categoria: Vicolo corto
In epoca fascista, tassa sul celibato. E poi anche la tassa per tagliare l’erba
Il 13 febbraio 1927, in pieno regime fascista, in Italia, fu istituita l’imposta sul celibato. Tutti i celibi di età compresa tra i 25 e i 65 anni, a seconda dell’età e del reddito, dovevano pagare un tributo che variava da 70 a 100 lire. Molto probabilmente, il criterio impositivo, quantunque illiberale, esprimeva lo spirito di quegli anni e di quel sistema di pensiero, secondo cui famiglia e prole costituivano lo stato sociale per eccellenza. A ogni modo, il tributo in questione, pur apparendo bizzarro, aveva già un precedente illustre. L’imperatore Augusto, infatti, poco meno di duemila anni prima, aveva introdotto un’imposta simile per i senatori senza moglie. Lo Stato – che ci piaccia o meno: il più delle volte, naturalmente, non ci piace – esercita la propria potestà impositiva sui cittadini e riscuote, da sempre, i tributi presso l’intera comunità dei consociati al fine di sostenere la ‘spesa pubblica’. In alcune circostanze, purtroppo, il meccanismo s’inceppa a causa di ‘procedure irregolari’, laddove, in altre, i governanti si fanno prendere la mano, come si suol dire, tanto da generare vere e proprie sproporzioni tra la capacità contributiva del soggetto e il pagamento richiesto. Se si considera che, nella storia, i contadini sono stati costretti a pagare un’imposta per poter tagliare l’erba o abbeverare gli animali, come riporta Focus, in un proprio documento sulla storia delle tasse, possiamo sicuramente avere la misura delle cose. Senz’andare molto lontano, oggi, la pressione fiscale sulle imprese italiane può raggiungere anche il 60% degli utili: insomma, una politica tributaria che può essere definita per lo meno nociva.
Se consultiamo il Grande Dizionario della Lingua Italiana, a proposito di “imposta”, leggiamo: “Prelievo coattivo di denaro che la pubblica autorità compie sulla ricchezza della generalità dei cittadini per provvedere alla spesa necessaria per le funzioni e i servizi pubblici”. È vero che il nucleo di significato della definizione è costituito dalla coattività, cioè da un obbligo ineludibile per il cittadino, tuttavia ciò che c’interessa rilevare è dato dalla relazione che s’instaura tra Stato e cittadino e dall’obiettivo che questa relazione deve assicurare: funzioni e servizi.
Il valore di obbligatorietà del tributo è noto fin dall’etimo latino di imposta, ossia imposĭta, participio passato di impōnĕre, verbo composto da in e pōnere e il cui significato si esplicita proprio in porre sopra, comandare, ingiungere. Il “porre sopra” è ampiamente giustificato dal fatto che il tributo è posto sopra le persone e la loro attività. Questa piccola disamina ci fa comprendere molto bene in che misura l’uso che facciamo delle parole è sempre sotteso dalla semantica dell’eredità linguistica, in specie in economia, dove termini, locuzioni, sintagmi e formule sono adottati per lo più per il raggiungimento d’una qualche forma di benessere o per lo meno si spera che sia così.
Questa speranza, nostro malgrado, non è suffragata dalla storia. Le testimonianze in merito sono numerose. Abbiamo scelto un frammento della Cronica di Dino Compagni.
(Corso Donati) cominciò a seminare discordie, e sotto colore di giustizia e di piatà dicea in questo modo: – I poveri uomini sono tribolati e spogliati di loro sustanzie con le imposte e con le libbre, e alcuni se ne empiono le borse. Veggasi dove sì gran somma di moneta è ita, però che non se ne può esser tanta consumata nella guerra -. (Dino Compagni e la sua Cronica, vol. terzo, a cura di I. Del Lungo, 1887, Le Monnier, Firenze, p. 181)
A questo punto, prima di esaminare le origini di tassa, termine affine di imposta, dobbiamo occuparci proprio della differenza tra imposta e tassa perché non sono affatto la stessa cosa. Non manca di certo la letteratura di riferimento e ormai anche il web è pieno di limpide spiegazioni, ma per dovere d’informazione non possiamo lasciare incompleto il presente contributo. Ci limiteremo a quanto ci compete, non essendo esperti di materia tributaria. In generale, la tassa è quel tributo che paghiamo in cambio di un servizio che l’ente pubblico dovrebbe garantire. Ne sono un esempio la tassa per la spazzatura, quella scolastica, quella per l’occupazione del suolo pubblico et similia. Il condizionale “dovrebbe” dipende dalle anomalie che si verificano nella realizzazione del servizio. La tassa, come si è detto, dovrebbe servire a finanziarlo e garantirlo, ma, se l’ente incassa meno di quanto spende, come spesso accade, si generano disavanzo e disservizi. Insomma: un dilemma irrisolvibile, nella maggior parte dei casi. Diversa è la natura dell’imposta, che invece non si traduce direttamente in un servizio e può essere applicata in forma diretta o indiretta. Se si applica sulla base della capacità contributiva del cittadino e del reddito che produce o del suo patrimonio, essa è diretta: IRPEF, IMU, IRES et similia. Se, invece, si applica su un consumo o su una spesa, allora è indiretta: IVA, i vari bolli, le accise et similia.
