categoria: Vendere e comprare
Post Covid, ovvero il luna park delle aziende agili e innovatrici
Post di Andrea Porcu, direttore generale del Santagostino –
Qualche mese dopo gli articoli sull’economia aziendale ai tempi del Coronavirus, torno a parlare degli impatti sulle nostre imprese dell’attuale contesto sanitario ma questa volta mi sposto con uno scatto sul dopo Covid.
La conta rilevante dei decessi rintocca ogni tardo pomeriggio e non siamo certo alla fine della pandemia, alcune regioni “attenuano” il loro colore eppure lo spettro di una fase 3 (soprattutto occhio al Centro-Sud!) non è affatto remoto… ma vediamo la fine, il fenomeno dei “piccoli greggi” riscontrati nell’est lombardo e soprattutto l’arrivo progressivo nel 2021 di più vaccini ci fanno pensare che l’anno prossimo usciremo da questo pantano sanitario ed economico e che – diciamo da settembre per cautela – si assisterà a una ripartenza di spinta di tutto il mondo.
In questi contesti è giusto che chi governa le imprese ponga ora i termini del paradigma di ciò che accadrà e lavori all’eventuale gap in essere per farsi trovare pronto, vivo e attivo al momento opportuno.
Preciso che i settori industriali hanno tra di loro una variabilità di impatto subito consistente e che alcune realtà imprenditoriali che hanno chiuso nella stretta dei vari lockdown non risorgeranno tutte magicamente… ma restano a mio avviso alcuni elementi generali, trasversali rispetto all’economia, su cui è utile mettere attenzione fin d’ora.
Dividerò nel seguito le mie considerazioni in due parti e una conclusione:
– i vantaggi competitivi di chi ha investito durante il Covid e i 5 segnali per identificarli;
– cosa devono chiedere le imprese alle istituzioni.
I vantaggi competitivi di chi ha investito durante il Covid e i 5 segnali per identificarli
Il 2020 a causa del Covid è stato un anno di cambiamenti, a mio avviso strutturali, che avranno una coda di impatto ben oltre la pandemia: dallo smartworking come standard di gestione del lavoro, al definitivo boom dell’ecommerce anche in paesi ancora non maturi sul canale on line (come l’Italia), dai volumi significativi di vecchi e nuovi servizi passati sul digitale (ad esempio su salute ed education), al boom delle piattaforme per la fruizione di contenuti real time e streaming.
C’è tuttavia un fenomeno più sotterraneo che mostrerà il suo impatto nei prossimi anni ed è la differenza tra chi ha cavalcato l’onda del Covid approfittando di situazioni di breve periodo (e talvolta speculando) e chi ha investito tempo e risorse pensando a come generare asset digitali, fisici e intellettuali per il proprio futuro. Questi manager e imprenditori e con loro le loro aziende avranno dal 2021 in avanti un vantaggio competitivo incomparabilmente superiore ad altri. Come identificare queste realtà? Vi propongo 5 segnali molto rilevanti per distinguerle:
1. sono più data driven rispetto al pre-Covid, capitalizzando misurazioni e capacità di analisi dopo un periodo in cui ogni settimana era richiesto loro di reagire e anticipare un cambiamento incerto sul fronte pandemico, normativo, di mercato;
2. non hanno perso i propri talenti, stretti intorno alla missione dell’azienda, alla visione imprenditoriale, al rapporto interpersonale, alla crescita personale, alla coscienza delle opportunità per il futuro;
3. hanno abbracciato in via definitiva il metodo di lavoro agile per gestire ogni innovazione e fronteggiare i cambiamenti di contesto, fuori da processi ingessanti di pianificazione e da disegni di processi di dettaglio inutil. Operando in modo strutturato ma empirico, con una conoscenza che deriva dall’esperienza e con decisioni prese alla luce di ciò che si conosce; un processo continuo di sperimentazione, misura, aggiustamento e scaricamento a terra;
4. hanno aiutato il sistema e concretamente le persone durante la crisi pandemica, in vari modi a seconda delle loro possibilità, conseguendone vantaggi reputazionali e ricompattandosi al proprio interno con un senso più profondo della propria missione; il mondo del prossimo futuro sarà dei “giver” non dei “taker”, perché le probabilità di successo della propria attività imprenditoriale sono drammaticamente correlate (e lo saranno di più in futuro) a quante persone e aziende “tifano” per il tuo successo;
5. hanno asset testati e messi a terra (nuovi prodotti/servizi, infrastrutture, proprietà intellettuale, nuovi modelli operativi e di business etc.) già pensati per il dopo Covid, di questi solo una parte avrà reale successo duraturo, ma ciò che più conta sarà la curva di apprendimento ed esperienza fatta durante e dopo il Covid che metterà un gap rilevante con i competitor che non hanno fatto gli stessi passaggi.
Cosa devono chiedere le imprese alle istituzioni
Pochi eventi nella storia recente dell’umanità hanno messo in evidenza l’inadeguatezza di una classe politica come il Covid. Avremmo avuto bisogno di Churchill e ci siamo trovati… “altro”.
Ora proseguire a lamentarci non sbloccherà nulla e occorre a mio avviso che gli imprenditori agiscano in modo compatto per richieste puntuali e chiare.
Innanzitutto per ottenere in modo mirato, tempestivo e rilevante i fondi a sostegno della sopravvivenza di cassa delle realtà più toccate dai vari lockdown: mirati (non un po’ a tutti in ottica assistenziale), tempestivi (ora e nei prossimi mesi, non dopo la chiusura per insolubilità) e rilevanti (che davvero consentano di sostenere i livelli minimi di sopravvivenza ed energie per il rilancio).
In secondo luogo più libertà e meno Stato che detta regole a caso, c’è un’onda lunga di statalismo pericolosissima dietro l’angolo, l’idea paradossale che si debba avere più Stato perché è lo Stato che sa cosa serve per uno sviluppo equo. Interrompiamo subito l’istinto di mettere regole e vincoli, ciò che è stato (in parte) giustificabile durante la pandemia non può diventare il “mood” di controllo e indirizzo stretto delle politiche industriali per il futuro.
In terzo luogo non proteggere a oltranza (vale per le imprese ma anche per le professioni) chi non ce la fa perché è ancorato a paradigmi che strutturalmente non funzionano più, ma dargli la possibilità di cambiare mediante supporto negli investimenti, nella vera innovazione, nella formazione, nello sviluppo di una nuova cultura aziendale; servono tutele, politiche sociali attente a non lasciare abbandonato nessuno, ma su professioni e imprese forzare la selezione crea bias enormi e disperde risorse preziose per finanziare lo sviluppo vero e le situazioni individuali di oggettiva difficoltà.
Conclusione
Dal 2021 in avanti (per almeno un triennio) il mondo del business sarà il il luna park delle aziende agili e innovatrici, queste prenderanno quote di mercato, cresceranno, raccoglieranno fondi, investiranno, daranno entusiasmo e qualità della vita per le proprie persone, metteranno un gradino rilevante tra di loro e le altre aziende al punto che si parlerà di boom per loro, i loro azionisti, la crescita di conoscenza che genereranno.
Twitter @andpor75