categoria: Res Publica
La frugalità dei sessantenni, la politica, i giovani all’angolo
Dopo aver criticato il progetto dell’Inps – guidato da Tito Boeri – “Non per cassa ma per equità” , il deputato del Pd Giampaolo Galli (con un passato in Banca d’Italia e in Confindustria) sull’Unità ha concluso così: “Ora sarebbe molto utile un supplemento di chiarezza per tranquillizzare del tutto i pensionati e indurli a comportamenti di consumo improntati più alla fiducia che alla paura, come è giusto che facciano alla loro età e come è utile per la ripresa dell’economia”.
Purtroppo per noi è davvero difficile che gli auspici di Galli possano realizzarsi, poiché in Italia la distribuzione della ricchezza e il reddito evidenzia profonde concentrazioni, a favore della coorte degli over 55, i quali, avendo delle pensioni (nella stragrande maggioranza dei casi immeritate poiché calcolate con truffaldino metodo retributivo) ben superiori ai redditi dei giovani, destinano il reddito in eccesso al risparmio.
Chi è nato prima del 1950, tipicamente ha uno stile di consumo sobrio, difficilmente è disposto a spendere per il nuovo modello di iPhone6, si accontenta di un Nokia di 10 anni fa.
Come fa notare Paolo Legrenzi (Frugalità, il Mulino, 2014), se traduciamo frugalità in tedesco, abbiamo il termine genügsamkeit, cioè l’avere abbastanza (genüg, abbastanza): ci si “riferisce a una frugalità antica, all’aver abbastanza dei beni collegati a un tenore di vita semplice”. Ne deriva che la propensione marginale al consumo dei giovani è ben superiore a quella dei sessantenni, i quali, peraltro, ben difficilmente si rivolgeranno al credito al consumo.
Come evidenziano i grafici qui in alto, gli italiani che detengono la maggior parte della ricchezza sono gli over 50. Se non osiamo toccare le pensioni oltre i 5mila euro, state tranquilli che aumenterà il risparmio, non i consumi. Così come il farmacista in oligopolio con il reddito non speso compra Bot e Btp, così il pensionato a retributivo risparmierà parte della sua pingue pensione, a scapito dei consumi. Sono i giovani che vorrebbero consumare, ma non possono poiché precari, con basso (e discontinuo) reddito e poche tutele.
In Italia preferiamo pensare a chi non lavora – pensionati – e investire sul passato, piuttosto che pensare ai giovani, ai neet (chi non lavora né studia, il 30% dei giovani in Campania e Calabria), al futuro.
Fatto cento il consumo medio dei 19 partner dell’euro, l’Italia è bloccata a 96,5. Dal 2011 al 2014 l’Italia è il Paese Ue che ha subito il maggior calo dei consumi. Con il calo marcato degli investimenti fissi lordi e i consumi in stallo, l’unica via di uscita dalla recessione più lunga del Dopoguerra sono state le esportazioni.
La forte propensione al risparmio degli italiani è connessa con alcune caratteristiche del nostro Paese, cioè il basso livello degli ammortizzatori sociali, nonché la presenza strutturale del piccolo commercio, dell’artigianato e di altri settori di piccola impresa.
Premesso che ciò che manca al Pil italiano rispetto alla crisi sono gli investimenti, come fare ripartire i consumi? Favorendo i più giovani, che tipicamente hanno redditi sotto i 1.500 euro. Quando la politica politicante spinge per ridurre le disuguaglianze, ogni tanto si ricordi – oltreché dei pensionati – anche di loro.
Twitter @beniapiccone