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Italia in stallo. I vaccini sono l’unica priorità per il rilancio
Il 21 febbraio abbiamo sorpassato il primo anno di COVID-19 e con esso il primo anno di pandemia in cui abbiamo sofferto e vissuto serie di restrizioni delle nostre libertà personali. Il virus ha messo alla prova non solo la scienza, impegnata nella ricerca di soluzioni concrete nella riduzione dei contagi, ma anche i singoli individui nella necessità di adattarsi a nuovi stili di vita. Col passare del tempo i governi cercano di ripartire grazie ai vaccini e ai loro programmi di somministrazione.
Il successo di questi progetti ha una valenza prioritaria e necessaria se pensiamo al fatto che, secondo le stime della Commissione Europea, arrivare entro l’estate con una vaccinazione del 70% della popolazione europea porterebbe a una ripresa sostanziosa dell’economia del continente, con introiti superiori di 500 miliardi e una crescita del quasi 6% del PIL, rispetto al 4,1% previsto non raggiungendo questo obiettivo.
Ciononostante, in Italia il piano vaccinale sembra essere a un punto di stallo. Oltre ai numerosi controlli sulla sicurezza degli antidoti e ai molteplici ritardi della campagna di approvvigionamento, dove ad esempio delle 15 milioni di dosi previste nel primo trimestre ne sono state consegnate appena 13 milioni, si aggiungono le inefficienze dei sistemi organizzativi nazionali. Basti pensare che delle fialette arrivate nei centri vaccinali solo 11,5 milioni sono state utilizzate, osservando delle disuguaglianze tra regioni virtuose come l’Emilia-Romagna e altre incapaci di imprimere un’accelerazione come la Calabria e la Sardegna.
Ad aggravare la situazione sono anche le battaglie intraprese dai vari Stati sulle esportazioni. Se da un lato Paesi come Stati Uniti e Regno Unito sono intervenuti da tempo per limitare l’export di dosi necessarie a soddisfare le proprie campagne di immunizzazione, l’Unione Europea si è mossa con irreparabile ritardo. Fino ad adesso, i vaccini prodotti su territorio europeo e esportati in tutto il mondo sono stati 41,5 milioni e solo grazie ad alcuni provvedimenti, come il “meccanismo temporaneo di trasparenza e autorizzazione”, si è potuto arrestare la fuoriuscita.
Far ripartire il “sistema Italia” al più presto vorrebbe dire ottenere un vantaggio competitivo rispetto alle altre realtà nazionali. In particolare, l’obiettivo di raggiungere l’“immunità di gregge” già in estate permetterebbe di rilanciare uno dei settori d’eccellenza per il Belpaese, il turismo.
Esso infatti rappresenta il 13% del Pil nazionale e impegna 3,5 milioni di persone. Non è una coincidenza che Paesi come Grecia e Spagna, dove il settore è altresì ben sviluppato, stiano concentrando una quantità importante di vaccini nelle zone ad alto interesse turistico. Inoltre, analizzando esempi nazionali come il breve periodo della Sardegna in zona bianca, possiamo notare come la creazione di bolle “covid-free”, o perlomeno a rischio basso, accompagnerebbe una ripresa rapida e significativa, sostenuta da settori trainanti quali quelli della ristorazione e dell’alberghiero. Ancora, data l’inevitabile riduzione del turismo internazionale, vantaggioso sarebbe anche lo sviluppo del turismo locale, e in special modo quello relativo alle città d’arte, che storicamente sono trascurate dai nostri connazionali.
Da non sottovalutare poi sarebbe la ripartenza della vita quotidiana. Il risveglio della vita sociale potrebbe essere un punto di divergenza sostanziale. Interventi mirati alla sfera reddituale delle famiglie, infatti, potrebbero incentivare ancor di più le imprese a offrire nuovi prodotti e servizi. Sembra averlo capito l’amministrazione Biden, dove del nuovo bazooka di stimoli ben 1000 miliardi saranno garantiti al sostegno dei cittadini, con provvedimenti quali ristori una tantum di 1400 dollari e sussidi settimanali di 300 dollari per chi ha perso il lavoro. E se analisti come Larry Summers hanno posto dubbi sulle dimensioni del piano, facendo presente il rischio di essere catalizzatore per inflazione e debito pubblico, ciò non è paragonabile al caso europeo.
Difatti gli investimenti risultano essere, oltre che di dimensioni contenute, rivolte a gruppi di Paesi che non hanno recuperato margini di crescita sperati, trovandosi ancora in una fase di stagnazione. È dunque il caso italiano, colpito profondamente da un blocco sistemico, che può invece adesso pensare di rilanciare la propria economia con due interventi paralleli: uno legato al deficit nazionale, tutelato dal marchio BCE, per incentivare i consumi, e uno legato al “Piano nazionale di ripresa e resilienza”, che si concentra invece sugli investimenti strutturali.
In conclusione, il Paese e il sistema europeo si trovano davanti a una svolta epocale. Mai come adesso riprendere la strada della crescita significherebbe dare un punto di rottura con le tendenze economiche degli ultimi anni. I nuovi programmi potrebbero guidare una rivoluzione dei sistemi produttivi nazionali, non solo dal versante tecnologico, ma anche dal lato della competitività internazionale. Tuttavia, nulla di tutto ciò è applicabile se non raggiungiamo in fretta una vittoria definitiva contro la lotta al virus. Proprio per questo l’unico metodo a disposizione è quello di rilanciare e velocizzare le campagne di somministrazione, sostenendo il più possibile le imprese che offrono i migliori segnali di ripresa.
Jacopo Magnacca