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Cloud di Stato e dati dei cittadini, ecco i 4 nodi da sciogliere
Post di Marco Bruni, fondatore e ceo di Sourcesense e tra i fondatori del Consorzio Italia Cloud –
Il 7 settembre è stata presentata dal ministro per l’Innovazione tecnologica e la Transizione digitale, Vittorio Colao, la “Strategia Cloud Italia” ovvero il documento programmatico che spiega i tempi e le modalità per l’implementazione e il controllo del Cloud della P.A. Presenti alla conferenza anche il sottosegretario di Stato delegato alla Sicurezza Franco Gabrielli, Roberto Baldoni d.g. Agenzia per la Cybersicurezza Nazionale e Paolo de Rosa, chief Technology Officer del Dipartimento per la Trasformazione digitale.
Da quanto è emerso dalla “Strategia Cloud Italia”, entro la fine dell’anno è prevista la pubblicazione del bando di gara per la realizzazione del Polo Strategico Nazionale e, a partire dalla fine del 2022, le amministrazioni avvieranno la migrazione verso il cloud qualificato che dovrà concludersi entro la fine del 2025.
Nel frattempo in queste settimane è in corso la raccolta delle manifestazioni di interesse propedeutica alla pubblicazione del bando di gara.
Soggetti di primo piano operanti a livello nazionale, non necessariamente specializzati sul cloud, si stanno posizionando avvalendosi della collaborazione con i giganti americani leader mondiali del settore. Queste partnership si configurano come una delega alla gestione delle infrastrutture che gestiranno i dati di tutti i cittadini. Qui iniziano i problemi.
Il primo è legato alla raggiungibilità giuridica del dato. Le normative estere (come il Cloud Act statunitense del 2018) consentirebbero l’accesso ai dati delle amministrazioni e dei cittadini italiani a prescindere dall’effettiva localizzazione dei data center. Questi hanno un valore, anche commerciale, così importante che potrebbe indurre i detentori delle infrastrutture a regalare l’infrastruttura stessa o addirittura pagare pur di aggiudicarsi la fornitura.
Il secondo è legato alla natura delle infrastrutture. L’aspetto differenziante su cui i giganti americani, anche attraverso i loro partner nazionali, potrebbero spingere per imporre la propria candidatura, è la capacità di mettere a disposizione servizi altamente scalabili a livello globale. Su questo sono indubbiamente insuperabili, lo dice il mercato. Ma queste caratteristiche, uniche della loro offerta, sono veramente utili per gestire i dati delle amministrazioni e dei cittadini italiani? La risposta è chiaramente no: i dati verranno utilizzati principalmente a livello locale.
Il terzo è legato alla modalità della fornitura. L’offerta dei giganti americani è focalizzata sulla fornitura dell’infrastruttura con l’obiettivo evidente di fornirne quanta più possibile (non va dimenticato che l’infrastruttura viene tariffata a canone il quale dovrà essere pagato continuativamente anche quando gli interventi finanziati dal PNRR saranno terminati). Sebbene queste infrastrutture consentano una tariffazione pay-per-use lo stesso non vale per tutti i servizi oggi in essere nella pubblica amministrazione. Questo comporterebbe uno spreco di risorse, e quindi un maggior costo, a tutto vantaggio del fornitore di infrastrutture. Ristrutturare i servizi per adeguarli ad un consumo di risorse pay-per-use comporterebbe uno sforzo enorme di ingegnerizzazione, anche in termini economici, con tempi assolutamente non compatibili con gli orizzonti temporali del PNRR.
Il quarto è legato alle aree di intervento. Il progetto di realizzazione del cloud della PA non è critico per carenza di risorse infrastrutturali, ma piuttosto per la necessità di prevedere uno strato applicativo che consenta un’efficace federazione dei servizi esistenti erogati, anche laddove già oggi risiedono, oltre a rendere effettivamente disponibili su cloud quelli che ancora non lo sono.
Per far questo servono competenze specialistiche di tipo applicativo ed infrastrutturale disponibili sul territorio nazionale oltre a quelle già oggi operate dalla pubblica amministrazione. È in questa prospettiva, forti dell’eccellenza delle proprie competenze, che realtà italiane – anche dal punto di vista della proprietà – hanno deciso di manifestare il proprio interesse al ministro della Transizione Digitale attraverso la costituzione del Consorzio Italia Cloud. I fondatori hanno aperto le loro porte ad altre imprese pubbliche e private e/o a settori di ricerca accademica, tutti rigorosamente italiani anche nella proprietà, che vogliano contribuire alla realizzazione del cloud della PA con l’obiettivo ultimo di garantire allo Stato il mantenimento della sovranità digitale su tutti i dati delle amministrazioni e dei cittadini italiani.