Il mio algoritmo è differente: ecco l’intelligenza artificiale per le aziende

scritto da il 27 Luglio 2021

Post di Flavia Gamberale, esperta di comunicazione istituzionale e aziendale, giornalista – 

La proposta di regolamento Ue sull’ intelligenza artificiale, pubblicato dalla Commissione europea lo scorso 21 aprile, non rappresenta soltanto un primo tentativo di disegnare un quadro giuridico che disciplini l’utilizzo di queste tecnologie, ma può suggerire alle aziende fornitrici e fruitrici di intelligenza artificiale nuove strategie di comunicazione in ambito di corporate social responsibility finalizzate a rafforzare il patto di fiducia con i consumatori.

Il regolamento prevede una classificazione delle soluzioni per indice di rischio e stabilisce che quelle considerate potenzialmente più pericolose siano soggette a controlli da parte di organismi certificati prima di essere immesse sul mercato e durante tutto il ciclo di vita.

L’approccio europeo all’intelligenza artificiale si gioca dunque due dimensioni fondamentali strettamente correlate: gestione del rischio e certificazione dell’affidabilità dei sistemi IA.

Proprio per questo è essenziale che le imprese comincino a sviluppare nuovi modelli di governance degli algoritmi, volti a limitarne le criticità e a garantirne la sicurezza, e che sappiano comunicare al grande pubblico il valore aggiunto dell’ intelligenza artificiale “affidabile”.

Uscendo dalla logica del mero adempimento tecnico, il regolamento Ue può diventare infatti l’occasione per costruire asset reputazionali non meno importanti di quelli connessi alla transizione ecologica.

Oggi per gran parte delle imprese la sostenibilità ambientale rappresenta un valore di brand da promuovere e presidiare: al netto del greenwashing di facciata, sono all’ordine del giorno le campagne di comunicazione, marketing e storytelling realizzate dalle aziende appartenenti ai settori più disparati per valorizzare le proprie iniziative ecosostenibili.

Certamente ci sono voluti anni di attivismo delle associazioni ambientaliste, l’”How dare you” e le lacrime di rabbia di Greta Thunberg, prese di posizione di istituzioni internazionali come l’Onu e dell’Unione europea, che ha fatto della lotta ai cambiamenti climatici un caposaldo della sua agenda politica, affinché si creasse un humus culturale favorevole a tale evoluzione e l’opinione pubblica sviluppasse una maggiore sensibilità attorno a questi argomenti.

Non è inverosimile aspettarsi un trend analogo rispetto ai temi delle tecnologie digitali, in particolare dell’Intelligenza artificiale, così carico d’implicazioni etiche, giuridiche e filosofiche e con impatti profondi sulla vita delle persone.

Gli algoritmi sono i nuovi decision maker: prendono decisioni in tempo reale sulla base dell’enorme mole di dati a loro disposizione, sono sempre più integrati nei processi aziendali, e proprio per questo devono essere costantemente controllati e monitorati affinché rispettino criteri d’imparzialità nelle scelte, siano quanto più possibile esenti da bias cognitivi, e non ledano il diritto alla privacy dei cittadini/consumatori.

Diversi Think Tank e organizzazioni civiche, a cominciare dall’ Algorithmic justice league, stanno denunciando tutte le criticità legate all’utilizzo dei sistemi d’intelligenza artificiale, richiamando alle loro responsabilità governi e aziende produttrici. Cresce l’urgenza di stabilire un quadro normativo quanto più possibile omogeneo per mitigare i rischi connessi all’utilizzo di queste tecnologie, come dimostra la recente pubblicazione della proposta di regolamento della Commissione Ue.

Al tempo stesso il mercato dell’ intelligenza artificiale in Europa promette grandi sviluppi e attirerà sempre più ingenti investimenti pubblici e privati. Basti pensare che attualmente più del 25% di tutti i robot industriali e per i servizi alle persone è prodotto in Europa e che la Commissione europea prevede di investire 1 miliardo di euro all’anno nell’ intelligenza artificiale grazie ai programmi Europa digitale e Orizzonte Europa con l’obiettivo di attirare più di 20 miliardi di investimenti totali nel corso di questo decennio, a cui si aggiungeranno ulteriori risorse previste dal dispositivo per la ripresa e la resilienza.

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L’Europa, insomma, è consapevole dei rischi legati all’utilizzo di queste tecnologie ma ne riconosce anche i vantaggi: un’ intelligenza artificiale “affidabile” è in grado di apportare rilevanti benefici alla società, perché consente di progettare servizi più sicuri, tagliati sulle esigenze delle persone, con tempi di risposta più rapidi in tanti settori strategici come ad esempio quello della sanità, dei trasporti, ma anche della scuola.

Secondo stime di mercato, l’adozione su larga scala di queste tecnologie avverrà nei prossimi 10/20 anni, con il passaggio da un modello aziendale tradizionale o comunque data driven a quello algoritmico, dove una parte centrale del business sarà gestita da algoritmi.

Ed è proprio in questo contesto che le aziende europee possono giocare un ruolo da protagoniste, incardinando nell’ambito ESG la gestione dei requisiti di affidabilità, trasparenza, accountability degli algoritmi e creando campagne di comunicazione in grado di aumentare la conoscenza e la fiducia dei consumatori e dei cittadini verso prodotti e servizi AI-based.

Le imprese, ad esempio, potrebbero dotarsi di policy e strutture interne deputate ad analizzare periodicamente il buon funzionamento dei propri sistemi di intelligenza artificiale. Potrebbero comunicare agli stakeholder in che misura questi hanno reso i servizi più efficienti attingendo a dati di qualità privi di bias e nel rispetto della privacy degli utenti.

Parafrasando l’adagio di un noto spot pubblicitario, non è un’ipotesi così peregrina che nel prossimo futuro diverse aziende comincino a fare proprio il claim Il mio algoritmo è differente e includano la sostenibilità digitale tra quei valori di brand utili a rafforzare la relazione di fiducia con i consumatori.

Bio: Laureata in Lettere con specializzazione in giornalismo, Flavia Gamberale da oltre 15 anni lavora nel campo della comunicazione istituzionale e aziendale, ricoprendo ruoli di responsabilità e prestando servizi di consulenza strategica. Dopo la laurea, ha frequentato corsi di aggiornamento sulla comunicazione digitale e sulle strategie avanzate di media relations presso la New York University. Ha mosso i primi passi nel campo della comunicazione istituzionale attraverso un tirocinio presso il Consolato generale di Rosario (Argentina), nell’ambito del programma Mae-Crui. Tornata in Italia, ha lavorato per lungo tempo nel settore bancario come responsabile nazionale ufficio stampa della FABI (Federazione autonoma bancari italiani), gestendo la comunicazione stampa e social della Federazione.È stata successivamente consulente per la comunicazione e le relazioni esterne dell’Agenzia per l’Italia Digitale (Presidenza del Consiglio dei Ministri), consulente esperta di comunicazione digitale per il Dipartimento del Tesoro (Mef) a supporto del Comitato per l’educazione finanziaria e adesso ricopre il ruolo di senior media relations manager in Enel Italia. A quella di comunicatrice pubblica affianca una pluridecennale esperienza nel campo del giornalismo. Ha scritto per alcune tra le maggiori testate nazionali: Sole 24 ore, Italia Oggi e Corriere della Sera, per il quale tutt’ora collabora occupandosi di temi legati all’innovazione, all’economia e ai progetti europei. È inoltre docente a contratto presso l’Università Niccolò Cusano del Master di secondo livello in Europrogettazione.