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Cari ragazzi, tornate a casa e date una carezza ai vostri genitori. Da parte di Paolo Baffi
Dopo aver studiato per anni la vita, gli scritti, le Considerazioni finali, i carteggi del governatore della Banca d’Italia Paolo Baffi, ho preso l’impegno di andare nelle scuole, nei licei, nelle università per far conoscere ai ragazzi l’impegno, la competenza, la rettitudine di un servitore dello Stato, che purtroppo pochi conoscono.
Alla fine di ogni intervento, su consiglio della moglie di Baffi, Alessandra – tenacissima donna di 87 anni – invito gli studenti, all’ora di cena, quando tutta la famiglia è presente a tavola, a raccontare quello che hanno imparato su Baffi e la Banca d’Italia – straordinario centro di eccellenza di cui andare fieri – e le conseguenze da trarne per la vita e le scelte di ciascuno di noi.
Tutti ricordano le parole di Papa Giovanni XXIII, quando l’11 ottobre 1958 nel suo discorso in occasione della serata di apertura del Concilio Vaticano, uscì dalla finestra di Piazza San Pietro e conferì parole memorabili: «Tornando a casa, troverete i bambini. Date una carezza ai vostri bambini e dite: questa è la carezza del Papa».
Ecco, io dico agli studenti: «Andate a casa, e, invece di parlare di Juventus-Milan, per una volta, parlate di Paolo Baffi, governatore dal 1975 al 1979 (“il quinquennio di fuoco”), persona serissima, integerrima, uomo di pensiero e di azione (il “Baffi eclettico”, lo ha definito Mario Sarcinelli, primo collaboratore di Baffi, governatore mancato se non ci fosse stato l’attacco politico-giudiziario del 1979), un protagonista silenzioso del Novecento.
Alcuni sostengono che i giovani siano debosciati, “sdraiati” secondo la definizione di Michele Serra, ma io credo che a loro manchino gli esempi, le storie significative, le narrazioni che contano. Invece li riempiamo di nozioni, di Manzoni e Promessi Sposi, impero babilonese e piramidi egizie, fino a che si stufano e smettono di studiare.
Bene. Il 18 novembre scorso, a Roma, alla LUISS Guido Carli, ho trascorso una meravigliosa serata dove il prof. Lorenzo Infantino – ordinario di Metodologie delle Scienze sociali – ha invitato me, Mauro Campus, che insegna a Firenze alla Facoltà di Scienze Politiche Cesare Alfieri, dove ha studiato Donato Menichella (altro grandissimo personaggio) e Fabrizio Saccomanni – già direttore generale della Banca d’Italia e ministro dell’Economia e delle Finanze del governo Letta – a discutere del volume (che ho curato) di P. Baffi e A. C. Jemolo “Anni del disincanto. Lettere 1967-1981″ (2014, Aragno editore).
Mentre Infantino racconta in sintesi la vita di due intellettuali – ambedue lincei – che hanno trovato il modo di scriversi per anni, dandosi sempre del lei, io osservo gli studenti nell’aula gremita. Chi col tablet, chi col pc, chi con la vecchia Bic che usavo anch’io in Bocconi, tutti ascoltano attenti una lezione diversa dal solito. Infantino ricorda la figura di Marcello Soleri, colui che cercò di convincere il Re a dichiarare lo stato d’assedio nel 1922. Vanamente, perchè Mussolini se ne approfittò con la “Marcia su Roma”. Fu Soleri (classe 1882), di Cuneo, a suggerire la nomina di Luigi Einaudi a governatore della Banca d’Italia, una volta tornato dall’esilio svizzero.
Einaudi, non appena conobbe Baffi, ci mise un attimo a valutarne la stoffa. In “Via Nazionale e gli economisti stranieri”, 1944-1953 – straordinario saggio – Baffi ricorda: “L’arrivo di Einaudi, che aveva preso interesse ad alcuni miei lavoretti degli anni Trenta, consolidò, nel gennaio del 1945, quell’anomala posizione [di direttore del Servizio Studi]”.
Se negli tudi liceali si arriva con difficoltà alla Seconda Guerra Mondiale, come fanno gli studenti a sapere qualcosa sul Dopoguerra? Se a lezione in università, chiedo chi fossero Mattei, Caffè, Einaudi, Carli, Baffi, Menichella, Andreatta, Malagodi, Mattioli, i ragazzi sbarrano gli occhi. Ma non è certo colpa loro. Se nessuno racconta il valore della “meglio gioventù”, non ci dobbiamo soprendere? Bisogna prendersela con i professori, che non trovano cinque minuti cinque per compiere qualche digressione storica.
Mauro Campus si sofferma sugli anni Settanta, tempestosi e cruenti. Nelle parole di Tommaso Padoa-Schioppa: “Il suo governatorato [di Baffi] si svolse in anni che sono tra i più duri e più disgraziati nella storia della Repubblica italiana. Fu un periodo segnato dall’indebolirsi e addirittura dal venir meno dei due riferimenti esterni che tanto avevano contribuito, nel dopoguerra, a consolidare un’economia debole e a preservare una democrazia gracile: caduto il regime di Bretton Woods ed entrata in stallo l’integrazione europea, il quadro internazionale e l’Europa erano divenuti, in quegli anni, in quel decennio, piuttosto fonti di instabilità che ancoraggi sicuri.
