categoria: Vicolo corto
Italia a due velocità, perché il nuovo decreto Covid può peggiorare le cose
Post di Tancredi Buscemi, dottorando in Economics all’università di Perugia; l’autore si occupa di Storia Economica e principalmente di Questione Meridionale e disuguaglianze regionali –
Che la sanità italiana sia stata vessata da tagli negli ultimi due decenni l’abbiamo capito (forse tardi) un po’ tutti ultimamente, non si è però discusso molto del pesante squilibrio territoriale che il meccanismo di decentralizzazione delle decisioni e centralizzazione nel controllo della spesa ha portato. Se l’emergenza generalizzata ha fatto vedere come la capacità ospedaliera nazionale va in difficoltà abbastanza in fretta, le nuove misure di contenimento della pandemia da Covid 19 potrebbero mettere a nudo una volta di più, se ce ne fosse bisogno, le gravi disuguaglianze territoriali nell’accesso ai servizi (e ai diritti fondamentali come la tutela della salute) presenti in Italia. Prima di andare al punto però serve una breve digressione per capire come questa situazione sia figlia di un percorso istituzionale sedimentato negli anni che nell’emergenza ha fatto vedere tutti i suoi limiti.
A cavallo tra gli anni ’90 e i primi anni 2000 una serie di riforme del Sistema Sanitario Nazionale hanno portato a uno schema regionalizzato delle decisioni sanitarie accompagnate da una larga parte dei finanziamenti distribuite a livello nazionale sulla base di diversi criteri (più o meno discutibili) che assicurano i finanziamenti erogati a seconda della qualità dei servizi. Un punto salta subito all’occhio ed è il leitmotiv che farà da sottofondo a questo post: può un meccanismo che distribuisce più risorse a chi effettua migliori prestazioni e quindi, per sillogismo, ha migliori strutture sanitarie, ridurre gli squilibri regionali?
La seconda parte della storia, ereditata da questo sistema, sono i pesanti piani di rientro che molte regioni hanno dovuto affrontare chiudendo reparti e a volte interi ospedali per ridurre gli “sprechi” riducendo in questo modo la continuità territoriale nell’assistenza sanitaria. Questo ha portato a gravi fenomeni come quello del “turismo sanitario” dove gli abitanti delle regioni meridionali sono costretti a spostarsi per ricevere assistenza sanitaria, fatto che nell’Italia pre-pandemia muoveva da Sud a Nord centinaia di migliaia di persone e con esse miliardi di euro.
Dunque in due decenni di tagli generalizzati alla sanità pubblica con il placet di più o meno tutti gli attori politici (qualcuno forse ricorderà cosa disse l’attuale ministro dello Sviluppo Economico circa due anni fa a proposito dei medici di base) la forbice tra Nord e Sud si è ampliata e qui arriviamo al punto, che è semplicemente figlio di tutto questo percorso: l’ultimo decreto del governo rivede i criteri per il cambio di colore delle zone aggiustando il tiro e prevedendo chiusure esclusivamente in base all’occupazione dei posti letto, sia ordinari (15%) che in terapia intensiva (10%), superando il criterio del contagio. Quindi l’occupazione degli ospedali determinerà nuove chiusure (in verità al momento relativamente lievi) ma com’è la situazione riguardante i posti letto destinati all’ospedalizzazione da Covid nelle varie parti d’Italia? Le figure 1 e 2 mostrano i posti letto ordinari e in terapia intensiva riservati ai pazienti Covid (malattie infettive, medicina generale e pneumologia) per ripartizione geografica.
Figura 1
Figura 2
Com’è facilmente visibile le regioni del Sud Italia hanno una capacità ospedaliera inferiore rispetto alla media nazionale, in particolare i posti per i ricoveri ordinari nelle regioni del Sud sono inferiori del 30% rispetto a quelli del Nord e i posti in terapia intensiva sono inferiori di circa il 20%. Ciò significa che a parità di situazione epidemiologica le regioni del Nord Italia hanno una capacità maggiore di un terzo nel resistere alla pressione ospedaliera ordinaria e di un quinto per quanto riguarda le terapie intensive, ciò che ne consegue ovviamente è che le chiusure nei prossimi mesi saranno molto più facili e frequenti al Sud Italia. Per dare una dimostrazione plastica di ciò che significa quanto appena detto la figura 3 mostra l’andamento nella percentuale di posti letto ordinari occupati in Sicilia con una proiezione che stima l’occupazione alla soglia del 15% per l’11 agosto e un controfattuale con lo stesso andamento per il Piemonte (regione che per numero di abitanti è praticamente identica). In altre parole, il grafico mostra quanto tempo impiegherebbe, a parità di condizioni epidemiologiche, il Piemonte a raggiungere la soglia della zona gialla e mostra come la differenza temporale nel raggiungimento della soglia critica sia quasi di un mese.
Figura 3
Questo ha due implicazioni assolutamente fondamentali: la prima riguarda la qualità dell’assistenza sanitaria che ovviamente peggiorerà ancor di più al Sud, sottoccupato dal punto di vista del personale e carente di strutture sanitarie, dove probabilmente ci si troverà costretti ad impiegare risorse e uomini ancora nella lotta al Covid, affliggendo in maniera importante altri aspetti della sanità. La seconda è di carattere sociale: zone più depresse economicamente potrebbero nuovamente fronteggiare chiusure, con alcune protezioni sociali, come il blocco dei licenziamenti, che sono venute meno. Le conseguenze potrebbero essere catastrofiche. L’emergenza pandemica ha evidenziato prepotentemente problemi strutturali che il paese si porta dietro da tempo, le disuguaglianze regionali sono sicuramente il principale, il divario si allarga velocemente e lo fa sotto ogni aspetto. Eppure, sembra totalmente assente dall’agenda del governo e della politica in generale.