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Il Recovery Fund è un’occasione per investire nella medicina digitale
Post di Gianvittorio Abate, amministratore delegato di Innovery, system integrator internazionale, nato in Italia, specializzato nel comparto della cybersecurity –
La crisi sanitaria imposta dal Covid-19 ha evidenziato in maniera lucida le criticità e l’arretratezza di un sistema sanitario ancora troppo analogico e de-strutturato. L’Italia si trova a dover pagare oggi il prezzo di mancati investimenti nella telemedicina e nell’infrastruttura tecnologica del sistema ospedaliero. Tuttavia, sebbene l’emergenza abbia evidenziato le lacune e i ritardi nella digitalizzazione di questo settore, ha anche accelerato la trasformazione digitale e organizzativa verso un modello di Connected Care, sottolineando l’urgenza di un sistema connesso, di precisione, orientato al territorio e alla continuità di cura.
Questa urgenza di garantire la continuità assistenziale sul territorio ha forzato il ricorso a soluzioni digitali, spesso già disponibili ma mai adottate a causa di barriere culturali, vuoti normativi o posizioni di categoria.
Secondo i dati presentati dall’Osservatorio Innovazione Digitale in Sanità della School of Management del Politecnico di Milano, durante la pandemia più del 50% dei medici di Medicina Generale ha svolto la propria attività da remoto riscontrando, nel complesso, una miglior performance nella pratica clinica soprattutto in termini di tempi di risposta alle richieste dei pazienti (63%) e di una più efficace condivisione delle informazioni (63%).
In pochi mesi i risultati ottenuti con la pratica clinica virtuale, sia come strumento di valutazione e controllo del paziente, sia come tool di collaborazione tra medici, sono stati così convincenti che, oggi, ben il 50% dei medici ritiene che la digitalizzazione del processo assistenziale possa significativamente aumentarne l’efficienza e l’efficacia aumentando l’engagement dei pazienti, la personalizzazione delle cure e la riduzione dell’errore clinico.
I problemi principali che oggi si trova ad affrontare il nostro sistema sanitario sono le carenze infrastrutturali IT in grado di garantire una un’interconnettività veloce e poco costosa, la mancanza di un sistema uniforme di cartelle cliniche elettroniche accessibili ed integrate al sistema che consenta una piena interoperabilità dei dati, le necessità formative della classe medica sulle tematiche di e-health e il livello di abilità digitali della popolazione italiana, tra i più bassi d’Europa. Per concludere, i drastici tagli alla spesa sanitaria, che hanno caratterizzato i governi degli ultimi anni, hanno letteralmente paralizzato una declinazione digitale delle cure che per contro necessita di una serie di ingenti investimenti coordinati su più fronti.
Sebbene durante la fase d’emergenza siano stati colmati rapidamente alcuni di questi gap (l’Istituto Superiore di Sanità ha varato in tempi rapidissimi le Indicazioni ad interim per servizi assistenziali di telemedicina durante l’emergenza sanitaria COVID-19), molte barriere devono ancora essere superate.
Il Recovery Fund rappresenta in questo senso un’occasione, forse non ripetibile, di effettuare quegli ingenti investimenti in infrastrutture, soluzioni software dedicate, protocolli di sicurezza specifici, sistemi di monitoraggio e pronto intervento per le minacce informatiche e formazione del personale sanitario, indispensabili per innestare un sistema di digital health efficace, sicuro e affidabile che si ripagherebbe in tempi brevissimi innestando un circolo virtuoso per la sanità italiana.
È fondamentale però che gli investimenti che potrebbero arrivare dal Recovery Fund siano mirati a valorizzare l’esperienza della “telemedicina fai da te”, che in pochi mesi ha prodotto enormi risultati, andando per esempio a creare una piattaforma standardizzata di telemedicina in grado di garantire poche semplici funzioni quali la televisita ed il teleconsulto con strumenti dedicati e che consenta l’interoperabilità delle informazioni sanitarie tra diversi operatori e strutture.
Questa soluzione di e-health, nella sua semplicità, ha il potenziale di superare i risultati già raggiunti in questi mesi, nascendo da un modello già operativo di assistenza sanitaria, dove naturalmente le cure ospedaliere dialogano e si integrano con l’assistenza sanitaria sul territorio consentendo una più efficace gestione delle patologie croniche. Se si digitalizzassero inoltre le cartelle cliniche di tutti i pazienti si eviterebbero duplicazioni di analisi, si ridurrebbero i tempi di intervento, con effetti benefici sulla salute dei pazienti e con enormi risparmi di costo per le terapie del futuro.
L’effettiva operatività di questa piattaforma, tuttavia, non potrà prescindere da importanti investimenti volti ad assicurare la sicurezza e la privacy di tutte le informazioni gestite attraverso l’implementazione di specifici protocolli e soluzioni informatiche e la formazione continua degli operatori sanitari.
Pensiamo un attimo a come sarebbe stato meno sotto stress il nostro sistema sanitario se solo, ad inizio pandemia, avessimo potuto usufruire di un servizio di telemedicina all’avanguardia.
I dati rilevati sino ad oggi sulla telemedicina indicano come, eliminando i tempi morti di preparazione e sanificazione dell’ambulatorio tra una visita e l’altra, si riesca anche ad aumentare il numero delle prestazioni erogate in una giornata che, in questo modo, da 5 potrebbero arrivare a 9, di cui 6 in modalità telematica e 3 in presenza. In definitiva, a parità di costi, le strutture sanitarie sarebbero in grado di aumentare la propria performance sia in termini qualitativi che quantitativi.
Le tecnologie digitali possono fare la differenza in tutte le fasi di prevenzione, accesso, cura e assistenza dei pazienti, per aiutare il personale sanitario nelle decisioni cliniche e le strutture sanitarie nella continuità di cura e nell’operatività.