categoria: Vicolo corto
Imprese, lavoro e le verità scomode della seconda ondata
scritto da Massimo Famularo il 21 Ottobre 2020
Vengono in mente le parole della ’preghiera per la serenità’ di Karl Paul Reinhold Niebuhr che chiede al Signore: «Dammi la serenità per accettare le cose che non posso cambiare, il coraggio di cambiare le cose che posso cambiare, e la saggezza di capire la differenza».Il punto di maggior attenzione è di certo il riconoscimento dei propri limiti ossia l’accettazione del fatto che le autorità di politica economica possono attenuare le ricadute sociali delle fasi avverse del ciclo economico e promuovere un ambiente favorevole all’iniziativa privata, ma non possono sostituirsi alle forze del mercato. Su questo punto, Fabrizio Balassone, Capo del Servizio Struttura economica della Banca d’Italia, nel corso di una recente audizione davanti alla Commissione V della Camera dei Deputati (Bilancio, Tesoro e Programmazione) ha ribadito che :
I ritardi di produttività accumulati non possono essere colmati con politiche monetarie e di bilancio espansive. Queste sono misure di stabilizzazione macroeconomica fondamentali per conseguire livelli adeguati di domanda aggregata, favorire la piena occupazione e mantenere la stabilità dei prezzi, ma non possono di per sé innalzare la dinamica della produttività nel lungo periodo.Se in circostanze normali politici e amministratori locali sono esposti alla tentazione di indirizzare la propria attività verso politiche che gli consentano di guadagnare o di mantenere il consenso dei propri elettori, di fronte alla devastazione causata dalla pandemia questi incentivi perversi aumentano a dismisura e vengono amplificati dalla preoccupazione di individui e imprese per la propria condizione finanziaria. Secondo le previsioni del FMI a giugno, nel 2020 l’economia mondiale registrerà la più grande contrazione dalla seconda guerra mondiale con un calo del 4,9% rispetto al -3%, livello atteso prima della diffusione della pandemia. In aprile, il tasso di occupazione negli Stati Uniti nella fascia di età tra i 25 e i 54 anni è sceso al di sotto del 70% per la prima volta in quasi 50 anni. Nel secondo trimestre, un sesto dei giovani di tutto il mondo ha perso il lavoro. Se nella fase più acuta dell’emergenza la necessità di preservare e di evitare per quanto possibile danni permanenti al tessuto economico ha giustificato misure di sostegno molto estese e spesso incondizionate (a questo proposito segnalo il post che avevo scritto su questo blog), nella fase successiva il delicato processo di transizione verso quella che sarà la “nuova normalità” rappresenta il momento di maggiore criticità sia per i cittadini che per i governi: 1- Alcuni lavori e alcune imprese sono destinati a sparire, mentre altri vedranno drasticamente ridimensionata la loro attività al punto da diventare difficilmente sostenibili 2- Le modalità di svolgimento di diverse attività dovranno essere modificate in modo radicale e questo richiederà investimenti in capitale fisico e umano, ma soprattuto un atteggiamento mentale sufficientemente flessibile per accettare e implementare i cambiamenti necessari 3- Le categorie maggiormente interessate dai costi connessi con la trasformazione del sistema avranno interesse, ove possibile, ad opporsi al cambiamento e, in seconda istanza, a trasferire gli oneri sulla collettività 4- Politici e amministratori, come detto in precedenza, vedono crescere la tentazione di prolungare il più possibile la condizione di dipendenza dei cittadini dall’assistenza pubblica perché questo gli garantisce un serbatoio di consenso a buon mercato Per superare il pericolo circolo vizioso tra assistenza e consenso occorre avere il coraggio di accettare realtà sconvenienti come il fatto che alcune imprese che si sono fermate per la crisi non potranno ripartire e che alcuni lavori che abbiamo “congelato” temporaneamente sono destinati a sparire. Le misure di sostegno non possono durare per sempre e occorre uno sforzo congiunto da parte dei cittadini, imprese e istituzioni per fare in modo che la distruzione causata dalla pandemia possa essere anche creativa, usando la terminologia dell’economista Joseph Schumpeter. Questo coraggio deve estendersi al punto di infrangere veri e propri tabù quali ad esempio le ipotesi di redistribuzione a carico delle categorie meno toccate dalla crisi in favore di quelle più colpite, come suggerito su questo blog da Michele Boldrin. Il coraggio è il propellente del cambiamento perché implica il riconoscimento aperto dei costi connessi con la transizione, che costituisce il punto di partenza per una seria discussione su come allocarli nello spazio e nel tempo. A questo fondamentale punto di svolta devono seguire la capacità di adattarsi e di adottare prospettive di lungo termine. Alcune delle necessità emerse in fase di contenimento dei contagi, come la possibilità di lavorare e tenere lezioni a distanza, di limitare gli spostamenti all’essenziale, guadagnando in efficienza e produttività, possono diventare le virtù alla base di una nuova concezione del tessuto economico e sociale. Solo accettando il cambiamento possiamo sperare di impiegare nuovamente le persone e i capitali resi disponibili dalla fase di distruzione economica causata dal diffondersi della pandemia e riportare il paese su un sentiero di crescita. In quest’ottica andrebbero concentrati gli sforzi per la redazione di proposte credibili per accedere alle risorse del Recovery Fund da impiegare per finanziare investimenti produttivi e per colmare alcuni deficit strutturali che caratterizzavano il nostro paese prima dell’emergenza sanitaria e che da questa sono stati amplificati. Chiarita la natura dei problemi e la configurazione delle possibili soluzioni, occorre tuttavia prendere atto che al momento i segnali disponibili sono tutt’altro che confortanti: 1- la nota di aggiornamento al DEF che individua il quadro di riferimento per la prossima manovra finanziaria appare caratterizzata da previsioni irrealistiche e dalla inclusione simultanea di obiettivi contrastanti (redistribuzione, equità con crescita e disciplina di bilancio) 2- il piano nazionale di riprese e resilienza appare improntato a un forte interventismo di stato, orientato alla conservazione piuttosto che all’abilitazione del cambiamento e opportunisticamente concentrato sulle formalità necessarie per l’ottenimento dei fondi 3- in generale si registra una crescente sfiducia del mercato al quale, anche con la complicità di media dediti alla difesa della classe politica in carica, viene attribuita la responsabilità anche dei principali fallimenti dell’amministrazione pubblica degli ultimi anni. Una descrizione efficace di cosa succede quando ci si ostina a resistere al cambiamento si trova nei versi di una canzone di qualche decennio fa
Come gather ‘round, people Wherever you roam And admit that the waters Around you have grown And accept it that soon You’ll be drenched to the bone If your time to you is worth savin’ And you better start swimmin’ Or you’ll sink like a stone For the times they are a-changin’WordPress Youtube Podcast Twitter