categoria: Vicolo corto
New normal, vale più la consapevolezza o la competenza?
L’autore di questo post, Silvano Joly,è in Centric Software dal 2016. Ha ricoperto posizioni di sales leadership presso Innovation leaders come PTC, Reply, Sap e Dassault Systemes. Oltre che con grandi società ha lavorato con Aziende pre-IPO, start up e collabora con varie università italiane. Mentore pro-bono di start-up high-tech è da sempre amico della Piccola Casa della Provvidenza (Cottolengo), il più antico istituto dedicato all’assistenza di persone con gravi disabilità –
Antonio De Curtis, in arte Totò, divise l’umanità in due categorie di persone con una magistrale definizione: “gli uomini sono quegli esseri costretti a lavorare per tutta la vita, come bestie, senza vedere mai un raggio di sole, senza mai la minima soddisfazione… I caporali sono appunto coloro che sfruttano, che tiranneggiano, che maltrattano, che umiliano”.
Ma i Caporali di Totò forse non sono davvero cattivi, sono solo “competenti” ovvero conoscono e si attengono solo a quanto di loro diretto dominio e non sanno comprendere il nuovo soprattutto mentre sta accadendo. I bravi comandanti, che siano Caporali o Direttori, devono essere anzitutto Dirigenti: coloro che dirigono e che danno la direzione. Per fare ciò non basta sapere fare il lavoro, conoscere gli obbiettivi, il modo di raggiungerli e vigilare sulla execution. La tanto decantata competenza è solo parte del set di abilità e talenti necessari a sopravvivere nel decennio iniziato nel 2020: occorre essere consapevoli di quanto accade intorno noi, non solo nel micro o macro ambito di azione ma anche a livello più ampio.
Ma perché c’è prevalenza tra competenza e consapevolezza, lo ha spiegato bene Noam Chomsky nel libro “Media e Potere” con il Principio della Rana Bollita: “In un pentolone pieno d’acqua fredda nuota tranquillamente una rana. Il fuoco è acceso, l’acqua si riscalda e diventa tiepida. La rana la trova gradevole e continua a nuotare. La temperatura sale. L’acqua è calda. Un po’ più di quanto la rana non apprezzi. Si stanca un po’, ma non si spaventa. L’acqua adesso è davvero troppo calda. La rana la trova sgradevole, ma si è indebolita, non ha la forza di reagire, sopporta e non fa nulla. Intanto la temperatura sale ancora, fino al momento in cui la rana finisce – semplicemente – morta bollita”.
Chomsky ha concettualizzato un esperimento scientifico condotto a fine ‘800, durante il quale si constatò che una rana buttata in una pentola di acqua bollente, si brucia e salta subito fuori, mentre la stessa rana messa in acqua fredda e poi riscaldata non fa nulla finché non muore. Invece “se la stessa rana fosse stata immersa direttamente nell’acqua a 50° avrebbe dato un forte colpo di zampa, sarebbe balzata subito fuori dal pentolone”.
Il sadico esempio della rana scottata o bollita ci dimostra che se un cambiamento avviene lentamente può diventare invisibile, non viene percepito, non suscita alcuna reazione di protesta né di proposta alternativa. Se surrogato da informazioni e dati “ufficiali”, preparati per limitare la consapevolezza e creare inedia e alienazione lo stesso fenomeno può essere anche relativamente veloce.
La povera Rana ha le stesse competenze in entrambi gli esperimenti, solo che in un caso si scotta ed ha quindi piena consapevolezza di quanto succede mentre nell’altro non si rende conto del rischio che corre e finisce bollita. Va da sé quindi, che un Manager dotato di competenze ma scarso di intuito e consapevolezza può andare bene in tempi normali ma non in quelli di business as un-usual, come quelli che stiamo vivendo. Sul lavoro e nella vita personale e di famiglia.
Soffermiamoci però sulla sfera professionale che ci richiede di essere consapevoli per aiutare noi stessi, i nostri Colleghi e Collaboratori: solo così capiremo se un momento di crisi aziendale è momentaneo o definitivo, se sia quindi il caso di darsi da fare con misure e azioni drastiche, attendere continuando con il day by day o magari cambiare azienda. In assenza di questa consapevolezza, che è figlia dell’intuito, ci si ritrova bolliti senza nemmeno accorgersene.
Evidentemente la consapevolezza manageriale è fondamentale nei momenti difficili o mai affrontati prima, e surroga la competenza quando conoscenze teoriche, esperienza pratica, attitudine personale non bastano a gestire un contesto complesso e in costante variazione. Come in guerra: bisogna conoscere i manuali di Tattica ma anche sapere improvvisare per vincere, pensiamo a quante battaglie sono state vinte proprio con la rapida definizione di una strategia ad hoc, definita rapidamente in base alla consapevolezza che l’esame del campo di battaglia dava al Comandante più intuitivo e capace di rivedere al volo lo schieramento delle sue truppe.
