanziamento, lasca era l’attività di reperimento delle garanzie accessorie. Secondo la Banca d’Italia, 9 volte su 10 le le fidejussioni rilasciate dai garanti per ottenere i fidi erano “prive di efficacia ai fini del recupero, anche a causa del monitoraggio sui beni degli stessi”. Per cui si recuperava in teoria la garanzia, poi il garante la trasferiva a terzi, e così la banca non poteva più escuterla.
Chissà se in Banca Etruria quando si procedeva al finanziamento della Privilege Yard S.p.a si è fatto riferimento a Malagodi, al “modulo 253” e al “giudizio ragionato”? Crediamo proprio di no. E pensare che la società guidata dal “finanziere internazionale” Mario La Via era pronta a costruire il panfilo più lussuoso del mondo per Angelina Jolie e Brad Pitt. Niente yacht, ahinoi, solo un buco clamoroso per la capofila del finanziamento Banca Etruria, che evidentemente ha scelto di finanziare La Via su basi relazionali, quelle che hanno condotto la banca al dissesto e poi, infine, al commissariamento.
Twitter @beniapiccone