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La parità retributiva è una (prossima) conquista di civiltà?
Il 97 per cento degli italiani ritiene che la parità di genere non migliorerà nei prossimi anni (dati Ipsos, 2021, si veda grafico in basso) e, per l’80 per cento dei giovani, si tratta di un traguardo ancora molto lontano (dati OneDay, 2020).
Le aspettattive poco ottimistiche dipendono certamente dallo storico protrarsi delle situazioni di disparità in diversi ambiti (sia professionali che personali) e dal loro aggravio causato dagli effetti pandemici (a riguardo, l’infografica del Parlamento Europeo), ma non attribuiscono il giusto peso agli avanzamenti ottenuti nel tempo (in proposito, uno studio di Our World in Data) e ad i molti progetti (anche nazionali) che spingono verso il raggiungimento di un’uguaglianza nei trattamenti.
Per informare l’opinione pubblica, mobilitare la volontà politica e le risorse ma, anche, per celebrare e rafforzare le conquiste dell’umanità, il 18 settembre si festeggia invece la Giornata internazionale della parità retributiva e se ne può cogliere l’occasione per fare il punto sulla disparità salariale (a partire dai dati) e corroborare così una reale percezione anche delle soluzioni in atto. La necessità di una maggiore trasparenza nazionale sul gender pay gap è stata anche sollevata dall’European Committee of Social Rights e dall’University Women of Europe che consigliano di corroborare le informazioni disponibili nel quadro legislativo, anche con chiarimenti quantitativi, per attestare le misure promosse dall’Italia.
Perché i contorni della parità retributiva nazionale sono poco chiari?
Una certa difficoltà ad inquadrare esattamente la portata della disparità salariale può dipendere dagli elementi presi in considerazione per definirne la misura. Ad esempio, riferendosi ai lavoratori dipendenti, la percentuale italiana è pari al 5,7 per cento (un valore molto inferiore alla media UE che è pari all’11,1 per cento), ma, se si considerano i lavoratori autonomi, il dato e il posizionamento nazionale peggiorano sensibilmente attestandosi al 44,9 per cento (di seguito i grafici elaborati da OECD).
Fonte: OECD (clicca sull’immagine per ingrandire)
Un ulteriore elemento di confusione attiene alla differenza tra il gender pay gap grezzo (differenza media della retribuzione lorda oraria tra donne e uomini) e complessivo (che prende in considerazione, oltre al salario orario, anche il numero medio mensile delle ore retribuite e il tasso di occupazione femminile), perché anche in questo caso le differenze sono consistenti.
Se considerando il gender pay gap grezzo, l’Italia è uno dei paesi più virtuosi con una differenza salariale tra uomini e donne di poco superiore al 5 per cento contro una media europea superiore al doppio, guardando invece al gender pay gap complessivo, la situazione è ben diversa. Ampliando il focus dell’analisi e includendo altri fattori (quali il numero di settori a prevalenza di personale femminile, il numero mensile delle ore retribuite, il numero dei lavoratori part time e il numero di donne in posizioni dirigenziali), infatti, la differenza salariale raggiunge il 43,7 per cento contro una media europea del 39 per cento (dati OECD).
In più, va anche ricordato che un basso divario retributivo non indica necessariamente una maggiore uguaglianza di genere, perché può essere una conseguenza della minore partecipazione delle donne al mercato del lavoro come ad esempio ha chiarito l’EIGE in un Data talk.
Se, a seconda delle decisioni prese in fase di compilazione statistica, si possono ottenere valori divergenti, sono invece univoche le cause del problema. Uno studio dell’ILO ad esempio illustra i vari motivi del gender gap, tra cui si trovano la segregazione occupazionale nel mercato del lavoro e la segmentazione all’interno occupazioni, la struttura dell’economia, le politiche governative e la loro attuazione rispetto all’uguaglianza di genere e alla riduzione del divario retributivo di genere, le differenze nell’orario di lavoro e le norme sociali e culturali sulle questioni di genere.
Anche i motivi per cui è conveniente promuovere la parità sono chiari e quantificabili e attengono ad una maggiore crescita economica (in proposito uno studio del Fondo Monetario Internazionale). Secondo una ricerca di PwC, ridurre il divario retributivo di genere tra le nazioni dell’OCSE per eguagliare quello della Svezia potrebbe aumentare il prodotto interno lordo di 6 trilioni di dollari (sui livelli europei di conversione verso l’alto indaga ad esempio anche uno studio pubblicato da Eurofond).
A comprensione delle aspettative al ribasso rilevate dai sondaggi citati nell’incipit del post, è vero che la pandemia per Covid-19 -con i suoi effetti frenanti su molti percorsi di sviluppo- ha impattato anche sull’avanzamento in termini di parità di genere.
Ad esempio, il Global Gender Gap del World Economic Forum (che monitora sistematicamente i miglioramenti ed evidenzia i Paesi che sono avanzati più rapidamente di altri verso la parità di genere), nel report 2021 ha rilevato che i progressi sono stati stagnanti e l’allargamento del divario di genere ha comportato un aumento del tempo stimato per il superamento del divario di genere globale a 135,6 anni (prima dell’emergenza sanitaria, la previsione si attestava in 99,5 anni). Anche il report di WeWorld rileva un peggioramento delle condizioni economiche femminili ascrivibile al Covid-19 e che riguarda una donna su due.
