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Foreste e investimenti nel lungo periodo: è nata una nuova asset class?
Post di Marco Sironi, financial controller nel settore della finanza immobiliare –
Il rapporto tra uomo e foreste è da sempre espressione delle fluttuazioni demografiche e dei cicli economici. Disponibilità di legname e necessità di nuove terre coltivabili sono stati i principali fattori che hanno spinto l’Uomo a disboscare interi territori già in antichità. Forse il caso simbolo è la Sicilia, dapprima inesauribile fonte di legname, poi interamente disboscata per essere trasformata nel “granaio dell’Impero” della Repubblica Romana. E se oggi le stesse sorti toccano oggi a Sud America, Africa e India, in Italia e Unione Europea sta accadendo – per fortuna – l’esatto contrario.
Negli ultimi 30 anni, in Europa, foreste e aree boschive sono aumentate del 6%, pari a circa 10 milioni di ettari, molto più di quanto ci si potrebbe aspettare (Eurostat, 2020). Ciò significa che dal 1990 le nostre foreste sono cresciute di un’area più ampia del Portogallo, arrivando a coprire il 40% delle terre emerse, e sono destinate, almeno per qualche anno, a crescere ulteriormente. Le ragioni alla base di questa espansione sono state poche ma decisive: l’industrializzazione e la conseguente fuga dalle campagne, l’abbandono dei pascoli rurali e dell’agricoltura d’altura, l’utilizzo del gas naturale nel riscaldamento domestico al posto della legna. Non essendo più la fonte primaria da cui attingere le risorse come accadeva un tempo, le foreste non sono più state mantenute dall’uomo, ampliandosi in modo incontrollato ed esponendosi all’abbandono e agli incendi. Se è vero che le foreste possono rappresentare un elemento chiave nella lotta al cambiamento climatico e nella conservazione della biodiversità, stimolarne una seria valorizzazione sembra una scelta più che ragionevole. Peraltro, emerge dai dati che la via meno costosa per contrastare i cambiamenti climatici (espressa in $/000 per tonnellata di CO2 emessa) sia proprio quella della riforestazione (Gillingham et al., 2018).
Gestione forestale e investimenti a lungo termine: si può trovare una quadra?
Negli ultimi anni gli investimenti a lungo termine sono diventati di primaria importanza nelle economie più sviluppate. Con i sistemi pensionistici messi a dura prova dai cambiamenti della piramide demografica sempre più sbilanciata verso l’alto, piani di accumulo del capitale o fondi pensione integrativi sono sempre più scelti dagli investitori. Ne scaturiscono due previsioni: una, in primo luogo, riguardo l’andamento degli investimenti a lungo termine che sono destinati a crescere, l’altra, in secondo luogo, in relazione alla tipologia di prodotti finanziari che verranno maggiormente richiesti. Gli 8,5 miliardi di euro di BTP Green a 30 anni collocati dal Tesoro a fronte di una richiesta di oltre 80 miliardi, lasciano ben sperare sulle frontiere di investimento di natura ESG (acronimo di Environmental, Social e Governance), siano essi bond o anche strumenti di equity. Quindi, sorge spontanea la domanda: perché non effettuare investimenti nel patrimonio forestale globale? Non si tratta di un mero tema ambientalista, ma di un’opportunità reale per i mercati.
Fino ad ora la gestione delle foreste è rimasta prerogativa pubblica, e non sono certo mancati alcuni interessanti progetti di riforestazione programmata o protezione della biodiversità. Sarebbe utile, tuttavia, anche una certa proattività da parte dei privati. Un primo obiettivo dell’Unione Europea potrebbe essere quello di incoraggiare aziende e fondi di investimento nella gestione di foreste durante tutte le fasi (piantumazione, gestione e approvvigionamento risorse) tramite policy ad hoc, favorendo un utilizzo controllato delle risorse che sia in grado di garantire ritorni all’investitore senza impattare negativamente l’ecosistema. Un ulteriore obiettivo, possibilmente condiviso dalle nazioni che hanno sottoscritto l’Accordo di Parigi, potrebbe essere quello di vincolare le aziende a detenere quote di fondi di investimento “green” in proporzione alle emissioni di CO2, o di contribuire alla riforestazione programmata di determinate aree. Creare, per tirare le somme, un mercato che superi alcuni paradossi del mercato dei crediti verdi, stimolando le aziende a intraprendere azioni concrete (riforestare o mantenere intatte aree verdi). Se policy di questo tipo risultano attuabili nei paesi più stabili politicamente, nelle realtà in via di sviluppo, che spesso coincidono con le aree più sfruttate, ciò risulta più complesso. La vera sfida è questa.
Dalla teoria alla prassi
Disboscamento e desertificazione sono fenomeni che hanno impattato negativamente il nostro pianeta negli ultimi decenni. Si innesta un circolo vizioso con i cambiamenti climatici già in atto, che ormai anche in Italia, pase a clima temperato, hanno causato danni enormi. La riforestazione di aree disboscate e la gestione delle foreste esistenti da parte di enti privati, finalizzata ad un utilizzo responsabile delle risorse che crei valore per gli stakeholder, sono la chiave di un futuro sostenibile. Più complesso è per i paesi nel sud del mondo o in via di sviluppo, dove una presa di coscienza collettiva dei cambiamenti climatici è ancora allo stato embrionale: spetterà ai paesi più ricchi creare le condizioni per degli investimenti più sostenibili.
Twitter @MarcoSironi5