categoria: Res Publica
Sicurezza e salute al lavoro. Cosa accade durante un’emergenza globale?
In un’organizzazione l’insieme delle percezioni dei lavoratori riguardo le direttive, le procedure e le pratiche in materia di salute e sicurezza costituisce il safety climate.
Si tratta della risposta collettiva alla domanda “Quanto penso sia sicuro il mio posto di lavoro?” e dipende sinteticamente da 3 fattori: l’attenzione del management alla sicurezza; le azioni organizzative per l’incolumità dei lavoratori; la presenza di rischi fisici sul luogo di lavoro. Siccome si tratta di un insieme di percezioni, i livelli cambiano nel tempo, a seconda delle circostanze esterne.
Ora la circostanza esterna che più ha inciso sull’ordinario nell’ultimo periodo è stata la pandemia per Covid-19 e, allora, ci si può chiedere come abbiano reagito i dipendenti.
Da un lato si è avuto infatti un elevato rischio di contrarre un virus anche mortale. D’altro lato, si è avuta l’imprementazione di molte misure per il contenimento del contagio all’interno delle aziende. Complessivamente si è avuta anche una mancanza di liquidità delle imprese che potrebbe suscitare il timore di una compressione dei costi per la produzione, tra cui appunto la tutela dei lavoratori.
Cosa ha rilevato la letteratura scientifica sul tema?
Uno studio pubblicato sull’International Journal of Environmental Research and Public Health ha provato appunto a rispondere, esaminando i cambiamenti nel clima sanitario, nel clima di sicurezza e nel benessere dei lavoratori prima e in due momenti successivi l’inizio della pandemia.
L’analisi è avvenuta attraverso un sondaggio anonimo di 108 elementi che esplorava la rispondenza rispetto ad asserzioni tipo “La mia organizzazione è impegnata per la salute e il benessere dei dipendenti”, oppure “La mia organizzazione utilizza tutte le informazioni disponibili per migliorare le regole di sicurezza esistenti”.
È risultato che – senza differenze significative nel numero medio di dipendenti, dimensioni aziendali, settore o regione – i punteggi sul safety climate sono rimasti stabili in tutti e tre i punti temporali.
Da queste evidenze si conclude che l’investimento in sicurezza da parte di un’azienda produce sui dipendenti un’impressione e un sistema di credenze che rimangono stabili nel tempo e resistono a pressioni anche consistenti (come sono stati gli effetti pandemici).
Lo studio citato riguarda PMI rimaste attive durante le ondate del Covid-19 e, presumibilmente, in condizioni generali tanto positive da accettare la partecipazione ad un momento di verifica dello stato di funzionamento interno).
Anche un ulteriore studio pubblicato sul Journal of Occupational and Environmental Medicine -riferito invece ad aziende che sono state oggetto ad una o più interruzioni lavorative- conferma tuttavia che le imprese con un safety climate forte riescono ad assorbire le emergenze e a mantenere il benessere dei dipendenti registrato in un’epoca pregressa.
È anche interessante capire se vi sono delle differenze tra diversi settori di attività o tra differenti funzioni gerarchiche.
I diversi settori economici e le funzioni gerarchiche
Uno studio pubblicato su Safety sull’impatto della pandemia sul safety climate nel settore agricolo ha registrato una percezione climatica della sicurezza complessivamente soddisfacente ma un valore “abbastanza basso” nella priorità accordata alla sicurezza rispetto agli obiettivi di produzione, nonostante l’impegno della direzione sui temi della sicurezza sia stato percepito come accresciuto (+9 per cento).
In più, questo studio ha rilevato che le valutazioni rispetto all’adeguatezza delle misure introdotte per Covid-19 divergono quando i rispondenti fanno parte di un diverso livello gerarchico. I dirigenti hanno una percezione sufficientemente positiva delle misure di sicurezza implementate, mentre gli operativi hanno assegnato un punteggio inferiore all’efficacia degli interventi.
Queste evidenze meritano un inciso. Il fatto che, in epoca pandemica e con tanti stravolgimenti occorsi anche nel mondo del lavoro, i lavoratori agricoli non abbiano percepito cambiamenti significativi nelle procedure di lavoro ordinarie e quotidiane andrebbe infatti compreso meglio perché, nella migliore delle ipotesi, potrebbe venire spiegato dalla natura delle attività svolte. L’agricoltura, svolgendosi in luoghi aperti e vasti, potrebbe in effetti garantire già nella normalità un sufficiente distanziamento tra i colleghi.
Vi sono studi però attestano il contrario e mostrano alti livelli di contagio e di decesso per Covid-19.
La percezione riferita dai lavoratori potrebbe originare allora da un mancato intervento protettivo nei confronti della forza lavoro intervistata e anche questo aspetto meriterebbe un’indagine ed eventualmente una serie di interventi decisivi.
Il settore agricolo – come tutto il comparto alimentare – è risultato infatti centrale dall’inizio della pandemia (e recentemente, con l’avvio dell’obbligatorietà del green pass sui luoghi di lavoro e i rischi di rallentamento dei rifornimenti). I consumi sono infatti molto aumentati, probabilmente per motivi compensativi e gli addetti sono stati esplicitamente ringraziati dall’allora Presidente del Consiglio.
In Europa, gli impiegati nel settore alimentare sono oltre 15 milioni, con quote maggiori registrate in Grecia, Polonia e Romania e l’industria alimentare è considerata tanto importante dalla Commissione europea, che, per mantenerne la competitività, vi investe con misure politiche, studi e opportunità di dialogo.