Furono anni segnati dall’inflazione, dallo shock petrolifero, da un’indicizzazione forsennata dei redditi, dal dominio di idee balorde (il salario variabile indipendente, l’indicizzazione come antidoto all’inflazione, la parità salariale Nord-Sud imposta dall’alto, e via dicendo), da un’ennesima abdicazione di responsabilità delle nostre classi dirigenti, da tardive riforme sociali mal progettate e ignare delle effettive risorse del Paese. Furono gli anni terribili del terrorismo, di delitti oscuri, della messa a morte di Aldo Moro”.
Prende la parola Fabrizio Saccomanni, che ha lavorato con Baffi, essendo entrato in Bankitalia nel 1966. L’ex ministro apprezza in particolare la qualità delle lettere del carteggio, l’esattezza del linguaggio e anche il sense of humour di Baffi e Jemolo. Per esempio, in una lettera del 28 luglio 1972 a Galante Garrone, Jemolo definì l’Italia «una Repubblica fondata sul riposo», con i «santi protettori S. Rinvio, S. Proroga e il loro figlio, S. Slittamento». Saccomanni mi fa arrossire quando dice che “il volume è ben più che un carteggio, è un affresco di un’epoca”.
Viene il mio turno. Prendo la parola, fissando negli occhi gli studenti, anche quelli seduti in fondo sulle scale. Sono concentratissimo. Voglio parlare al massimo 10 minuti per essere più incisivo possibile. No frills. Voglio far passare il concetto che la vita di Baffi è un esempio per i giovani, che hanno bisogno come il pane di punti di riferimento.
Baffi viene da una famiglia poverissima di Broni (in provincia di Pavia) ed è diventato governatore della Banca d’Italia solo per merito. Ha studiato solo grazie alle borse di studio. Il padre emigrò in Argentina e tornò “per difetto di fortuna”. Morì giovanissimo – quando Baffi aveva 4 anni – e la madre, quindi, per far studiare il figlio, fece la sarta. Alessandra Baffi, in prima fila, mi sorride, perchè sa cosa sto per dire. Ricordo che la madre diceva al figlio: “Studia Paolo, che sei un bambino orfano”. Non gli diceva “Lavora”, bensì “studia”. Certo, era fortunata, perchè l’amato figlio era molto dotato.
Se oggi, spiego, “siete abituati a navigare sul web, a surfare su Google, Baffi insegna ad andare in profondità, ad andare in verticale, a non accontentarsi dei luoghi comuni”. Non a caso Carlo Azeglio Ciampi nel suo “Da Livorno al Quirinale” scrive: “Studiare è scavare, approfondire, non mandare meccanicamente a mente nozioni”.
Come Baffi nelle Considerazioni finali del 1979 (per il 1978) usa il refrain “se si è convinti”, io ripeto in continuazione “Baffi è un esempio”: di competenza, meritocrazia, di integrità morale, di studio appassionato, di servitore dello Stato, di sobrietà e misura, di frugalità, di rispetto per gli altri. Nelle parole di Ciampi: “La sola presenza di Baffi scoraggiava qualsiasi superficialità”. E tutti, al suo cospetto, si impegnavano per dare il meglio di sé.
Se l’Italia si vide aperta la strada del credito internazionale nel Dopoguerra, lo si deve, oltrechè a De Gasperi, Einaudi e Menichella, anche a Baffi, che contribuì con la stesura del Rapporto Jacobsson (uno dei due persnaggi più influenti della della Banca dei Regolamenti Internazionali), fondamentale per le banche estere, ansiose si capire come era messa l’Itlaia dopo il conflitto.
Chiudo dicendo: “Voi ragazzi non dovete perdere la speranza, dovete impegnarvi e guardare al futuro con ottimismo. Perchè se si studia duramente, se si hanno i riferimenti corretti, il mondo è lì che aspetta il nostro contributivo, serio e fattivo. E quando avete dei dubbi, guardate nel cielo degli onesti e dei competenti, dove brilla la stella di Paolo Baffi, il governatore della Vigilanza” (definizione coniata da Donato Masciandaro).
La lezione è finita. Fioccano gli applausi, convinti. Sono le 20, l’università chiude. I figli di Baffi, Enrico e Giuseppina Baffi, mi abbracciano, felici e soddisfatti della mia performance. Poca retorica e molto pragmatismo. Ficcante. Trattengo le lacrime perchè penso a mio padre, che mi invitò a tenere un archivio cartaceo nel 1986, da cui traggo spesso riferimenti storici. Sarebbe certamente contento del mio lavoro.
Speriamo a questo punto che, seguendo il precetto del “Papa buono”, gli studenti vadano a casa e raccontino alle loro famiglie la splendida lezione sui generis appena conclusa alla LUISS.
Twitter @beniapiccone