categoria: Res Publica
Pnrr al via: basterà per colmare il divario Nord-Sud?
“Il divario fra Nord e Sud sarà colmato solo nel 2020” recitava uno dei titoli del Corriere della Sera del 13 settembre 1972. Era la previsione – oggi disattesa – elaborata per l’allora Ministero del Bilancio che immaginava un’Italia diversa cinquant’anni dopo. Da allora la questione meridionale è sempre stata nelle parole di tanti, ma nei progetti di pochi. A dimostrarlo è il rapporto Svimez 2019 che testimonia il progressivo disinvestimento della politica economica nazionale nel Mezzogiorno, evidenziando come – a dispetto di ciò che si potrebbe pensare – il livello di spesa pro capite al Sud sia inferiore al resto del Paese. Da quel 1972, non soltanto il divario Nord-Sud non si è ridotto, ma si è anche progressivamente allargato interessando oltre al Meridione, anche le aree interne che rappresentano circa tre quinti del Paese.
Con la politica di coesione negli ultimi decenni l’Unione europea ha dato il suo contributo per risollevare le sorti del Meridione italiano e delle aree più svantaggiate della penisola attraverso molteplici finanziamenti economici a supporto dei programmi nazionali. Tuttavia, poco è cambiato nel corso degli anni. La ragione è ben sintetizzata a pagina 5 del Piano Sud 2030 che sottolinea la completa sostituzione degli stanziamenti nazionali con i fondi provenienti dall’Ue, vanificando lo sforzo di potenziare le risorse destinate al Sud. Come si legge nel Piano, infatti, “dal 2008 al 2018 la spesa del Fondo sviluppo e coesione è passata da 4,5 a 1,2 miliardi”. Ne è risultato il graduale impoverimento del territorio, seguito dalla mancanza di competitività e dal progressivo ma inesorabile spopolamento.
Chi arriva ultimo: isole e aree interne
A pagare il prezzo del disinvestimento è stato soprattutto il trasporto ferroviario. Mentre il sistema Alta Velocità/Alta Capacità (AV/AC) italiano prendeva forma con la costruzione di oltre 1.213 km di linee, le infrastrutture e l’offerta di trasporto pubblico è sostanzialmente rimasta invariata al Sud dall’inizio degli anni 2000 ad oggi, con tempi di percorrenza che in certe zone superano le quattro ore per circa 150 km (Martina Franca-Otranto), contro le due necessarie per lo stesso tragitto al Nord (Piacenza-Bologna), o addirittura sfiorano le dodici ore per 400 km (Siracusa-Trapani).
Se tutti i nodi vengono al pettine, nelle isole confluiscono infatti tutti gli intoppi del Mezzogiorno. Qui si acuisce il problema del gap infrastrutturale dell’Italia che viaggia a due velocità, proprio a causa della discontinuità territoriale. Mentre nelle regioni interessate dall’Alta Velocità si viaggia, infatti, a circa 300 km/h (ove possibile), più della metà delle strade ferrate in Sicilia non gode neanche di elettrificazione, o è del tutto assente in Sardegna. I convogli sono costretti a viaggiare anche al di sotto dei 100 km/h e il trasporto pubblico su gomma non riesce a sopperire alle mancanze di quello ferroviario.
Come le isole, le aree interne del Paese sono rimaste sostanzialmente a guardare sfrecciare un treno AV mentre da lì passa ancora la littorina. A farne le spese sono stati i cosiddetti “rami secchi” solitamente dell’entroterra, ovvero quelle linee ferroviarie ritenute meno utili ed efficienti e dunque maggiormente soggette al disinvestimento. Non a caso i finanziamenti statali degli ultimi anni – seppur ridotti – si sono concentrati sull’implementazione di strade ed autostrade e circa l’80% della popolazione si muove su gomma, anziché su rotaia (5%), contribuendo a fare dell’Italia uno dei Paesi con più vetture pro capite al mondo.
Dal mancato rinnovo dell’offerta infrastrutturale sono conseguiti due fenomeni correlati tra loro: la contrazione e insieme l’invecchiamento della popolazione, e lo scarso sfruttamento del capitale territoriale. Ciò è accaduto perché la totalità dei servizi (o disservizi) offerti al cittadino contribuisce a plasmare la demografia del territorio. La connessione, dimostrata empiricamente (ne è un esempio il rapporto sull’area madonita, in Sicilia), ha evidenziato come la mancanza di prospettive sia un fattore predittivo dell’emigrazione, soprattutto giovanile. Questo crescente esodo della popolazione in grado di alimentare il tessuto economico dalle regioni del Sud verso quelle del Nord (o verso l’estero) rischia dunque di incastrare il Mezzogiorno in quella che viene definita una “trappola demografica”.
Pnrr: approvato nonostante le criticità
Per provare ad invertire la rotta, il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) elaborato dal governo Draghi e approvato dalla Commissione europea con una valutazione positiva (tutte “A” e una “B”) identifica sei missioni attraverso cui l’Italia tenterà di armonizzare la velocità della sua crescita entro il 2026. Il prolungamento dell’Alta Velocità è uno degli interventi di punta del Piano, illustrato in maniera più dettagliata rispetto ad altri di eguale urgenza menzionati sommariamente. Un’azione – quella di prolungare l’Alta Velocità – necessaria per ammodernare l’esperienza di viaggio da Ovest ad Est e al di sotto del 41° parallelo, ma che da sola non basta a livellare le differenze infrastrutturali del Paese.
Sarebbe da scongiurare, infatti, uno scenario in cui grandi centri urbani anche distanti siano velocemente collegati, ma che da un piccolo paesino si impieghi notevolmente di più per raggiungere il primo centro urbano più vicino. Per questo il Piano prevede di migliorare l’integrazione delle linee ferroviarie AV con quelle regionali, anche se poco spazio viene lasciato alla causa della continuità territoriale e ai dettagli delle tratte da elettrificare, velocizzare e di cui aumentare la capacità. Assente è anche una capillare pianificazione integrata dei servizi che tenga conto delle più moderne tecnologie per gli spostamenti (sharing mobility) in grado di garantire la copertura delle zone escluse o poco servite dal trasporto ferroviario.
Attraverso gli interventi proposti, il Governo si auspica comunque di produrre “un’inversione dei fenomeni di depauperamento demografico e socio-economico dei territori meno collegati”. I giovani sono, infatti, una delle priorità trasversali a tutte le sei missioni del Piano. Sorprende – però – il poco spazio dedicato proprio alle politiche giovanili e, nello specifico, all’impatto della missione 3 su questa categoria. Eppure, i dati del rapporto Svimez (2019) e del Piano Sud 2030 sul crescente esodo giovanile hanno dimostrato la correlazione del fenomeno con il cronico ritardo infrastrutturale. Quest’ultimo, insieme all’assenza di un trasporto pubblico affidabile, ha un ruolo cruciale nel favorire le migrazioni dei giovani italiani verso aree in grado di offrire servizi più efficienti. In altre parole, la riqualifica infrastrutturale del territorio è davvero in grado di innescare il “recupero del potenziale delle nuove generazioni” auspicato dal Piano nazionale.
Nonostante le criticità evidenziate, se il Pnrr sarà un successo, la sua data di scadenza – il 2026 – potrebbe rappresentare quello che il lontano 2020 rappresentava nella previsione del 1972. Che ci si sia sbagliati di una manciata di anni?
Testo a cura di Agnese Stracquadanio