Investimenti più che ristori. La rinascita non passa dalla movida

scritto da il 09 Febbraio 2021

L’autore di questo post è Antonino Iero, oggi in pensione, già responsabile del Centro Studi e Ricerche Economiche e Finanziarie di UnipolSai–

La pandemia che sta tenendo in scacco buona parte del pianeta ha avuto effetti particolarmente rilevanti su Paesi occidentali. Vi sono numerose ragioni che spiegano tale risultato, non ultima delle quali la limitata incisività dell’intervento di molti governi democratici che, a differenza di quanto accade nelle nazioni a regime autoritario, hanno dovuto tenere conto del rispetto, almeno parziale, delle libertà individuali. Ciò forse ha reso meno efficace l’intervento di contrasto alla diffusione del virus. Ma ha ribadito l’irrinunciabilità di valori, come la libertà e il rispetto dell’individuo, che sono alla base delle società in cui vogliamo vivere.

Tuttavia, anche limitando il confronto con le nazioni democratiche, la gestione della pandemia in Italia è apparsa insoddisfacente. Infatti, nonostante le pesanti limitazioni allo spostamento dei cittadini e all’attività economica, la mortalità nel nostro Paese (misurata come numero dei morti a causa del COVID-19 in rapporto alla popolazione) è risultata tra le più alte al mondo (1). Numerose analisi riportano e spiegano tale desolante risultato (2). Naturalmente, vi sono molteplici fattori alla radice dell’insuccesso del nostro Paese nel gestire l’emergenza COVID. Certamente, la compagine governativa si è dimostrata non all’altezza della situazione. Ma, d’altra parte, l’impreparazione ad affrontare l’attacco pandemico trova fondamento anche nelle scelte di politica economica e sanitaria attuate dai governi precedenti. Senza voler semplificare la questione, che è senza dubbio complessa, giova ricordare che difficilmente un Paese impoverito (come l’Italia) può “permettersi” un sistema sanitario da Paese ricco.

Comunque, per fare un confronto dei risultati conseguiti, si può esaminare il grafico che segue, dove sono paragonate le prestazioni di alcune tra le principali nazioni europee classificate secondo due misure: il tasso di mortalità da COVID espresso come numero dei morti in rapporto alla popolazione e la stima della dinamica reale del PIL nel 2020 (3).

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Come si vede, l’Italia ha avuto meno morti del Belgio (in proporzione alla popolazione), ma un risultato economico peggiore. Viceversa, il nostro Paese registra una minore decrescita del PIL nei confronti della Spagna, ma una mortalità superiore. In sostanza, nell’area disegnata dalle due variabili considerate, l’Italia si trova sulla frontiera dei peggiori. Va sottolineato come emerga una apprezzabile correlazione inversa tra queste due variabili (-56,7% il coefficiente di correlazione lineare). Questo, naturalmente, non implica vi sia una relazione di causalità tra i due fenomeni, però spinge ad approfondire la questione.

È opportuno notare come vi siano alcune attività economiche che, per la loro natura, contribuiscono a favorire la diffusione delle epidemie e, in questo caso, anche del Coronavirus: si tratta del settore che raggruppa il commercio (all’ingrosso e al dettaglio), i trasporti, l’attività alberghiera (in senso lato) e la ristorazione (definiremo tale comparto come TTAC, da Trade, Transport, Accomodation e Catering). D’altra parte, non a caso, si tratta degli stessi settori più penalizzati dalle misure di distanziamento sociale messe in opera dai governi per limitare la diffusione del contagio. L’ipotesi è che i Paesi la cui struttura produttiva è più sbilanciata verso tale comparto siano, contemporaneamente, quelli con una considerevole incidenza dei morti sulla popolazione (4) e quelli con la peggiore prestazione in termini di crescita del PIL.

Per indagare sulla relazione tra peso del settore TTAC, qui misurato dall’incidenza degli addetti del settore sull’occupazione totale (5), e mortalità da COVID si esamini il grafico che segue, dove sono stati classificati i 17 Paesi europei secondo le due variabili citate.

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La relazione si mostra positiva (all’aumentare del peso del numero di addetti del settore TTAC, in media, aumenta anche il tasso di mortalità), anche se non appare particolarmente “forte” (coefficiente di correlazione lineare 33,7%). Questo non stupisce, poiché, come sappiamo, la mortalità effettiva da COVID dipende da numerosi fattori, molti dei quali estranei alla composizione degli addetti per settore economico. In effetti, qui trova conferma il fatto che la maggiore socialità connessa alle attività incluse nel comparto TTAC sia una condizione “necessaria ma non sufficiente” per determinare l’elevata mortalità da COVID.

Per completare il ragionamento ed esaminare l’effetto in termini di dinamica economica, qui sotto abbiamo rappresentato, nell’usuale diagramma a dispersione, la relazione tra peso, sul totale, del valore aggiunto del comparto TTAC (6) e la variazione del PIL 2020 stimata dal Fondo Monetario Internazionale (WEO ottobre 2020).

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In questo caso, si rileva una non trascurabile relazione (inversa) tra questi due parametri (il coefficiente di correlazione lineare è pari al -54%): in media, più aumenta il peso del valore aggiunto generato dal settore TTAC, più il PIL del 2020 tende a scendere (7). È interessante rilevare come, in effetti, i Paesi più sbilanciati verso i settori TTAC presentino spesso le peggiori performance economiche. Tra questi si trova anche l’Italia, associata, ancora una volta, alle altre economie “deboli” (Portogallo, Grecia e Spagna). Evidentemente, la crisi pandemica ha messo alle corde i loro sistemi produttivi, caratterizzati, pur in contesti diversi, da una elevata incidenza delle attività di commercio (all’ingrosso e al dettaglio), trasporti, ricezione alberghiera e ristorazione.

