categoria: Res Publica
I dubbi vantaggi del coprifuoco (e quei problemi con la Costituzione)
Del nuovo decreto-legge, approvato il 20 aprile, i punti che colpiscono sono principalmente due: la proroga del coprifuoco alle 22 e l’abbandono dello strumento dei DPCM. Se da un lato si fanno sempre più forti i dubbi sulla legittimità costituzionale del coprifuoco, soprattutto alla luce dei dati scientifici sulla diffusione del virus all’aperto, dall’altro l’utilizzo dello strumento del decreto-legge pone inedite perplessità, in particolare per quanto riguarda le conseguenze di un’eventuale mancata conversione in legge entro 60 giorni che, ai sensi dell’art. 77 Cost, comporterebbe la perdita di efficacia del decreto-legge fin dall’inizio. Si tratta di due aspetti tecnici che fanno emergere il rischio di un pericoloso equivoco: per giustificare carenze di razionalità giuridica si fa ricorso ad argomenti ideologici, politici o addirittura moralistici.
Il rispetto del nostro ordinamento giuridico e dei suoi equilibri dovrebbe, al contrario, rappresentare un punto fermo.
La prima questione riguarda il coprifuoco che, risolvendosi in un obbligo di permanenza domiciliare dalle 22 alle 5, rappresenta sicuramente una limitazione della libertà personale e, in quanto tale, deve essere coerente con i principi e i criteri sanciti dalla Costituzione. In primo luogo, l’art 13 Cost. stabilisce che non è ammessa alcuna forma di limitazione della libertà personale, se non per atto motivato dell’autorità giudiziaria e nei soli casi e modi stabiliti dalla legge. Nel disporre il coprifuoco, però, il decreto-legge più che prevedere casi e modi della limitazione, sembra attuare una compressione generalizzata della libertà personale di tutta la popolazione.
In ogni caso, la Costituzione, nel prevedere la possibilità che alcuni diritti costituzionalmente garantiti vengano compressi, in un’ottica di bilanciamento, a favore di altri diritti dello stesso rango, impone che ciò avvenga nel rispetto dei principi di adeguatezza e proporzionalità. In questo caso il contrasto è fra tutela della salute e libertà personale. Il coprifuoco, tuttavia, è una misura che va a limitare espressioni della libertà personale che non sembrano minimamente ledere l’interesse protetto. Per fare un esempio, non si capisce quale vantaggio possa derivare alla salute pubblica a fronte del divieto di fare un giro in macchina dopo le 22, magari perché non si riesce a prendere sonno.
Misure simili faticano a trovare una giustificazione scientifica di fronte ad una letteratura poco uniforme che, tuttavia, sembra riconoscere che il rischio di diffusione del virus si verifichi in occasione di contatto fra più individui soprattutto in luoghi chiusi e a distanza ravvicinata. Recentemente hanno avuto una forte risonanza alcuni studi che hanno prodotto dati molto significativi sul punto. Basti citare lo studio dell’Health Protection Surveillance Center irlandese secondo cui appena 1 contagio su 1000 avviene all’aperto. Un altro studio particolarmente interessante è quello svolto dal professor Mike Weed dell’università di Canterbury su 7500 contagi avvenuti in Cina e in Giappone prima del lockdown secondo cui “la possibilità di trasmettere il virus all’aperto è così limitata da essere statisticamente insignificante”.
Alla luce di questi dati e in assenza di un rapporto causa/effetto tra le molte attività individuali che non si risolvono in assembramenti e l’incremento dei contagi, limitazioni come il coprifuoco sembrerebbero totalmente irrazionali e rappresenterebbero una limitazione della libertà personale in contrasto con la Costituzione. Insomma, un conto è regolare, in un’ottica di tutela della salute pubblica, lo svolgimento di alcune attività nell’ambito delle quali è provato che sussista un’alta probabilità di diffusione del virus. Tutt’altro conto è porre un divieto di uscire di casa tout court dopo una certa ora.
