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Draghi, il Pnrr e l’impresa titanica di riformare giustizia, fisco e PA
Dopo quasi quattro mesi di trattative e molteplici veti incrociati, il 21 luglio 2020, durante il Consiglio Europeo, i capi di governo degli stati membri hanno istituito il Next Generation EU (NGEU), che comprende al proprio interno il Recovery Fund, lo strumento di intervento più corposo.
Le risorse finanziarie del Recovery Fund destinate agli stati membri si dividono in due categorie: finanziamenti a fondo perduto, pari a 312,5 miliardi, e prestiti, pari a 360 miliardi. La divisione delle risorse non è ancora definitiva, ma sarà rivalutata nel corso del prossimo anno in base all’andamento del PIL. Tuttavia, una prima valutazione su elementi quali la popolazione, il PIL pro capite e il tasso di occupazione, ha portato l’Italia ad essere uno dei maggiori beneficiari, con 122,5 miliardi di prestiti e 68,9 miliardi di sovvenzioni.
La convenienza di tali prestiti per l’Italia, piuttosto che il ricorso diretto al mercato, deriva dall’applicazione di tassi di interesse molto inferiori. Una quantificazione di massima di tale risparmio può essere effettuata considerando il tasso di interesse pagato dall’Italia sui propri titoli di stato ventennali (al momento pari a circa 1,15%), rispetto al tasso di interesse che l’Italia dovrà pagare all’UE (pari a circa 0,13%) sull’importo totale finanziato. Inoltre, andrebbe vagliato l’effetto benefico sui mercati finanziari, in termini di riduzione dello spread, di tale intervento e del Sure, che hanno contribuito efficacemente a migliorare le aspettative degli investitori.
Condizionalità e approvazione dei piani nazionali
Uno degli interrogativi più frequenti quando si parla di finanziamenti europei riguarda la condizionalità. Per quanto riguarda lasituazione economico-finanziaria degli stati beneficiari, è prevista la sospensione parziale dell’erogazione qualora siano presenti squilibri di finanza pubblica eccessivi rispetto alle regole europee. Tuttavia, siccome tali regole sui conti pubblici (rapporto deficit/PIL e debito pubblico/PIL) sono sospese, anche questa limitazione non è al momento applicabile. La tregua dovrebbe durare fino alla fine del 2022, ossia quando, secondo le previsioni della Commissione Europea, le attività economiche europee torneranno al livello pre-crisi.
Accanto a queste condizionalità, esistono dei vincoli molto più stringenti in merito all’utilizzo delle risorse finanziarie erogate. Proprio per questo motivo, ogni governo dovrà inviare alla Commissione Europea il proprio piano di investimento entro il 30 aprile 2021. I piani saranno poi valutati dalla Commissione nel corso dei due mesi successivi, in base ad alcuni criteri predefiniti. Successivamente all’approvazione della Commissione Europea, anche il Consiglio Europeo dovrà approvare il progetto, redigendo un accordo per l’erogazione del contributo finanziario. Il 70% dei fondi spettanti saranno erogati e dovranno essere impegnati entro la fine del 2022, mentre il restante 30% nel corso dell’ultimo anno del programma.
Inderogabili sono anche i criteri di destinazione degli stanziamenti. Infatti, almeno il 37% delle risorse del programma di investimento devono essere destinate a misure che contribuiscono alla transizione verde, e il 20% a misure che contribuiscono alla transizione digitale. Inoltre, nessun progetto finanziato può arrecare un danno significativo all’ambiente. Per la determinazione del raggiungimento di tale soglia nel Piano di ogni stato membro, sono stati definiti dei coefficienti che indicano il contributo di ogni progetto al raggiungimento degli obiettivi di transizione citati.
