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Evergrande è solo l’ultima bolla immobiliare. Ecco perché la storia si ripete
Sul fallimento di fatto di Evergrande, il colosso cinese dell’edilizia, è stato detto tutto dal punto di vista della cronaca: il debito di circa 300 miliardi di dollari, i grattacieli invenduti, gli alloggi già pagati e non consegnati a un milione e mezzo di cinesi (fonte: Telegraph), i risparmi dei clienti razziati dalla divisione asset management del gruppo.
Due correnti finanziarie speculative si scontrano nell’oceano burrascoso del debito di Evergrande. Uno dei suoi bond ha una cedola dell’8% ed è arrivato a quotare 22 dollari su 100 di nominale: sui bond pesano le posizioni short assunte da fondi speculativi molto esposti in Cina, come Kynikos Capital del finanziere Chanos. I report negativi di Muddy Waters Research, del finanziere Carson Block, hanno dato il loro contributo. Tuttavia, ora che il governo cinese sta organizzando una ristrutturazione del debito, cioè un default ordinato dove le perdite vengono redistribuite agli investitori più grossi salvando i piccoli, i fondi speculativi puntano sul rialzo delle quotazioni e stanno comprando i bond.
Dunque la finanza ama ripetersi: da decenni le bolle immobiliari scoppiano sempre allo stesso modo producendo fiumi di lacrime, di ripensamenti e di “non succederà mai più”, per poi riproporsi dopo pochi anni in altri luoghi, in altre forme, ma con la stessa modalità.
Evergrande è l’ultima di queste bolle: per costruire ci vogliono capitali e la finanza è un grande lago di capitali. I costruttori vanno a pescare in questo lago, raccolgono denaro, promettono tassi di interesse e rendimenti appetitosi e poco credibili, costruiscono, e quando gli immobili sono pronti inondano il mercato. Lui, il mercato, si stordisce ed è riluttante, compra ma non troppo e comincia la crisi di liquidità del costruttore, gravato dai debiti e dall’insufficienza di cassa. Presto arriva la crisi del debito e questa tende ad autoalimentarsi perché una notizia negativa su un pezzo di debito getta ombre su tutti gli altri pezzi, con un effetto a catena che spesso porta al fallimento, come accadrebbe a Evergrande se non ci fosse l’intervento pubblico o quello di un cavaliere bianco.
I fallimenti del debito portano un moltiplicatore keynesiano al contrario: se un debitore non paga una tranche di 10 miliardi di interessi qualcuno non li riceve e non ricevendoli rinuncerà a fare le cose che avrebbe fatto con quei 10 miliardi pagando qualcun’altro, e questo qualcun’altro non ricevendoli rinuncerà a sua volta e così via. Un moltiplicatore negativo rispetto a quello dell’investimento di Keynes.
Ma per capire il caso Evergrande bisogna uscire dalla cronaca, ed entrare nella storia finanziaria e nella macroeconomia. Sullo sfondo ci sono le dimensioni della finanza rispetto all’economia reale, che le tabelle 1 e 2 ci aiutano a individuare: il totale degli asset finanziari globali, esclusi i derivati, era stimato in 153 trilioni nel 2002 e diventa 385 trilioni nel 2014 a fronte di un PIL mondiale stimato in circa 80 trilioni di dollari, un quintuplo, un rapporto non necessariamente preoccupante, ma che tende a crescere costantemente.
Questi laghi finanziari (stock) sono costantemente alla ricerca di bacini in cui riversarsi per generare rendimenti, un po’ come il vino che cerca botti buone per invecchiare e incrementare il suo valore nel tempo. Il settore immobiliare, con la sua sete di capitali costante, è un candidato ideale per una finanza sovradimensionata e la Cina, che consuma il 25% del ferro nel mondo è il Paese più esposto a questa febbre costruttiva.
Se i laghi della finanza, lo stock, hanno una capienza che supera la capienza dei barili buoni, i progetti dell’economia reale in grado di generare rendimenti sani con una congrua componente di rischio e remunerare i capitali, necessariamente la finanza si rivolgerà a barili fallati, pieni di buchi, da cui il denaro si disperderà in mancanza di basi economiche reali. È una conseguenza necessaria, e anche sana, dell’eccessiva dimensione delle variabili finanziarie su quelle reali, una specie di valvola di sfogo, senza la quale, come nelle pentole a pressione, il sistema esploderebbe.
A questa valvola danno forza gli short seller, nel loro ruolo di sentinelle dei mercati che cercano e afferrano tutte le occasioni di guadagno legate a investimenti e progetti privi di prospettive o addirittura falsati, come quelli di Sino Forest, il gigante cinese delle foreste, che si era inventata nei bilanci migliaia di ettari di alberi inesistenti per attrarre capitali. Alberi che non esistevano, come i compratori degli appartamenti nelle migliaia di grattacieli Evergrande disseminati nella grande bolla cinese.