categoria: Draghi e gnomi
La verità sul Mes è come il quarto segreto di Fatima
L’autore di questo post è Costantino Ferrara, vice presidente di sezione della Commissione tributaria di Frosinone, già giudice onorario del Tribunale di Latina, presidente Associazione magistrati tributari della Provincia di Frosinone –
Correva l’anno 1917, quando in una remota località del Portogallo centrale, la Madre Vergine diede inizio alle sue rivelazioni, poi divenute celebri come “i tre segreti di Fatima”. Ora, a distanza di oltre cento anni da quegli accadimenti, sembra una prospettiva concreta il doversi affidare all’intervento divino, per scoprire una verità più che mai celata: quella sul MES!
“MES si, MES no”, o ancora, “una domanda al giorno sul MES leva il medico di torno”. Sono soltanto alcune fra le più celebri citazioni del Premier italiano, incalzato costantemente dalla stampa sulla spinosa tematica del “Meccanismo Europeo di Stabilità”, altresì noto con l’acronimo MES; denominazione in sigla che ha dato adito, si apprende in alcune interviste girate sul web divenute tormentoni, all’ulteriore dubbio amletico sorto in taluni elettori, se “MES fosse più forte di Cristiano Ronaldo”.
Proprio dalle battute, orbene, non si può prescindere quando si parla di MES, perché l’argomento è diventato quasi (tragicamente) comico, tant’è che non si riesce a capire quale sia la verità circa l’utilizzo di tale strumento e il concetto di utilizzo “senza condizioni” dello stesso, sbandierato da qualche forza politica e parimenti denegato da altre.
Nato nel 2012 a sostituzione del Fondo europeo di stabilità finanziaria e del Meccanismo europeo di stabilizzazione finanziaria, con l’obiettivo di sostenere e, soprattutto, evitare il default di Paesi membri in caso di crisi, ad oggi è stato utilizzato per salvare situazioni gravi come quella di Cipro o, la più nota, quella della Grecia.
Il problema principale è che, per accedere agli aiuti (che sono null’altro che prestiti), si è sottoposti a rigidissime condizioni economiche che minano fortemente la sovranità e l’indipendenza politico-economica dello Stato in crisi. Secondo i più critici, uno strumento del genere serve agli Stati più floridi e più influenti per “impadronirsi” degli Stati in crisi.
Dopo l’esplosione del coronavirus, tuttavia, si era paventata la possibilità di accedere ai fondi del MES senza sottostare alla gravose condizioni ordinarie, a patto di impiegare le risorse nella sanità (dunque un mero controllo di coerenza delle spese). Il tutto come da decisione, caotica e concitata, dell’Eurogruppo nella scorsa primavera, che vedeva la nascita del cosiddetto “MES light”, un nuovo fondo per le spese sanitarie, senza i tanto temuti paletti della misura ordinaria. Parliamo di circa 36 miliardi di euro per l’Italia, non proprio bruscolini, da restituire comodamente e a tassi agevolati.
Ma allora, è lecito chiedersi per quale motivo un’offerta così “generosa” non venga accolta all’unanimità da tutte le forze politiche. E qui sorge la diatriba infinita e l’impossibilità di capire quale sia la verità.
Secondo i detrattori della misura infatti, “il MES senza condizioni non esiste”. All’uopo, in effetti, si può citare una postilla, contenuta in una nota relegata a piè di pagina del comunicato dell’Eurogruppo, secondo cui l’assistenza finanziaria può variare da un semplice sostegno precauzionale sulla base delle condizioni di ammissibilità, fino “a un programma completo di aggiustamento macroeconomico subordinato a condizioni politiche rigorose”, il tutto “commisurato e proporzionato alla gravità delle difficoltà finanziarie incontrate” dal Paese che accede alla misura. In questa postilla, l’Eurogruppo specifica anche che l’attività di sorveglianza seguirebbe in tal caso le linee guida presentate dalla lettera di Gentiloni e Dombrovskis, i quali parlano esplicitamente di un monitoraggio a posteriori, in base al quale Il Consiglio, su proposta delle Commissione, potrebbe raccomandare a uno Stato membro soggetto alla sorveglianza post-programma di adottare misure correttive. Non proprio un “senza condizioni”, in effetti.
Quel che pare oggettivo è che, al momento, il concetto di “MES senza condizioni”, de facto, non esista, essendo espressamente prevista una “sorveglianza rafforzata” che, tuttavia, non scatterebbe automaticamente con l’attivazione del prestito, come successo finora negli altri casi di attivazione dello strumento di salvaguardia, bensì soltanto in caso di utilizzo distorto dei fondi erogati. In altri termini, qualora i fondi venissero impiegati per altro, piuttosto che per la sanità, oppure utilizzati in una qualche maniera “impropria”, scatterebbero le condizioni. E anche fin qui, nessun problema. Basterebbe attenersi ai criteri di spesa fissati, senza paura di trovarsi in casa la Troika.
Ma la chiarezza, come è evidente sin dal principio di questa discussione, non ha chance di trovare spazio in questo contesto. Il dubbio ulteriore riguarda il fatto che i controlli possano scattare anche nel caso in cui il Paese beneficiario dei fondi abbia una qualche difficoltà a restituirli. E il discorso cambia considerevolmente.
Quel che possiamo concludere è che si tratta di un “senza condizioni”, ma “a patto che vada tutto bene”, e cioè che le risorse vengano impiegate nel modo corretto e che il prestito venga puntualmente restituito.
Ora, in un contesto già caotico e di difficile comprensione come quello appena delineato, la situazione peggiora alquanto grazie alle rappresentazioni distorte che ci vengono fornite dai vari interlocutori, ognuno dei quali interessato a sponsorizzare la propria posizione e, di conseguenza, a modellare la verità secondo convenienza.
Ecco che la verità sul MES diviene non meno misteriosa del quarto segreto di Fatima. Non sorprende neppure il fatto che le forze politiche fatichino a prendere una posizione netta sul MES, visti i dubbi e le incertezze che si celano dietro a tale misura, anche considerando poi un effetto “reputazionale” che si verificherebbe su un Paese che decide di attingere a tali fondi, associati anche psicologicamente ad un salvagente estremo a cui attaccarsi se si è in procinto di annegamento.
È per questa ragione che, per una scelta senz’altro difficile a prescindere, sarebbe una buona soluzione, almeno a parere di chi scrive, se le risorse speciali del MES, ovvero quelle stanziate per sostenere la sanità nella lotta al coronavirus, venissero attinte da più Paesi contemporaneamente, piuttosto che solo dall’Italia. Del resto la pandemia ha messo in fortissima crisi altri Stati membri di primo piano (si pensi alla Francia e alla Spagna). Una linea politica condivisa con questi Paesi, per richiedere congiuntamente l’utilizzo di tali risorse, desterebbe sicuramente un’impressione diversa.
Per realizzare una cosa del genere servirebbe un’azione di politica estera mirata ed efficace (del resto per 36 miliardi di euro a condizioni agevolate ne varrebbe forse la pena, visto l’attuale contesto economico), ma noi abbiamo pur sempre il nostro daffare con il referendum per il taglio dei parlamentari da cui ricavare 0,1 miliardi di euro all’anno.