Se è facilmente intuibile la fragilità sanitaria ed economica, in occasione di una pandemia, di attività che hanno il loro fulcro nella socialità e nel “libero” spostamento delle persone, meno ovvia può apparire la necessità di correggere l’eccessivo sbilanciamento dei sistemi economici verso il settore TTAC.

In questo senso, la politica, attuata dal governo italiano, dei ristori e del supporto economico agli operatori più colpiti dalle misure attuate contro la diffusione della pandemia, se appare doverosa per superare la fase iniziale della crisi economica, risulta però non sostenibile e addirittura poco desiderabile in termini prospettici. Essa, infatti, segue il criterio secondo cui “per il futuro dobbiamo puntare a far ripartire i settori più danneggiati dalla pandemia”. Commettendo un errore logico purtroppo sperimentato più volte in Italia: quando, dopo un terremoto, i fondi per la ricostruzione sono usati per edificare immobili privi di requisiti di asismicità, si sta solo finanziando la creazione di future macerie (“compito” che sarà diligentemente svolto dal terremoto successivo); se un’inondazione travolge un’abitazione, è sciocco ricostruirla nello stesso posto, perché sarà abbattuta dalla prossima piena. Questo è ciò che il buon senso suggerirebbe.

Ecco perché, passata la prima emergenza e garantita la sopravvivenza del maggior numero delle attività economiche, sarebbe necessario che le risorse a disposizione per il rilancio dell’economia puntassero a sostenere lo sviluppo di aziende operanti in settori meno fragili (e a maggior valore aggiunto) di quelli travolti dalla attuale pandemia. La auspicabile ripresa del nostro Paese non sarà frutto del rilancio della movida nei centri storici delle città italiane, bensì il risultato dello sviluppo delle attività manifatturiere, della ricerca scientifica, delle energie rinovabili, delle biotecnologie, dell’intelligenza artificiale, etc. Sono questi gli ambiti dove sarà possibile creare opportunità di crescita economica e occupazione in grado di offrire una solida prospettiva a imprese e lavoratori.

Infatti, è bene non dimenticare che i fenomeni alla base della nascita e della diffusione del Coronavirus sono tuttora in atto: dall’antropizzazione di aree sempre maggiori del pianeta (fattore che comporta un più frequente contatto umano con specie animali selvatiche, portatrici di virus sconosciuti); fino al processo di globalizzazione, a causa del quale il rapido spostamento di persone su grandi distanze favorisce una veloce diffusione degli agenti infettivi. Il recente caso del virus Nipah (8) lascia chiaramente intendere che la possibilità di un esplosione pandemica legata ad un nuovo patogeno non possa essere esclusa. Senza contare che in futuro potremmo avere a che fare con malattie caratterizzate da un tasso di mortalità ben più alto di quello, in definitiva piuttosto modesto, del COVID-19: vi immaginate quali sarebbero, in tal caso, la portata e la durata delle misure di distanziamento sociale? Non sarebbe il caso, una volta tanto, di farci trovare preparati anche dal punto di vista della solidità (e della profittabilità) del nostro sistema economico?

email toni_iero@virgilio.it

NOTE

1. Per quanto riguarda la confrontabilità delle rilevazioni dei decessi da COVID tra i vari Paesi si veda Pagella Politica

2. Tra le tante, segnalo L. Ricolfi, La notte delle ninfee, gennaio 2021.

3. I dati sulla mortalità per 100,000 abitanti sono stati tratti dal sito della Johns Hopkins University e sono aggiornati al 16 gennaio 2021. La stima della variazione del PIL è stata ricavata dal World Economic Outlook del Fondo Monetario Internazionale (ottobre 2020). Non si è considerato l’aggiornamento della stima di gennaio2021 poiché l’IMF l’ha pubblicata solo per alcuni dei Paesi considerati.

4, Le attività comprese nel settore TTAC sono, per lo più, legate all’incontro, conviviale o di lavoro, tra le persone. È intuitivo come una maggiore socialità comporti una più rapida ed estesa diffusione del virus, condizione necessaria ma non sufficiente per determinare, in una data popolazione, una elevata mortalità. Su quest’ultima influiscono numerosi ulteriori fattori come la densità di popolazione, l’efficienza del sistema sanitario, gli stili di vita, la struttura per età, etc.

5. I dati, relativi al 2019, sono stati ricavati da Eurostat: Employment by A*10 industry breakdowns [NAMA_10_A10_E].

6, I dati, relativi al 2019, sono stati ricavati da Eurostat: National accounts aggregates by industry (up to NACE A*64) [NAMA_10_A64].

7. A riprova di tale effetto si è esaminato anche il legame tra peso del valore aggiunto delle attività TTAC e lo scostamento, rispetto al dato del 2019, della variazione del PIL nel 2020: anche in tal caso emerge una relazione negativa, con un coefficiente di correlazione lineare pari al -52,4%. Ossia, le nazioni maggiormente sbilanciate verso le attività TTAC sono quello che hanno registrato una più ampia caduta del PIL rispetto alla dinamica in essere nell’anno precedente.

8. BBC, The other virus that worries Asia, 12 gennaio 2021.