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Via quota 100, cashback e 100 euro (ex 80) per un vero Recovery fund
L’autore di questo post è Costantino Ferrara, vice presidente di sezione della Commissione tributaria di Frosinone, già giudice onorario del Tribunale di Latina, presidente Associazione magistrati tributari della Provincia di Frosinone –
La ripresa dalla crisi pandemica passa necessariamente dal modo in cui saremo capaci di impiegare le risorse del Recovery fund. Non a caso, il nuovo premier ha tenuto “in mano” i ministeri maggiormente coinvolti nell’utilizzo di questi fondi, assegnandoli a tecnici vicini, lasciando alla politica le altre poltrone, in modo tale da accontentare i partiti chiamati a sostenerlo.
Esiste, a mio avviso, un’ulteriore possibilità di svolta per il Paese, sempre ragionando da un punto di vista economico, che consiste nell’eliminare una serie di misure superflue, o quantomeno rivelatesi inefficaci in relazione al loro costo: in maniera tale da ottenere un extra budget, una sorta di Recovery fund 2.0, moltiplicando la portata dell’intervento di rilancio.
Di sicuro, ci vuole coraggio. Si tratta di misure emblematiche, intraprese dai precedenti esecutivi, elette a emblema delle proprie, rispettive bandiere.
Ecco quali sono quelle che si potrebbero eliminare:
1. Il reddito di cittadinanza
I motivi per i quali questa misura non merita conferma sono, ahinoi, ben noti a tutti. Oltre ad avere un costo enorme, la stessa non ha prodotto i risultati sperati in termini di reinserimento nel mondo del lavoro, con il fallimento del sistema dei navigator. Rivelatasi una mera forma di assistenzialismo, la stessa risulta anacronistica, visto che il sostegno, nell’attuale contesto, serve altrove, alla luce della crisi che ha investito l’apparato “produttivo”, da salvaguardare con maggior veemenza rispetto a quello “non produttivo”. Val la pena di impiegare in questo modo circa 8/9 miliardi l’anno?
2. La lotteria degli scontrini e il cashback
Entrambe le misure rientrano nel più ampio programma “Italia cashless” che mira ad incentivare l’utilizzo di strumenti di pagamento elettronici, a discapito del contante. A tal fine, esiste anche un portale web dedicato, “cashlessitalia.it”, a firma della Presidenza del Consiglio dei Ministri, in cui le misure vengono spiegate e sponsorizzate con meccanismi tipicamente commerciali.
Premesso che la lotta strenua e disperata all’utilizzo del contante non appare consona al tessuto economico e sociale di riferimento (nel nostro Paese, gli usi e costumi sono differenti rispetto ad altre realtà europee), quantomeno la stessa necessiterebbe di un approccio più graduale e programmato, e non di misure spot dalla discutibile utilità, che si prestano più che altro a giochetti e furbate dei soliti nostri connazionali.
È recente la notizia che i “vincitori” del cashback, ovvero quelli che si sono piazzati più in alto nelle classifiche di spettanza del bonus, altro non sono che furbetti da divano, che hanno semplicemente installato un POS senza partita Iva e registrato, comodamente da casa propria, le transazioni necessarie per aggiudicarsi l’incentivo statale. È questo il nostro background di riferimento, è il caso che chi fa le leggi ne prenda coscienza e si regoli di conseguenza. Misure che dovrebbero incentivare l’economia “pulita”, ridurre l’evasione, sostenere le fasce più deboli, si rivelano null’altro che un meccanismo premiale per i più furbi. E sono altri soldi dello Stato (appena qualche miliardo di euro…) che vengono dispersi in questo modo. Vale la pena?
3. Gli 80 euro di Renzi (ora 100)
In questo caso, mi rendo conto che si tratta di minare un baluardo ormai divenuto quasi intoccabile, perché rivolto ad una vastissima platea di cittadini (elettori…). Tuttavia, il periodo richiede scelte coraggiose e non possiamo non considerare il costo esorbitante di questa misura (circa 10 miliardi all’anno), calata nel contesto economico attuale in cui il mondo delle partite iva è stato sicuramente più danneggiato rispetto ai lavoratori dipendenti. Anzi, si è creata proprio una pericolosa dicotomia tra le due categorie (autonomi e dipendenti), l’una favorevole ed anzi inneggiante alle misure restrittive per fronteggiare l’emergenza (i dipendenti), l’altra decisamente meno contenta delle chiusure (gli autonomi).
Sono tempi di sacrifici: per quanto sia impopolare ed anti demagogico, avrebbe senso richiederne uno alla categoria che è risultata meno colpita dall’emergenza, per operare una più equa distribuzione degli aiuti e delle risorse a disposizione.
4. Quota 100
Anche in questo caso, come, nel precedente, si tratta di una scelta dolorosa, per quanto forse più semplice a verificarsi, posto che alla fine del 2021 la misura giungerà al termine del proprio periodo di prova triennale e difficilmente sarà rinnovata. Il punto è sempre lo stesso: il contesto emergenziale non lascia spazio a questo tipo di facilitazioni (o misure populistiche, secondo altra accezione).
Di certo si dovrà limitare la differenza tra chi è potuto andare in pensione a 62 anni con quota 100 e chi sarebbe costretto ad aspettare i 67 anni, come da Legge Fornero. È un settore su cui intervenire, ma la riconferma dell’attuale sistema rappresenterebbe un sacrificio sanguinoso per le casse erariali che, in questo momento, non ci si può permettere. Avrebbe senso, semmai, intervenire in maniera differenziata, riconoscendo la possibilità di andare prima in pensione a quelle categorie di lavoratori maggiormente “provati” dal lavoro, in base alla tipologia dello stesso. In altri settori, invece, è addirittura insensato pensare di anticipare il pensionamento, considerando anche il naturale allungamento della vita e dei suoi stili (un sessantenne di oggi è diverso da un sessantenne di trenta anni fa).
5. Deduzioni e detrazioni a casaccio
Chiunque conosca il sistema fiscale, è concorde nel definire lo stesso una foresta indistricabile, in cui si aggrovigliano siepi di detrazioni e deduzioni d’imposta introdotte mano mano, negli anni, senza un capo né una coda. Questo, oltre a rendere estremamente complesso il sistema, rappresenta anche un costo molto rilevante per le casse erariali, con sconti distribuiti in maniera non programmatica, che si rivelano dei “regalini” a destra e a manca privi di un concreto e sistematico effetto benefico.
La materia è estremamente complessa ed intervenire sulla stessa richiede enormi sforzi, sia da un punto di vista quantitativo/temporale, che qualitativo. Ma non vedo momento migliore, se non questo, per iniziare ad agire.
Con queste 5 linee di intervento (ma ve ne sarebbero altre), le risorse a disposizione per pianificare la ripresa aumenterebbero in maniera significativa. Abbiamo in casa un altro Recovery fund. Anzi, mentre quello europeo rappresenta pur sempre un prestito, queste risorse non andrebbero restituite a nessuno, sarebbero un contributo “a fondo perduto” per il Paese. Ne avremo davvero il coraggio?