Nel 2020, solo il settore agricolo dell’Unione europea ha creato un valore aggiunto di 177 miliardi di euro e ha contribuito per 1,3 per cento al PIL comunitario.
Con l’esordio della pandemia vi sono stati molti studi per stimare il rischio di blocchi nella rete di approvvigionamento alimentare, per evidenziare la struttura delle catene di approvvigionamento più rispondenti, per promuoverne la resilienza e generalmente per evitare interruzioni.
Ciò nonostante, i lavoratori del comparto sembrano sostanzialmente dimenticati sia in epoca Covid-19 che generalmente, tanto che in una dichiarazione congiunta invece ILO, FAO, IFAD e OMS ne hanno descritto così la situazione:
“Milioni di lavoratori agricoli – salariati e autonomi – mentre nutrono il mondo, affrontano regolarmente alti livelli di povertà lavorativa, malnutrizione e cattiva salute, e soffrono di una mancanza di sicurezza e protezione del lavoro, nonché di altri tipi di abuso. Con redditi bassi e irregolari e una mancanza di sostegno sociale, molti di loro sono spinti a continuare a lavorare, spesso in condizioni non sicure, esponendo così se stessi e le loro famiglie a rischi aggiuntivi. Inoltre, quando subiscono perdite di reddito, possono ricorrere a strategie di coping negative, come la vendita in difficoltà di beni, prestiti predatori o lavoro minorile. I lavoratori agricoli migranti sono particolarmente vulnerabili, perché affrontano rischi nelle loro condizioni di trasporto, di lavoro e di vita e lottano per accedere alle misure di sostegno messe in atto dai governi”.
Tornando all’analisi dei comparti produttivi, un ulteriore studio ha invece analizzato il settore edile con un sondaggio volontario e anonimo distinto in 4 sezioni (profilo demografico, rischio percepito per Covid-19, safety climate e comportamenti di sicurezza).
È risultato che qui il rischio di sicurezza percepito per la diffusione del Covid-19 non ha avuto alcun effetto significativo sui comportamenti di sicurezza posti in atto.
Secondo i ricercatori le cause (ancora da accertare compiutamente) possono essere molteplici. O non è stata offerta un’adeguata educazione su come proteggersi dall’infezione attraverso comportamenti sicuri. Oppure i materiali necessari per proteggersi sufficientemente non sono stati forniti. Oppure, ancora, la percezione della minaccia della malattia non è stata completa da parte dei dipendenti. Oppure, infine, le risorse per inculcare un cambiamento nel comportamento non sono state sufficienti e hanno comportato così scarse prestazioni di sicurezza.
Quindi anche se le imprese (pure se PMI) riescono a mantenere consistenti livelli nel safety climate anche in periodi di crisi e in situazioni di emergenza (come sono lo sono state le fasi iniziali della pandemia per Covid-19), andrebbero però ancora realizzati degli interventi per allineare tutti i componenti delle organizzazioni verso alti livelli nella percezione della sicurezza e allineare anche tutti i settori economici.
Le linee guida e le strategie vincenti
Gli studi che hanno cercato di colmare il vuoto conoscitivo sul binomio safety climate ed emergenza offrono anche alcune linee guida per il futuro.
Ad esempio, è risultato che nel settore sanitario la percezione dei dipendenti rispetto al safety climate, il benessere e le risorse psicologiche personali spiegano oltre la metà dei comportamenti innovativi attivati dagli operatori sul posto di lavoro.
Oppure, sempre nel settore sanitario, è stato riscontrato cha la possibilità di esercitare una certa leadership rispetto alla sicurezza svolge un ruolo attivo esercitato nel promuovere alte prestazioni nell’esecuzione dei compiti e anche un’accresciuta assunzione di responsabilità in tempi di crisi.
In più, sono state realizzate rassegne della letteratura per evidenziare le strategie utili da applicare ai lavoratori in smart-working. Questa formula infatti potrebbe comportare un accesso ridotto alle informazioni e alle risorse ergonomiche e, anche, delle definizioni di ruolo sfuocate che possono nuocere sui livelli di sicurezza e di salute.
Tra l’altro, le misure di distanziamento e le turnazioni (pur motivate dal tentativo condivisibile di contenere i contagi) potrebbero anche ridurre le opportunità di confronto e condivisione dei lavoratori sui temi della sicurezza e comportare un ulteriore effetto sul safety climate che, come costrutto collettivo, è anche il risultato degli atteggiamenti e dei comportamenti adottati dai colleghi e osservati.
Le strategie vincenti suggerite dalle reazioni alla pandemia allora potrebbero riguardare il miglioramento della qualità del supporto sul posto di lavoro, oltre più in generale al ricorso alla motivazione alla sicurezza che spinge a comportamenti consoni attraverso il meccanismo di mediazione del lavoro di prevenzione. Anche l’opportunità di accumulare esperienza sul posto di lavoro e più in generale la soddisfazione lavorativa hanno una relazione positiva con il safety climate.
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Leggi anche le Ultime notizie sulla Sicurezza sul lavoro (del Sole 24 ORE)
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Riferimenti bibliografici (estratto)
Brown C. E. et al., 2021, The Importance of Small Business Safety and Health Climates During COVID-19, JOEM, 63(2), 81–88
Brown C. E. et al., 2021, Total Worker Health and Small Business Employee Perceptions of Health Climate, Safety Climate, and Well-Being during COVID-19, IJERPH, 18(18), 9702
Fargnoli M. and Lombardi M., 2021, Safety Climate and the Impact of the COVID-19 Pandemic: An Investigation on Safety Perceptions among Farmers in Italy, Safety, 7(3), 52