L’imposizione di tali percentuali deriva dalla volontà dell’Unione Europea di vincolare la ripresa economica ad alcuni dei sei pilastri fondamentali rimarcati in tutte le attività di programmazione europee: transizione verde, transizione digitale, crescita intelligente, sostenibile e inclusiva, coesione sociale e territoriale, salute e resilienza economica, sociale e istituzionale, politiche per le generazioni future.
Ulteriormente, la Commissione Europea valuterà la capacità del programma di investimento di rispondere alle raccomandazioni specifiche indirizzate ad ogni stato membro (per l’Italia l’attenzione è posta sulle riforme del fisco, della giustizia e della pubblica amministrazione) e di produrre un impatto persistente, proficuo, misurabile e coerente sull’economia. Proprio a questo fine, il piano deve giustificare ogni misura adottata, indicandone le coperture, il cronoprogramma e i traguardi da conseguire. Gli investimenti programmati e gli obiettivi economici conseguenti dovranno essere raggiunti entro il 2026, ma il monitoraggio da parte dell’Unione Europea sarà costante. Infatti, ogni Paese riferirà sui propri progressi due volte all’anno per tutta la durata del programma e nel caso in cui gli obiettivi prefissati non siano rispettati, l’erogazione dei fondi può essere sospesa. Allo stato inadempiente sarà concesso un periodo di sei mesi per recuperare. In caso di insuccesso, il diritto alla ricezione dei fondi sarà ridotto o, addirittura, sarà prevista una parziale restituzione degli stessi. Proprio per questo due parametri fondamentali nella selezione da parte dei governi nazionali dei progetti da finanziare consistono nella realizzabilità nei 6 anni di durata del programma e la verificabilità dei risultati raggiunti. A questo scopo, è necessario istituire efficaci sistemi di monitoraggio e rendicontazione.
Il piano di investimento può essere modificato nell’eventualità in cui non risulti più completamente realizzabile, a causa di circostanze “oggettive”. In questo caso, la Commissione Europea prenderà in considerazione la richiesta di modifica motivata presentata dallo stato beneficiario.
Il piano italiano
Il piano di investimento italiano, denominato Piano nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), approvato dal precedente governo il 12 gennaio 2021 e rivisto dall’attuale (che lo ha appena inviato alle Camere in vista delle comunicazioni del presidente del Consiglio Mario Draghi), considera investimenti per 222,1 miliardi di euro che, superando lo stanziamento europeo, comprende un investimento parziale delle risorse dei bilanci nazionali nel periodo 2021-2026.
All’interno dell’attuale piano non è prevista soltanto la pianificazione di progetti nuovi, per i quali non era stata identificata preventivamente una copertura nel bilancio nazionale, ma anche il rifinanziamento e rafforzamento di alcuni progetti introdotti nel corso della legislazione vigente, come la “transizione 4.0”, il programma di risanamento degli edifici scolastici etc. In questo caso, il beneficio consiste nella riduzione dell’onere di finanziamento nazionale.
Durante la sua recente audizione alla Camera, il ministro dell’economia e delle finanze Franco ha evidenziato la necessità di una parziale revisione del piano redatto dal precedente governo, soprattutto nell’ottica di assicurare che i progetti di investimento siano effettivamente completati nei tempi e con i risultati previsti dal progetto. Per ottenere tale risultato, vista l’incapacità strutturale dell’Italia nell’utilizzo delle risorse europee a sua disposizione, è necessaria un’attività di pianificazione dettagliata e di determinazione degli indicatori da osservare per monitorare il raggiungimento degli obiettivi. Un punto importante consisterà nella definizione di una governance di gestione dei singoli progetti. Infatti, sarà istituita una struttura di sorveglianza permanente presso ogni ministero coinvolto, che dovrà riferire direttamente a un organo di coordinamento del MEF. Inoltre, tramite un ciclo di discussioni parlamentari e incontri con le diverse parti sociali, è ragionevole aspettarsi che verrà data maggiore priorità agli investimenti rispetto alle spese correnti (che infatti non devono superare il 30% delle risorse totali del PNRR) e sarà aumentato lo stanziamento per conseguire obiettivi di riequilibrio territoriale, di genere e tra generazioni.
