categoria: Res Publica
Il Draghi 1 è il migliore dei governi possibili e i 5 stelle i grandi sconfitti
Vittorio Colao, manager di caratura mondiale, era stato incaricato, dal Governo guidato da Giuseppe Conte, di stendere un Piano per la ripresa strutturale del Paese. Colao chiamò a sé diverse persone (tra cui Roberto Cingolani, neo ministro della Transizione Ecologica), stese il piano, lo consegnò al premier, che bellamente non ne fece nulla. Questo è il mantra del grillismo: farsi belli chiedendo consiglio a persone autorevoli e poi fare l’opposto. Una strategia che fortunatamente non ha pagato. Conte è andato in piazza col banchetto come fosse un venditore di castagne e Colao – vivaddio – è ministro dell’Innovazione tecnologica.
Matteo Renzi, vero deus ex machina, è riuscito in una missione quasi impossibile: mandare a casa un governo di cialtroni, una massa di incompetenti populisti che volevano aprire il Parlamento come una scatoletta di tonno, ma, a ben vedere, la tonnara l’hanno subita.
Conte (mediocre assoluto, mai si era visto un presidente del Consiglio taroccare il curriculum), Azzolina, Bonafede, Spadafora (che ha rischiato di non farci andare alle Olimpiadi con una riforma del Coni campata per aria) sono andati a casa.
E cosa abbiamo ottenuto? Un risultato confortante: Draghi al posto di Conte (ullallà), la giurista Cartabia invece di Bonafede, l’economista Giovannini al posto di Toninelli (Conte1), il direttore generale della Banca d’Italia Franco nella stanza dei bottoni del Tesoro invece dello storico contemporaneo Gualtieri.
Il Movimento 5 Stelle è il grande sconfitto di questa fase politica. Nei posti chiave SuperMario ha nominato persone di alta levatura invisi al grillismo.
Roberto Garofoli, sottosegretario alla presidenza del Consiglio (vale più di un ministero), era stato allontanato a dicembre nel 2018 con un pretesto, accusato di essere la “manina” che spostava risorse dalla legge di bilancio gialloverde penalizzando il reddito di cittadinanza (disegnato male, illusorio, dove i beneficiari non ne avevano diritto, con la pessima saga dei navigator).
Quando i grillini vinsero le elezioni nel 2018, Daniele Franco, gran commis di Stato, svolgeva ottimamente il ruolo di Ragioniere Generale dello Stato, l’organo supremo che procede alla “bollinatura” (verifica della copertura delle nuove leggi di spesa). Quando la spesa corrente vola come nel BelPaese c’è assoluto bisogno di un ferreo controllore. Siccome Franco lavorava bene e si rifiutava di bollinare le spese senza copertura, i grillini ne incoraggiarono l’uscita di scena nel maggio 2019.
Daniele Franco sarà colui che stenderà il Recovery Plan. Sperabilmente prenderà il documento scritto da Conte e lo butterà nella spazzatura. Chiamerà Vittorio Colao, autore di un ottimo piano nemmeno preso in considerazione, e stenderà un documento credibile e serio da presentare alla Commissione europea.
Non va dimenticato che nel 1993 Franco scrisse per il Mulino il volume “L’espansione della spesa pubblica in Italia (1960-1990)” per cui è ben consapevole, nelle parole di Draghi, che esiste un “debito buono” e un “debito cattivo” che sarà sul groppone delle prossime generazioni.
Purtroppo siamo andati avanti per anni a ingrossare la spesa pubblica corrente (l’austerity non si è mai vista nel settore pubblico), a discapito degli investimenti. E per di più gli investimenti sono stati dirottati su opere senza senso. Per ogni progetto va fatta l’analisi costi-benefici (così come ripetono a piè sospinto valenti studiosi come Marco Ponti e Francesco Ramella). Altrimenti il debito cattivo impedirà la crescita economica per generazioni. Enrico Giovannini, ministro dei Trasporti, è la persona giusta e non deluderà.
Sarebbe opportuno che Franco disboscasse la pletorica spesa assistenziale. Visto che Carlo Cottarelli non è stato coinvolto, perché non farlo tornare come Commissario alla spending review? Si potrebbe incentivare il sistema pubblico, dirottando sugli investimenti ogni taglio alla spesa pubblica corrente, rifacendosi al governatore Paolo Baffi (1911-1989) che nelle Considerazioni finali del 1978 scrisse: “Se si è convinti che la spesa pubblica corrente ha raggiunto valori insostenibili, che essa non risponde in modo appropriato alle esigenze sociali e che per di più ha in sé fattori di ulteriore deterioramento quantitativo e qualitativo, occorre intervenire senza ulteriori indugi e senza mezze misure». Quando vediamo tra i beneficiari del reddito di cittadinanza alcuni malavitosi, come denuncia Alessandra Dolci della Procura distrettuale antimafia, qualche domanda ce la dobbiamo fare.
I critici di questo governo – il migliore possibile – vedono nei membri politici un vulnus. Ma Orlando o Gelmini non li ha mica messi Draghi (che invece sarà il vero ministro degli Esteri, al posto della controfigura Luigi Di Maio). Sono stati scelti da PD e Forza Italia. Cerchiamo di essere realisti. L’economista “in esilio americano” Sandro Brusco su Twitter, scherzando ma poi non così tanto, ha scritto che “passerà all’opposizione dura se tra i sottosegretari comparirà Laura Castelli”, nota per la sua crassa ignoranza combinata con la supponenza del “questo lo dice lei”, rivolto al ministro Pier Carlo Padoan, che ne sa 1000 volte più di lei. L’opposizione costruttiva è di per sé utile al governo stesso, che può trarre vantaggio dalle critiche. È dalla discussione franca che nascono le migliori idee.
Quando Carlo Azeglio Ciampi divenne presidente della Repubblica, scelse come suo portavoce Arrigo Levi. Conte nominò Rocco Casalino, noto per aver partecipato al Grande Fratello. Per cui, stappiamo insieme una bottiglia di vino buono, magari un Amarone delle terre veronesi, a due passi da Padova, città natale di Carlo, papà di Draghi.
Twitter @beniapiccone