Ecco allora che, di fronte ad una carenza di ragioni giuridiche o scientifiche, per giustificare una simile misura, si fa ricorso ad argomentazioni che attengono spesso ad un sentimento comune. Tuttavia esso, per quanto condiviso o condivisibile, non può consentire alle istituzioni di muoversi fuori dai principi posti dalla Costituzione. La maggioranza, per quanto ampia, può sbagliare e il rispetto dei limiti posti dalla Costituzione serve proprio ad arginare i danni in una simile evenienza. Forzare l’ordinamento nella convinzione di garantire un interesse superiore, oltre che rappresentare un grave precedente, è in sé un danno alla democrazia.
Spesso, per sostenere l’utilità del coprifuoco, viene usato l’argomento secondo cui, se si permettesse alla gente di uscire, si verificherebbero assembramenti impossibili da controllare. Ma questo problema attiene al momento esecutivo della norma e non è possibile risolverlo andando a vietare una condotta così antecedente alla situazione di pericolo creata dall’assembramento come il fatto di uscire di casa. A ben vedere, imponendo il divieto di uscire di casa ci si assicura il risultato di stroncare alla radice la possibilità di commettere la maggior parte dei reati previsti dal nostro ordinamento, ma questa non sembra una soluzione accettabile in uno stato democratico.
L’idea che debba essere concesso di uscire di casa soltanto per comprovati motivi di lavoro, di salute o di necessità e urgenza sembra inoltre scontare un giudizio morale per cui tutte le attività non strettamente necessarie alla sopravvivenza sarebbero fuori luogo in un momento così drammatico per l’umanità. Alla sofferenza di molti, pare doveroso accostare una limitazione nei comportamenti di tutti, e dunque sembra necessario imporre limitazioni come il coprifuoco. La limitazione della libertà personale troverebbe in questo ragionamento, condiviso da molti, una giustificazione morale, ma certo non giuridica. Questo sentimento, per quanto molto diffuso anche se inconfessato, non può essere positivizzato attraverso delle norme di legge.
Un ulteriore elemento di incertezza deriva dallo strumento scelto dal governo Draghi per adottare le misure volte al contenimento della diffusione del virus. Il decreto-legge risolve alcuni problemi che si ponevano con l’utilizzo dei DPCM. Questi ultimi, essendo fonte regolamentare di rango secondario, si ponevano in violazione dell’art. 13 Cost. nella parte in cui impone una riserva di legge e di giurisdizione per l’adozione di misure limitative della libertà personale. Tuttavia il decreto-legge, ai sensi dell’art. 77 Cost., è uno strumento destinato a dispiegare effetti precari in quanto, qualora non venisse convertito in legge dal Parlamento entro 60 giorni, perderebbe efficacia fin dall’inizio. Se questo dovesse succedere, ci troveremmo in una situazione difficilmente accettabile in cui la libertà personale dell’intera popolazione sarebbe stata irrimediabilmente compressa ad opera di un decreto-legge non convertito. In un caso simile è difficile immaginare quali potrebbero essere delle forme di indennizzo adeguate.
Ci troviamo nel bel mezzo di un periodo estremamente complesso e drammatico che investe ogni aspetto della vita come eravamo abituati a conoscerla. Ridurre il tutto ad un conflitto fra economia e salute è una visione semplicistica che risulta fuorviante. Le conseguenze sociali e culturali non possono essere considerate secondarie e trovano tutela nella Costituzione che, anche per questo, deve essere rispettata.
Nell’ultimo anno sono numerosissimi gli studi che hanno evidenziato le conseguenze sociali devastanti dell’isolamento forzato. Abbiamo assistito ad un aggravamento dei casi di violenza domestica e all’aumento dei suicidi, che sono cresciuti del 20% fra i giovani. Allo stesso modo sono evidenti i danni all’istruzione e alla mobilità sociale. Alla luce di tutto questo, occorre liberarci da qualsiasi ipocrisia e avviare una riflessione che, al di là di qualsiasi interesse politico, sia volta ad un ripensamento delle strategie in un’ottica di rispetto delle libertà fondamentali garantite dalla Costituzione e di tutela della salute complessivamente intesa.
Edoardo Fornaro