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I manager sono ancora mega direttori galattici senza paura?
L’autore del post, Silvano Joly, torinese, guida Syncron in Italia e Spagna. Manager per Innovation Leader come PTC, Reply, Sap, Dassault Systemes e Centric Software, ha lavorato anche con Aziende pre-IPO, start up e collabora con varie Università Italiane. Mentore pro-bono di start-up high-tech è da sempre amico della Piccola Casa della Provvidenza (Cottolengo), il più antico istituto dedicato all’assistenza di persone con gravi disabilità –
Abbiamo vissuto in un mondo dove i manager, dirigenti in Italiano, erano come gli antichi Cavalieri “senza macchia e – soprattutto – senza paura”. Forse per il ruolo, la cravatta, lo stipendio ed i bonus, l’automobilona aziendale e gli altri status symbol, in molti li pensavamo invincibili ed al di sopra delle emozioni, concesse invece ai loro Collaboratori. Indipendentemente dal genere, li/le si immaginava eterei, astratti: come i mega direttori galattici della saga fantozziana, dotati di superpoteri come l’Uomo Ragno, astuti come Diabolik, custodi di segreti come Severus Piton…
Pensateci: interviste, video, lectio magistralis di grandi e piccoli manager, dal compianto Marchionne ai vari Guru Americani, mostravano superuomini o superdonne impavidi, dotati di coraggio e capacità di controllo assoluti. Ancora nel febbraio 2020, in vista del Covid19, il messianico Re del Cashmere, Brunello Cucinelli, ci diceva “Perché avere paura? A breve torneremo a stringerci le mani e a sorridere” mostrando sicumera, ottimismo e fiducia nel momento in cui il mondo intero cadeva nel panico. Insomma: “Niente paura siamo Manager!”
A due anni dall’Eclisse Covid19 e di fronte a una nuova fonte di enorme preoccupazione, l’aggressione della Russia ai danni dell’Ucraina e le minacce all’Europa in risposta alle sanzioni economiche e finanziarie, le cose sembrano essere davvero molto cambiate: già nel giugno 2020 un’indagine della società di consulenza strategica Lenovys – 80 domande a 500 imprenditori e manager rappresentativi di aziende di ogni dimensione – ha dato evidenza al fatto che i manager delle aziende italiane temevamo di non essere all’altezza della gestione di una situazione difficile e complessa come quella del “primo” post Covid.
Nello studio oltre l’87% degli intervistati risposero di non ritenere “le proprie capacità di leadership e manageriali non all’altezza nella gestione e motivazione dei collaboratori”.
I Manager iniziano ad ammettere di avere paura, non per il business, il mercato o la concorrenza ma di fronte ad una nuova ed inaspettata dimensione della paura stessa. Che a sua volta è diventata diffusa e “pandemica”. Per “fare coraggio” ai dipendenti non bastano più emozioni positive, speech brillanti, slogan da sfoderare al Kick Off annuale e alle Quarter Review: resilienza, entusiasmo, positività, afflato creativo anche i “cazziatoni” sono improvvisamente meno utili di un tempo.
Prima della Pandemia, la paura era “solo” uno dei tanti problemi da gestire, ma restava limitato, almeno numericamente, a poche unità in azienda. Chi la provava se la doveva gestire, veniva anche isolato dai suoi Colleghi, che temevano il contagio della sua stessa paura. Il Manager di turno sapeva chi fossero i suoi collaboratori “paurosi”, li gestiva come possibile magari con con incarichi ad hoc compatibili con il suo stato d’animo.
La “Paura 1.0”, quella pre-Covid era gestibile sia a livello personale che aziendale: quasi sempre si trattava di Ergofobia, ansia da lavoro e paura di sbagliare, chi ne soffriva viveva in uno stato di ansia al lavoro, per la paura di sbagliare, che poteva condurre a conseguenze negative, dolorose per chi ne soffriva ma quasi mai disastrose per l’Azienda. Anche se si conoscono casi tragici come quelli in Carrefour in Francia, la paura si poteva persino usare come strumento di gestione. Magari ispirandosi a Napoleone: “Ci sono due modi per far muovere gli uomini: l’interesse e la paura”. O al grande Totò: “Il coraggio non mi manca. È la paura che mi frega”.