Quali sono le riforme fondamentali sulle quali il PNRR dovrà appoggiarsi?
All’interno del PNRR un ruolo cruciale è rappresentato dalla riforma della giustizia, del fisco e della pubblica amministrazione, proprio perché i piani nazionali saranno valutati in base alle risposte che forniranno in merito alle raccomandazioni effettuate dall’UE. Diciamolo con franchezza: sono obiettivi inseguiti da decenni. E i periodici richiami concernenti l’immensa selva normativa italiana e la lunghezza dei processi, che è tra le più lunghe dei paesi europei, non dovrebbero farci cogliere questa notizia come una sorpresa. Proprio per questo, al momento, la Commissione Giustizia del Senato ha lavorato per la presentazione di un documento contenente le misure più idonee per sfruttare al meglio le opportunità digitali anche nel mondo della giustizia, per dare impulso a strumenti alternativi di risoluzione delle controversie, definendo anche modelli processuali speciali.
La seconda riforma fortemente auspicata, e non solo recentemente, riguarda la Pubblica Amministrazione, ininterrottamente criticata per la propria inefficienza. Questo aspetto non penalizza soltanto l’utilizzo stesso dei fondi europei, ma anche la possibilità di avviare iniziative imprenditoriali: nell’indicatore della Banca Mondiale “Doing Business”, che misura la facilità di fare impresa, l’Italia si posiziona soltanto al 58° posto (2020). Oltre allo snellimento della burocrazia, il focus dovrebbe essere posto sulla digitalizzazione e sulla semplificazione dell’accesso ai servizi della PA per i cittadini. Il Ministro della Pubblica Amministrazione Brunetta ha anche annunciato l’allestimento di un nuovo portale finalizzato all’organizzazione e all’accesso ai concorsi pubblici, e l’avviamento di un nuovo ciclo di assunzioni con contratti a termine, con lo scopo di far entrare nel settore pubblico giovani altamente qualificati.
Contemporaneamente il MEF sta lavorando per una revisione profonda e complessiva del sistema tributario. Per quanto riguarda l’IRPEF, si stanno comparando due sistemi distinti. Il primo prevede tre scaglioni di aliquote (23%, 33%, 43%) e una conseguente diminuzione di gettito fiscale pari a 19 miliardi. Il secondo sistema, ispirato al modello tedesco, prevede un’aliquota continua, che associa ad ogni livello di reddito una diversa aliquota, senza superare l’attuale aliquota marginale massima (43%). Questo sistema causerebbe una riduzione del gettito pari a circa 20 miliardi. L’obiettivo di entrambi i modelli è la riduzione del prelievo fiscale per tutte le fasce di reddito, soprattutto riducendo lo scatto di progressività per i redditi medi. L’aumento di PIL reale stimato dovrebbe essere in entrambi i casi vicino allo 0,7%. Ulteriormente alla revisione delle aliquote, è necessario dare maggiore organicità alle casistiche di detrazioni e deduzioni concesse, sulla linea di quanto già fatto in questi giorni con l’approvazione dell’assegno unico per figli, che comprende in parte e sostituisce sei misure di sostegno.
Considerando il lungo processo che ha portato l’Unione Europea a superare, almeno parzialmente, le proprie divisioni interne in merito all’aiuto reciproco tra gli stati membri, per l’Italia è doveroso riuscire a sfruttare al meglio questa opportunità e la flessibilità di bilancio concessa, non soltanto con l’ottica di tornare a galleggiare dopo la crisi pandemica, ma per cercare di vincere le Olimpiadi della competitività globale. Sarà possibile raggiungere questo obiettivo soltanto risolvendo le annose problematiche per le quali nessun governo in passato è riuscito a dare una risposta efficace.
Sabrina Fazio