categoria: The Economiste
Sostenibilità e digitalizzazione possono far nascere un altro capitalismo?
Post di Azzurra Rinaldi, responsabile del corso di laurea in Economia del turismo presso l’Università degli Studi di Roma Unitelma Sapienza –
Ne parliamo da mesi: il piano strategico di Next Generation EU si snoderà lungo due aree di intervento prioritario: la transizione digitale e la transizione verde. Queste rappresenteranno le priorità nelle linee di finanziamento del piano straordinario previsto dall’Unione Europea per i paesi che sono stati più duramente colpiti dalla pandemia, sia sotto il profilo sanitario che (di conseguenza) sotto il profilo economico. In maggiore dettaglio, alla transizione digitale, secondo le indicazioni della Commissione Europea per l’elaborazione dei piani di recepimento dei governi nazionali, dovrà andare almeno il 20% dei fondi ed alla transizione verde dovrà essere destinato invece almeno il 37% dei fondi.
Per il nostro paese, si tratta di una vera e propria sfida: entrambi sono settori nei quali il volume delle imprese italiane è ancora modesto. Pertanto, l’indicazione settoriale della struttura di NextGen richiede una visione strategica di sistema per potenziare queste due aree (sia la transizione verde che quella digitale), in particolar modo alle aziende che operano nel settore.
È quanto è emerso anche nel corso dell’evento “#MeetEnel – Enel’s 2030 strategic vision: a decade of opportunities”, che ha avuto recentemente luogo (online, ça va sans dire).
Tra i temi centrali che ne sono emersi, uno è stato ricorrente, ovvero la rivoluzione (in corso e futura) nel settore energetico, che inevitabilmente produrrà ripercussioni sulla vita quotidiana delle persone.
È quanto abbiamo ascoltato anche dal CFO di Enel, Alberto De Paoli: “Le compagnie che operano nel settore delle utilities sono al centro di questa rivoluzione. Il sistema energetico stesso si accinge ad una profonda trasformazione rispetto a quanto abbiamo osservato sinora. Nell’ambito dell’energia elettrica, la nostra esperienza sinora è legata alla presenza di grandi impianti e di una platea di consumatori a cui viene attribuito un ruolo sostanzialmente passivo. Nel futuro, oltre ad una moltiplicazione enorme delle opzioni disponibili, il ruolo stesso dei consumatori si modificherà, divenendo sempre più attivo”.
Ricordiamo, tuttavia, che la sfida a cui le compagnie energetiche sono chiamate a rispondere non si richiama unicamente all’ambito della produzione verde, ma interessa anche il tema della digitalizzazione. E che si tratta, per il nostro paese, di un obiettivo piuttosto complesso. Il recente Rapporto ISTAT su Imprese ed ICT evidenzia una relazione ancora conflittuale delle imprese italiane con le tecnologie digitali più avanzate. Basti pensare che, nell’ultimo anno, l’82% delle imprese che contavano almeno 10 addetti non ha adottato più di 6 tecnologie tra le 12 previste dall’indicatore europeo di digitalizzazione (e che, nel Sud Italia, tale quota sale all’87,1%). All’interno di questo contesto dinamico (e, nell’ultimo anno, caratterizzato da un’incertezza che raramente abbiamo sperimentato), più che mai il fattore tempo può fare la differenza. E, come sempre avviene sui mercati, i firstcomers riescono a costruire un vantaggio che deriva dal loro posizionamento strategico in anteprima.
De Paoli ci racconta che, intuendo i trend in arrivo, 5 anni fa Enel ha virato verso una maggiore sostenibilità, investendo proprio in energie rinnovabili e nella digitalizzazione delle proprie infrastrutture, con un approccio che non può che essere totalmente condivisibile. De Paoli infatti afferma: “Non è una decisione etica, è una decisione di business”. E proprio grazie a queste decisioni, la compagnia è attualmente leader mondiale nei tre asset che guideranno la rivoluzione del futuro: le fonti rinnovabili (per le quali sono il più grande operatore privato al mondo), la distribuzione (anche in questo caso, Enel è leader mondiale per con più di 74 milioni di utenti connessi alle reti elettriche del Gruppo,) e consumatori (con circa 70 milioni di clienti, Enel è la maggiore utility privata mondiale sotto questo profilo).
Anche se in questo caso, come talora accade, la creazione di valore aziendale può coincidere con la creazione di valore collettivo: uno shifting verso una produzione di energia sostenibile in quanto rinnovabile produce non solo utili per l’azienda, ma anche un incremento di benessere collettivo. Jacopo Gilberto ci ricordava qualche mese fa, proprio sulle pagine del Sole24Ore, come le imprese impegnate nella green economy fossero più solide anche in caso di crisi, performassero meglio nelle esportazioni e guidassero la spinta verso l’innovazione.
Tendenze confermate dal Rapporto GreenItaly 2020, che mostra come oltre il 31% delle imprese extra-agricole ha investito nel green, nel periodo compreso tra il 2015 ed il 2019.
Come dicevamo, ne beneficia la collettività, ma ne beneficiano anche le aziende. Enel, per esempio, nel corso degli ultimi 5 anni è passata dal un valore di 35 miliardi di Euro ad un valore di 90 miliardi di Euro, una crescita che De Paoli spiega prevalentemente con la revisione delle strategie aziendali in una prospettiva sostenibile e digitale.
L’idea di una compagnia che lavora per la creazione di valore non solo aziendale e neppure unicamente per gli azionisti ma per tutti gli stakeholders, (quindi, in teoria, per tutte e tutti noi) appare realmente come una rivoluzione. E ci fa ipotizzare la nascita di un tipo diverso di capitalismo. Il quale, tuttavia, è legato ad una reale e profonda revisione dei meccanismi e degli obiettivi di governance, che pongano realmente al centro la “next generation” (stavolta in minuscolo). Siamo pront*?
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