Esistevano buone pratiche, come l’arcinoto mantra The 7 Habits for Higly Effective People datato 1989, con il quale Franklin Covey spiegava efficacia manageriale e ampliamento della sfera di influenza anche con team timorosi:
1. “Be proactive”
2. “Begin with the end in mind”
3. “Put first things first”
4. “Think win–win”
5. “Seek first to understand, then to be understood”
6. “Synergize”
7. “Sharpen the saw”
Modelli del tutto obsoleti nel 2022: la paura che un tempo era una forma semi-patologica oggi ha forma di un’altra pandemia. Sono nati nuovi e numerosi tipi di paura: di riprendersi il Covid se si torna in ufficio, di perdere il lavoro se si continua con lo smart working; di viaggiare e prendere il metro e di fare le riunioni; di non vendere e di non riuscire a lavorare se non si possono fare le riunioni; di far ammalare i dipendenti se si fa una cena aziendale, di vedere i dipendenti infelici se non si fanno eventi aziendali e così via.
Siamo arrivati ad un punto – in parte causato dai media e da mille news più o meno fake – che rende ogni paura a suo modo ragionevole. Così, anche se la propria è in assoluta contraddizione con l’altrui paura, ognuno si tiene e difende la sua personale paura. Probabilmente anche i manager hanno avuto anche paura, come tutte e tutti noi, lo ha spiegato anche Darwin: la paura la vediamo negli altri ed in noi stessi.
Ma nel mondo aziendale ed organizzativo un tempo essa era inconfessabile e segreta perchè “emotiva” e quindi i Manager – seppur avendone – la negavano. La potevano gestire con un buon Business Plan, dei bravi Collaboratori, una rigorosa execution. Dopo due anni di paura assoluta, nel limbo del Covid la “paura” emerge e si propone come problema e limite e può dare anche distorsioni cognitive, può far prendere cattive decisioni, mettere in atto comportamenti a livello relazionale che possono avere effetti gravi sui Clienti, in una trattativa, nei confronti dei collaboratori, dei fornitori.
Pensiamo ai fenomeni YOLO e Great Resignation, già discussi in agosto su Econopoly, del tutto nuovi e causati da una nuova paura: quella di perdere tempo lavorando. Un fenomeno che ha assunto dimensioni significative tanto da far attuare alle HR delle grandi aziende veri e propri piani di ritenzione del personale su larga scala.
Un vero grande nuovo problema. Che fa paura!
Ho pensato di parlarne a Andrea Pietrini, chairman di YOURgroup e autore di “Fractional Manager” – Una nuova professione per aziende che evolvono – al quale ho chiesto: “Ma tu avevi paura un tempo? Ed oggi anche hai altre e nuove paure? Come le gestisci e come suggerisci di gestire quelle di una squadra aziendale?” Ecco la sua risposta”.
“Bella domanda! Io ho sempre visto la paura anche come un’emozione positiva, utile per prendere decisioni più avvedute; d’altra parte, nei millenni, abbiamo sviluppato questo stato emotivo per sopravvivere. Sicuramente non l’ho mai negata, in quanto ho sempre prediletto un modello manageriale empatico, del dubbio piuttosto che della certezza acritica. Ora le paure sono di più perché il contesto è più incerto e volatile a tutti i livelli (sanitario, economico, sociale, aziendale…) ed è l’incertezza a creare paura… si teme l’ignoto, non la routine, che al massimo fa ‘morire’ di noia! A livello di team aziendale, le paure andrebbero affrontate, da un lato, con estrema razionalità, chiedendosi: che cosa succederebbe se… E analizzando con l’aiuto dell’intelligenza collettiva, le conseguenze reali di un’azione o di un comportamento anche in termini probabilistici, senza farsi trascinare dalle emozioni negative, dall’altro, avendo sempre un piano B o C, nel caso si dovesse incappare nel worst case. Questo allenta molto la tensione e fa prendere decisioni più serene anche in un contesto incerto“.
Temi molto importanti che ho sottoposto ad un altro “Manager senza macchia e senza paura”: Filippo Calenti, CEO & Founder di Measmerize la “next big thing” che rivoluziona la scelta della taglia di abiti e scarpe usando l’intelligenza artificiale, così che il cliente non abbia più “paura” di sbagliar taglia!
