categoria: Vicolo corto
Il vero vantaggio per i professionisti del futuro? Le relazioni di valore
L’autore di questo post è Benedetto Buono manager nel Marketing & Innovation di un grande gruppo istituzionale che opera nei financial services –
“I dati sono il nuovo petrolio” è una frase che viene attribuita all’imprenditore e scrittore Andrew Keen: se, evidentemente, ciò è vero alla luce della indubbia pervasività attuale dei dati nell’azione quotidiana di ogni organizzazione più o meno strutturata, nonché nella vita di ognuno di noi, è forse anche vero che tale fenomeno non sarà più sufficiente a definire l’azione ed il successo delle aziende e, quindi, degli individui, nel prossimo futuro. Gli ultimi anni sono stati infatti caratterizzati da un incessante martellamento mediatico e accademico relativo al fatto che per restare competitivi occorresse costruire una cosiddetta data driven company, ovvero un’azienda che facesse dei dati – e delle decisioni basate sugli stessi – la principale fonte del proprio vantaggio competitivo. Basta pensare che solo in Italia e nonostante l’impatto del Covid, secondo i dati dell’Osservatorio Big Data & Business Analytics del Politecnico di Milano, nel 2020 il mercato degli Analytics è sì cresciuto meno rispetto agli ultimi anni (+6% dopo il +23% del 2018 e il +26% nel 2019), ma si è comunque attestato ad una cifra superiore agli 1,8 miliardi di euro, una cifra di tutto rispetto per un Paese come il nostro.
La visione che vuole il dato al centro dell’agire strategico, se è vero che è imprescindibile per la quasi totalità dei business contemporanei e che racchiude in sé tutta una serie di considerazioni altamente condivisibili, appare vera soprattutto oggi, nel momento presente: è verosimile, infatti, che il dato stia per diventare – e in molti casi sia già diventato – una pura commodity – assimilabile quindi in tutto e per tutto al petrolio di Keen – dove ancora le uniche differenze consistenti permangono nella velocità di fruizione e nell’intelligibilità dello stesso, con le conseguenti conclusioni che se ne riescono a trarre. Il dato, essenziale per portare l’uomo nello spazio così come per ricevere l’offerta e-commerce più adatta alle nostre esigenze, essendo massicciamente diffuso e difficilmente gestibile dall’essere umano, è diventato di fatto esclusivo appannaggio delle macchine, rafforzando la ragion d’essere delle stesse ed alimentando processi di calcolo e rappresentazione sempre più potenti, veloci e user friendly.
Bene così, dunque: il dato è oggi indispensabile e, in un qualche modo, tutti ne beneficiamo (pensiamo alla medicina). Domani, il dato sarà dato per scontato, utilizzando un banale gioco di parole. Dove risiede, quindi, la fonte del vantaggio competitivo di porteriana memoria per le organizzazioni e i professionisti del futuro? Probabilmente esso è da rintracciare nella più antica delle competenze trasversali: la capacità di intrattenere e far evolvere relazioni di valore. Questa affermazione assume ancora più significato se letta alla luce della trasformazione digitale e del mezzo virtuale, che abbatte le barriere e rende raggiungibile chiunque in ogni istante. Esemplificativo, da questo punto di vista, ricordare quanto emerso da una recente survey condotta da Adl Counsulting, che ha intervistato in forma anonima 50 professionisti del settore per capire come abbiano reagito alla situazione contingente: l’emergenza sanitaria, economica e sociale ha infatti inciso profondamente sulle attività tipiche del Lobbying e dei Public Affairs, tipicamente caratterizzate dalle relazioni, incoraggiandone la digitalizzazione.
Tra i dati più interessanti emersi, vi è senza dubbio il fatto che, nonostante la quasi totalità dei professionisti abbia lavorato da remoto durante il primo lockdown, circa l’80% degli intervistati ha dichiarato di aver incrementato il proprio capitale relazionale. È palese la possibilità che si ha oggi, grazie al digitale, di coltivare ed ampliare le relazioni di business, anche in un contesto fortemente negativo come quello corrente. Le relazioni, a livello individuale, se – e solo se – “montate” sopra solide competenze e capacità tecniche, sono certamente la skill che più di tutte può contribuire a costruire una carriera di successo. Dominare la gestione delle relazioni, o il business networking per dirlo all’americana, permette infatti quantomeno di fare due cose essenziali: cogliere opportunità altrimenti neppure intercettabili e, soprattutto, veicolare in maniera diffusa il proprio personal branding e, di conseguenza, la propria value proposition distintiva. In tal senso, le piattaforme social alla LinkedIn e, più in generale, tutti i mezzi di comunicazione digitali, come si scriveva poco sopra, contribuiscono in maniera determinante a creare nuove connessioni: starà poi al singolo professionista trasformare, con cura e dedizione, una connessione in una relazione di valore.
Non è, tuttavia, una questione puramente individuale ma riguarda, a livello più alto, tutte le organizzazioni. Le aziende, infatti, sono fatte di persone e beneficiano indirettamente della capacità delle stesse di connettersi tra loro e con l’esterno: nel primo caso, le informazioni circoleranno meglio e si creeranno rapporti più profondi e proficui, a tutto beneficio dell’ambiente di lavoro, mentre, nel secondo caso, i dipendenti agiranno da principali, spontanei e più importanti brand ambassador. Non è un caso se Gartner, nelle Top 5 Priorities for HR Leaders in 2021, ha indicato tra queste proprio la creazione di un networking caratterizzato da diversità e incentrato sulla crescita e sul sostegno dei talenti ancora sotto-rappresentati: un approccio alle relazioni intra-aziendali di questo tipo, inclusivo e moderno, produce vantaggi per i singoli dipendenti, la leadership e l’intera organizzazione.
Le organizzazioni di ogni natura, profit e non, sono tra l’altro oggi inserite in un mondo iper-connesso, dove è sempre più urgente riuscire a relazionarsi e dialogare in maniera costruttiva con tutti gli stakeholder: questo compito, arduo ma essenziale, è certamente riservato alla leadership ma, in realtà, è a tutti i livelli che bisognerebbe iniziare a costruire una cultura della relazione. Se, come già scritto, le organizzazioni sono l’insieme delle persone che lavorano al loro interno, allora è anche vero che, nell’ottica di costruire relazioni di valore con tutti gli stakeholder, ognuno può diventare “portatore sano” di relazioni. Le organizzazioni che vivono ed agiscono in ecosistemi sempre più affollati e complessi possono essere viste come software che devono dialogare tra loro per esplicare tutto il potenziale: le API, che sono applicazioni che permettono ad altre applicazioni di parlarsi, sono proprio i singoli individui, che diventano così delle vere e proprie API umane. La capacità di relazionarsi, non soltanto a livello di individui ma, piuttosto, in senso lato (aziende tra loro e con le istituzioni, etc.), è quindi direttamente collegata alla capacità di comunicare e mediare, allineando gli interessi, in una pura ottica di piattaforma. Nel futuro, grazie all’enabler digitale, la capacità di connettersi, curare e mantenere relazioni di valore e sostenibili nel tempo, sarà la vera fonte di vantaggio competitivo per qualunque business e per ogni professionista.