Per quanto riguarda tassa, termine affine già annunciato, i filologi (CORTELAZZO, M., ZOLLI, P., 1999; NOCENTINI, A., PARENTI, A., 2010; et al.), in linea di massima, sono concordi nel sostenere la seguente derivazione: la forma del latino medievale taxa, da cui l’italiano, in quanto lingua romanza, ha tratto tassa, proviene dal classico taxāre, che, a propria volta, trae origine dal greco τάσσω (tàsso). L’area semantica che se ne ricava è piuttosto ricca: ordinare, disporre, collocare, valutare, stimare, calcolare, determinare, ma anche toccare spesso o ripetutamente. Alcuni di questi significati, di primo acchito, potrebbero sembrare slegati gli uni dagli altri, ma, in realtà, come vedremo chiamando in causa altri studiosi, il presupposto semantico che li lega è più solido di quanto si possa immaginare.
Ernout e Meillet (2001), per esempio, propongono due direttrici ermeneutiche: nel primo caso, taxāre è presentato come intensivo di tango, col significato di fare allusione a, toccare fortemente, attaccare, significato che abbiamo già trovato nelle precedenti indicazioni filologiche e lessicografiche. Si può ipotizzare, a tal proposito, che il fare allusione a, il toccare fortemente e l’attaccare abbiano subito un vero e proprio spostamento di significato, non altrimenti che se si trattasse d’una metafora sottostante, perché l’imposizione e la riscossione dei tributi sono sempre state sentite proprio come un’offesa o un attacco e, non di rado, hanno causato tumulti e ribellioni.
Nell’Historia anglicana, Thomas Walsingham, nel parlare dell’incoronazione di Carlo VI, re di Francia, descrive proprio i tumulti scoppiati a Parigi a causa delle tasse.
Hoc anno, mense Novembris, coronatus est filius Karoli, quondam Regis Francorum, in Regem, parvulus admodum, videlicet decem aut undecim annorum. Post cujus Coronationis exacta celebria, cum universa fere nobilitas regni Franciae Parisius convenisset, repente orta est seditio magna communis vulgi et tumultus; et murmur magnum excrevit inter proceres, eo quod totiens non tam apporiassent, quam despoliassent, patriam diversis taxis, quas ‘’gabelas” appellant; [In quell’anno, nel mese di novembre, fu incoronato re il figlio di Carlo, già re dei Franchi, ancora piccolo, all’incirca di dieci o dodici anni. Dopo che furono concluse le celebrazioni dell’incoronazione del quale, essendo convenuta a Parigi quasi tutta la nobiltà del regno di Francia, improvvisamente nacquero una grande sedizione e un tumulto del popolo comune; e crebbe un grande mormorio tra i nobili, per il fatto che non tanto avevano impoverito quanto per il fatto che avevano derubato la patria con diverse tasse, che chiamano “gabelle”: (WALSINGHAM, T., Historia anglicana, vol. I, a. D. 1272-1381, trad. nostra., a cura di H. T. Riley, 1863, ed. Longman, Roberts and Green, London, p. 445)]
Nel secondo caso, invece, Ernout e Meillet ammettono che la voce tassa potrebbe essersi formata da ἔταξα (ètaxa), aoristo di τάσσω (tàsso), sebbene il significato di tàssein resti sempre quello di tassare, valutare, stimare. De Vaan (2008), diversamente, non si limita a fare delle ipotesi, ma è del tutto convinto che taxāre derivi da tango, toccare; il che rafforzerebbe l’ipotesi della trasposizione metaforica.
In Vita dei Cesari di Svetonio, a ogni modo, troviamo due occorrenze dello stesso verbo che ci permettono di apprezzarne la valenza polisemica.