“Filippo, tu nel 2018 con coraggio e determinazione hai lasciato una confortevole posizione nell’ufficio del CEO di Montblanc per aprire la tua startup. Allora hai avuto paura? Oggi ne hai ancora? E se sì, è simile o diversa e come la gestisci?”. Ecco cosa mi ha detto: “Non sono sicuro di poter fare da ‘poster child’ del coraggio imprenditoriale. Il passaggio da Manager ad Imprenditore per me è stato accelerato da motivi personali, mio padre aveva un tumore terminale e decisi di lasciare il lavoro (di cui ero innamorato!) per passare davvero con lui i suoi ultimi mesi. Quel periodo mi ha però dato il tempo e focus per accelerare quello che era un progetto embrionale, che oggi è diventato Measmerize. Pensando però alla mia relazione attuale con la paura, posso dire senza vergogna di essere un fifone. Non mi abbandona mai. Siamo una start-up ancora giovane, ed il fallimento totale è sempre dietro l’angolo. Ho ormai abbandonato qualunque speranza di vivere senza paura. Cerco semplicemente di conviverci, e di usarla in maniera costruttiva. Se è un rischio esterno, fuori dal nostro controllo, è inutile angosciarsi e concentrarsi sugli impatti catastrofici. Cerchiamo piuttosto di capire come potrebbe concretizzarsi quel rischio, e di mettere in piedi un piano di contingenza. Una volta fatto tutto il possibile, cominci a sentirti pronto ad affrontare l’evento, e la paura non diventa più paralizzante”.
“Per quanto riguarda invece la paura di eventi all’interno della sfera individuale di controllo, credo sia importantissimo gestirla tramite la cultura aziendale. Il rugby mi ha insegnato il valore della responsabilità individuale nei confronti del collettivo, e gli anni in Boston Consulting Group l’importanza dei dati e di essere backuppati. Ho cercato di improntare entrambi questi aspetti sulla nostra cultura aziendale. Con questo approccio cerchiamo di azzerare la paura di fallire, che per una start-up è mortale. I confronti avvengono in maniera diretta, azzerando il peso della seniority e focalizzandosi sulla bontà dell’argomento. Questo permette ai più junior di acquisire sicurezza, non devono avere più fiducia in se stessi bensì nello sforzo che hanno fatto per produrre un analisi. A sua volta chi deve prendere una decisione lo fa conscio di aver testato più scenari di quelli che riuscirebbe ad immaginare individualmente.
“Una volta presa una decisione – conclude Calenti – cerchiamo nuovamente di mitigare la paura rimuovendo il tabu del fallimento. Lavoriamo quotidianamente su sfide con pochi precedenti, e quindi falliamo quotidianamente. L’importante è vivisezionare il fallimento per capire cosa è andato storto, quali assunzioni erano errate, e cosa dobbiamo imparare per il futuro.Così facendo l’unica paura che dovrebbe rubarti sonno la notte, è quella di non esserti allenato abbastanza e così facendo di aver tradito gli sforzi dei tuoi compagni di squadra”.
Spunti davvero interessanti e consapevoli di Manager e Imprenditori, che ho scelto nella mia cerchia di amicizie e relazioni personali, ma che sono rappresentativi e che danno un’immagine ed uno status diverso, forse meno “vincente”, almeno nel senso del cosiddetto edonismo reaganiano, che ha creato lo stereotipo del manager yuppie, ma certo più valido e convincente e probabilmente anche più motivante.
E ce n’è un grande bisogno: i numeri restano paurosi: 9,4 milioni lavoratori del settore privato temono per il proprio posto. In particolare, 4,6 milioni una riduzione del reddito, 4,5 milioni di dover lavorare più di prima, 4,4 milioni di ritrovarsi disoccupati, 3,6 milioni di cambiare impiego (fonte: IV Rapporto Censis-Eudaimon sul welfare aziendale).
Due anni di “paura nera” fanno entrare in scena manager e welfare aziendale che devono cambiare le relazioni e le vite in azienda. Il futuro fa paura, ma si respira anche un clima di speranza e di coesione cui contribuiscono un po’ tutti: anche i Manager che – più “umani” e meno “mega direttori galattici” – forse sapranno ottenere di più dai loro collaboratori mostrando il loro lato umano e le loro naturali e comprensibili paure, accanto all’icona del “condottiero intrepido”.