Più in generale, uno studio della Fondazione Eni Enrico Mattei sull’impatto degli effetti per Covid-19 esercitati sugli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile, avverte che tra i Goal più impattati al primo posto si trova appunto l’ottavo o “Lavoro dignitoso e crescita economica” che, nel sotto-obiettivo 8.3, riguarda appunto il tema delle politiche premiali per il merito. Sempre in proposito al raggiungimento del SDGs, poi, un esame dell’ASVIS avvisa anche che il PNRR potrebbe non essere sufficiente e potrebbero essere necessari investimenti ulteriori rispetto a quanto stanziato.
Le evidenze riportate confermano che è ancor più necessario continuare ad insistere sulle soluzioni e condurre ulteriori ricerche sulle politiche e pratiche efficaci nel promuovere il cambiamento auspicato, con un amplificato slancio. A fronte di una situazione generalizzata (secondo uno studio dell’Institute for Women’s Policy Research le donne guadagnano meno in tutte le occupazioni, a prescindere che siano prevalentemente maschili o femminili) e caratterizzata da traguardi che, pur raggiunti, non sono mai definitivi ma vanno difesi, infatti è stato fatto e si può fare ancora comunque molto.
Complessivamente vi è concordia che gli strumenti necessari per ottenere equi trattamenti dovrebbero comporsi in mix di politiche a diversi livelli (statale, sociale e anche aziendale), come risulta ad esempio da uno studio che esplora l’entità e la composizione del divario retributivo di genere sia come media degli aggregati nazionali che per i singoli Paesi europei. È anche assodato il ruolo attivo svolto dalle donne stesse per una definitiva soluzione, attraverso un forte investimento nella formazione e la consistente partecipazione all’occupazione (in proposito, la pubblicazione di UnWomen).
A livello globale, gli avanzamenti delle legislazioni riguardo la parità retributiva e verso il raggiungimento degli obiettivi di civiltà risultano chiaramente dalla rassegna aggiornata dall’Equal Pay International Coalition, dove è possibile individuare i percorsi più virtuosi verso la parità e isolare anche le singole fasi con cui è possibile promuovere uno sviluppo equo.
A livello europeo, invece, i risultati dei progetti avviati dagli Stati membri rispetto alle cinque aree chiave (pari opportunità nella società, economia, investimenti, empowerment e stereotipi) sono stati illustrati ad esempio nella relazione della Commissione sulle strategie per l’uguaglianza di genere, che incita a velocizzare i progressi, anche interpretando la crisi per Covid-19 come un’opportunità per smuovere uno status quo persistente e pervicace. Più specificatamente, poi, il Report 10/2021 della Corte dei Conti europea sprona ad integrare la prospettiva di genere nel bilancio comunitario e nei programmi di spesa dell’Unione Europea.
A livello nazionale, infine, le leggi fondamentali italiane sul tema sono presentate in un’elaborazione realizzata da Winning Women Institute.
In più, poiché la disparità a partire dalle retribuzioni si riverbera poi anche al termine dell’età lavorativa con un consistente divario pensionistico (il vantaggio medio maschile è quantificato per l’Italia nel 36 per cento in più, secondo le stime Istat), vi sono anche iniziative in proposito, come ad esempio il progetto CLEAR-Closing the gender pension gap by increasing women’s awareness che promuove l’informazione e la dotazione di strumenti conoscitivi tra le donne.
Altre proposte di civiltà sono state anche promosse nel corso del W20 di Roma, sottolineando come sia importante spingere verso un cambiamento di prospettiva (da difensiva ad affermativa) e verso un adeguamento culturale del linguaggio (un suggerimento colto ad esempio dall’Amministrazione di Castelfranco Emilia che ha utilizzato la schwa in una comunicazione ufficiale).
Per ulteriori buone pratiche atte a sostenere l’empowerment femminile e in generale la parità di genere, si può fare riferimento anche alla conferenza G20 di Santa Margherita Ligure, dedicato alla qualità del lavoro delle donne (a partire dalle politiche per la valorizzazione del talento e della leadership all’affermazione e alla tutela dei diritti, fino al contrasto alla violenza di genere).
Gli strumenti per promuovere la parità salariale (e più in generale la parità di genere) insomma esistono e sono variegati, tuttavia -tra tutti- il primo da mettere in atto dovrebbe essere la convinzione che si tratti di traguardi possibili e prossimi. Volendo poi anche sfidare la propria reale conoscenza riguardo le differenze di genere e riflettere sulla propria percezione riguardo ai diversi aspetti legati all’istruzione, al percorso lavorativo, al redditto e alla carriera, un quiz a partire dai dati Eurostat è accessibile qui).
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Leggi anche: Il gender pay gap è illegittimo, lo dice la Corte UE
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Riferimenti bibliografici (estratto)
Alibegovic M., Cavalli L., Lizzi G., Romani I., Vergalli S., 2020, COVID-19 & SDGs: La pandemia impatta i target dei 17 Obiettivi di Sviluppo Sostenibile? Una riflessione qualitativa, Fondazione Eni Enrico Mattei
Bertay A. C., Dordevic L., Sever C., 2020, Gender Inequality and Economic Growth: Evidence from Industry-Level Data, International Monetary Fund
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Caneva E., Albini M., 2021, La condizione economica delle donne in epoca Covif.19, We World
Bisello M., Caisl J, Maftei A., Peruffo E., Barbieri D., Reingarde J., Mascherini M., 2021, Upward convergence in gender equality: How close is the Union of equality?, Eurofond
Ortiz-Ospina E. and Roser M., 2019, Economic inequality by gender, Our World in Data
Rubery J., 2016, Tackling the gender pay gap: From individual choices to institutional change, UN Women