Persino la nota matrice SWOT, che valuta i punti di forza (Strengths), debolezze (Weaknesses), opportunità (Opportunities) e minacce (Threats), ebbe la prima stesura durante la guerra del Vietnam, da parte dello Stato Maggiore che non riusciva a capire come mai certe pattuglie tornassero dalle missioni nella jungla ed altre no. Ve ne erano fatte di veterani, altre di novellini ma non si trovava la ragione per cui nella stessa notte, nella stessa foresta una riuscisse a non farsi sorprendere dagli agguati e dalle trappole del nemico. L’analisi SWOT aiutò a scoprire che non tornavano le pattuglie con elementi più abili, esperti o forti ma quelle formate da elementi di diversa estrazione, preparazione, competenza e probabilmente consapevolezza. Nacquero così plotoni e squadre composti da veterani, da novellini, tiratori, genieri, ufficiali intermedi e superiori in modo da bilanciare terrore e sicurezza, esperienza e soggettività.
Successivamente la matrice SWOT è divenuta strumento di business ed è stata definita dall’economista Albert Humphrey a Stanford tra gli anni ’60 e ’70 e spiega che ogni progetto e impresa dipende dall’accurata analisi delle risorse a disposizione (forti o deboli) rispetto all’ambiente in cui si opera (che può offrire minacce o opportunità), ma la sua origine resta legata ai soldati ugualmente addestrati e quindi con le stesse competenze, ma con soft skills, capacità di analisi e di reazione diverse.
Sembra quasi confermata la supremazia della consapevolezza e dell’intuito sulla teoria e la pura e semplice competenza. La brava Rana ed il bravo Manager usano l’intuizione accanto alla razionalità sviluppando ragionamenti e strategie sofisticate e basandosi sull’esperienza e sul così detto sesto senso.
È proprio quando le informazioni sono troppe o troppo poche che dobbiamo ascoltare la voce interiore ancora viva nella lunga storia dell’umanità, che esce dalla stretta razionalità, ma ha contribuito al nostro stesso sviluppo di specie evoluta.
Ma come diventare un manager consapevole? Come migliorare anche l’autoconsapevolezza e osservare i propri pensieri e umori per farli diventare elementi utili a decisioni di business?
Forse possiamo disturbare persino Aaron T. Beck, psichiatra e psicoterapeuta statunitense considerato il padre del Cognitivismo, che stabilì che “there’s more to the surface than meets the eye” (“ci sono più cose in superficie di ciò che incontra l’occhio”). Beck si occupò per lo più di depressione, ma il suo “Albero della Vita” ci serve per usare la consapevolezza consapevolmente capendo la struttura della nostra mente e dei pensieri che la popolano. Beck immaginò un albero e tre gruppi: A) Foglie: pensieri automatici (o indotti): giudizi e considerazioni sulle cose, gli altri, noi stessi, per lo più generati inconsapevolmente. B) Tronco: le regole cui credere: cosa è giusto e cosa è sbagliato, il modo in cui si “giudica” e ci si auto-valuta. C) Radici: le Credenze di base e gli schemi: le regole base per organizzare le proprie percezioni di sé, del mondo, per adattarsi alle sfide della vita: lo schema di sé, dell’altro e quello interpersonale.
L’Albero della Vita di Beck e le sue categorie ci servono per classificare le nostre competenze e affiancarle alle consapevolezze per cercare scoprire il vero: Il mondo sta davvero ammalandosi o era già malato? La crisi della mia azienda è vera o stanno solo pensando ad una riduzione di organico? Sono io che sbaglio o è il mio Capo che ha un piano nascosto e mi sta “mettendo nel sacco? È giusto continuare a fare come mi hanno detto o devo insistere per quel cambio di strategia che ho in mente e sarebbe vincente?
Una qualunque situazione se analizzata mettendo accanto alle competenze la consapevolezza, piena o parziale, della situazione intorno a noi, in modo “emotivamente intelligente”, come teorizzava Daniel Goleman, non diventa facile ma meglio gestibile. In questo modo tutte le emozioni dentro di noi, persino la paura e l’ansia, divengono strumenti utili nel combattimento lavorativo o personale.
Usiamole queste emozioni, diventiamo consapevoli senza “accettare” quello che le competenze proprie o imposte da un’organizzazione – che sia aziendale o mediatica – mettono nel nostro Albero di pensieri, con occhi limpidi vedremo attraverso la verità: come Neo attraverso il codice di Matrix. Solo con la consapevolezza potremo vedere la realtà e decidere se stare nella pentola o andare a cercare un nuovo laghetto dove ricominciare una nuova esperienza sia professionale che personale.
Siamo Manager in fondo, mica Caporali!
Twitter @sjoly_ita