Cassius quidem Parmensis quadam epistola non tantum ut pistoris, sed etiam ut nummulari nepotem sic taxat Augustum: “Materna tibi farina est ex crudissimo Ariciae pistrino: hanc finxit manibus collybo decoloratis Nerulonensis mensarius”. [Cassio Parmense, in una lettera, taccia Augusto da nipote non solo di un mugnaio, ma anche di un cambiavalute. Dice così: “La tua farina materna ti viene dal più grossolano mulino di Ariccia; la impastò, con le sue mani imbrattate di denaro, un cambiavalute di Nèrulo”. (SVETONIO, Vita dei Cesari, Augusto II, 4, a cura di F. Casorati, 1995, Newton, Milano, pp.92-93)]
Senatorum censum ampliauit ac pro octingentorum millium summa duodecies sestertio taxavit, suppleuitque non habentibus. [Elevò il censo dei senatori e lo fissò, invece che a ottocentomila sesterzi, a un milione e duecentomila. (SVETONIO, Vita dei Cesari, Giulio Cesare I, a cura di F. Casorati, 1995, Newton, Milano, pp. 124-125)]
Il quadro semantico che stiamo analizzando si amplia pure con un’accezione amministrativo-militare; ne abbiamo testimonianza consultando il lavoro di Chantraine (1968): τάσσω (tàsso), oltre ai significati noti e già documentati, ha quello di schiero le truppe, posiziono e, di conseguenza, metto in un certo ordine. Dal suo infinito, τάξαι (tàxai), secondo l’autore del Dictionnaire étymologique de la langue greque, si sarebbe formato il latino taxāre. Anche se gli ambiti appaiono molto distanti, quello economico e quello strategico-militare, il lettore non deve pensare a delle cognizioni inconciliabili, giacché per schierare le truppe e mettere ordine è necessario stimare e valutare attentamente lo stato di cose, effettuare dei calcoli. Di conseguenza, benché non ci siano corrispondenze perfette, la pertinenza è più che valida. La lingua dev’essere sempre considerata come una sorta di grande, originario e longevo organismo vivente che accoglie in sé tanti altri piccoli organismi viventi, i parlanti, i quali ne modificano lentamente la forma, pur non potendo fare a meno dell’accoglienza originaria.
Τάξας τὴν στρατιὴν ἅπασαν ἐξ ἐμβολῆς τοῦ ποταμοῦ, τῇ ἐς τὴν πόλιν ἐσβάλλει, καὶ ὄπισθε αὖτις τῆς πόλιος τάξας ἑτέρους, τῇ ἐξιεῖ ἐκ τῆς πόλιος ὁ ποταμός: tàxas ten stratièn àpasan ex embolès tou potamoù, te es ten pòlin esbàllei, kai òpisthe àutis tes pòlios tàxas etèrous, te exièi ex tes pòlios ho potamòs [Schierato tutto l’esercito all’imboccatura del fiume, là dove esso entra nella città, e schierati poi gli altri soldati dall’altra parte della città dove il fiume ne esce (ERODOTO, Storie, L.I, 191, 2, vol. 1, a cura di A. Izzo D’Acinni e D. Fausti, 1984, Fabbri, Milano, pp. 284-285)]
Bibliografia minima
BATTAGLIA, S., 1961-2002, GDLI (Grande Dizionario della Lingua Italiana), 21 voll., UTET, Torino
DEVOTO, 1968, Dizionario etimologico. Avviamento alla etimologia italiana, Le Monnier, Firenze
CHANTRAINE, P., 1968, Dictionnaire étymologique de la langue greque, Ed. Klincksieck, Paris
CORTELAZZO, M., ZOLLI, P., 1999, Dizionario Etimologico della Lingua Italiana, Zanichelli, Bologna
DE MAURO, T., 1999-2000, Grande dizionario italiano dell’uso, 6 voll., UTET, Torino
DE VAAN, M., 2008, Etymological Dictionary of Latin and the other Italian Languages, in Indoeuropean etymological Dictionary series, vol. 7, (a cura di A. Lubotsky), Brill, Leiden
ERNOUT, A., MEILLET, A., 2001, Dictionaire etymologique de la langue latine, Klincksieck, Paris
NOCENTINI, A., PARENTI, A., 2010, L’etimologico, Le Monnier, Firenze-Milano
POKORNY, J., 2007, Proto-Indo-European ETymological Dictionary, Indo-European Language Revival Association, Badajoz
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