Ambiente, per salvare il lavoro non si può parlare dei massimi sistemi

scritto da il 24 Agosto 2020

L’autore del post è Enrico Mariutti, ricercatore e analista in ambito economico ed energetico. Founder della piattaforma di microconsulenza Getconsulting e presidente dell’Istituto Alti Studi in Geopolitica e Scienze Ausiliarie (IsAG) –

Nei giorni scorsi è andato in scena un confronto retrò: ha iniziato Fausto Bertinotti, storico segretario di Rifondazione Comunista, che ha incitato la sinistra italiana ad abbandonare il sentiero dell’ecologismo per riscoprire la lotta di classe. A stretto giro ha replicato Luciana Castellina, figura autorevolissima della sinistra extra-PD e fresca coordinatrice della task force “Natura e lavoro” del Manifesto, denunciando l’impossibilità di una conversione green del Capitalismo e prefigurando una resa dei conti tra padroni e proletari.

Questo botta e risposta dal sapore novecentesco apre in realtà uno squarcio sull’approccio ideologico, antico, lontano dalla realtà con cui gli intellettuali di sinistra guardano alla crisi climatica.

Nel frattempo, in attesa di sviluppare una visione tutta sua, il fronte progressista si compatta intorno alla proposta più orecchiabile, quella che per semplicità potremmo definire il modello Greta Thunberg: ridurre i consumi e gli spostamenti, convertirsi alle energie rinnovabili e alla mobilità elettrica, sviluppare sensi di colpa per ogni capriccio (come la doccia quotidiana, per fare un esempio).

Ma se, invece di discutere di lotta di classe e Capitalismo, la sinistra guardasse dentro al modello Greta Thunberg, scoprirebbe che al di là della retorica è molto diverso da come se lo immagina.

Se la classe dirigente progressista vuole evitare che la lotta al cambiamento climatico si traduca in macelleria sociale deve smettere di parlare dei massimi sistemi e iniziare a parlare di territori, deve smorzare l’entusiasmo per i pannelli fotovoltaici e ragionare sulla riqualificazione urbana, deve piantarla di trastullarsi con monopattini e bici elettriche cercando di capire, invece, come tutelare il mezzo milione di posti di lavoro dell’industria italiana dell’auto.

Negli ultimi trent’anni, mentre la globalizzazione tagliava le gambe all’economia rurale, i territori italiani sono stati lasciati a sé stessi. Parliamo di un milione di addetti e sei milioni di proprietari solo nell’agricoltura, a cui si aggiungono centinaia di migliaia di artigiani, di commercianti, di impiegati nelle filiere locali: agroalimentare, legno e arredo, costruzioni, manutenzione e molto altro. Un ecosistema socioeconomico che dà reddito a circa la metà della popolazione italiana.

Una strategia ambientale volta a tutelare reddito e posti di lavoro si dovrebbe dedicare a trasformare i territori nel pilastro della lotta al cambiamento climatico, invece di penalizzare l’altra metà dell’economia, quella urbana e industriale.

Una corretta amministrazione del patrimonio forestale e di quello agricolo, il potenziamento della filiera del legno, dei biocombustibili e dei biomateriali permetterebbe all’Italia di tagliare il 60% delle emissioni di anidride carbonica (le stime verranno approfondite in un libro di prossima uscita per Il Sole 24 Ore), con un’iniezione di capitali pubblici infinitamente più piccola di quella preventivata al momento e con ricadute socioeconomiche incommensurabilmente superiori, tra cui: l’integrazione del reddito agricolo, il rilancio del modello “piccola e media impresa made in Italy”, il contrasto alla disoccupazione e alla sottoccupazione, la riduzione del rischio idrogeologico, il miglioramento dei servizi ecosistemici e la mitigazione del disagio sociale.

Scenario

Il potenziale della gestione forestale e dell’agricoltura rigenerativa

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Le energie rinnovabili oramai sono entrate a far parte del nostro immaginario, un simbolo di progresso e civiltà. Ma l’impatto sul mercato del lavoro è tutt’altro che entusiasmante: eolico e solare garantiscono un ritorno occupazionale superiore ai combustibili fossili solo se gli impianti dove vengono prodotti i pannelli o le turbine sono sul territorio nazionale. E l’Italia non produce né i primi né le seconde, quindi è un mistero in che modo queste due tecnologie dovrebbero aumentare l’occupazione e il reddito nel nostro Paese.

Oltretutto, gli entusiasti delle rinnovabili troppo spesso dimenticano un particolare: i costi. In Germania, dove lo Stato sta investendo in maniera massiccia su eolico e solare, i consumatori si sono visti aumentare le bollette di circa il 40% in dieci anni (nello stesso arco di tempo i prezzi di riferimento del gas naturale in Europa sono calati dell’80%). Chiaramente, una dinamica che ha colpito in maniera particolare i più poveri, dato che il prezzo dell’energia non è progressivo come le aliquote fiscali.

Perciò, se aggredire le emissioni di anidride carbonica dal lato dell’offerta di energia elettrica per il momento non ci conviene, rivolgiamo le nostre attenzioni al lato della domanda.

L’Italia ha uno sterminato patrimonio immobiliare che, nella stragrande maggioranza dei casi, è datato, in cattivo stato e, troppo spesso, esposto a rischio sismico. Dato che i consumi energetici correlati agli edifici rappresentano circa il 40% delle emissioni di anidride carbonica perché non cogliere l’occasione e investire nella riqualificazione edilizia? Alcuni meccanismi del Superbonus, per esempio, vanno nella giusta direzione: coinvolgendo il settore creditizio la ristrutturazione degli immobili può diventare un affare per tutti. Per i proprietari, che si vedono ridurre le bollette e aumentare il valore dell’immobile; per l’impresa di costruzioni, che guadagna una nuova commessa; per la banca, che fa un investimento sicuro; e per lo Stato, che mette gradualmente in sicurezza il patrimonio immobiliare, riduce il fabbisogno di materie prime energetiche e taglia il fabbisogno finanziario per raggiungere i target ambientali concordati in Europa. Oltretutto, un maggiore coordinamento con le utilities energetiche e il settore creditizio potrebbe ridurre drasticamente l’onere indiretto a carico dello Stato (il mancato gettito fiscale), trasformandola in una misura – quasi – a costo zero.

Nel complesso, sommando alla riqualificazione edilizia il potenziamento del verde urbano, dell’economia circolare, investendo sui nuovi materiali e sui sistemi di microgenerazione l’Italia potrebbe mettere a bilancio un ulteriore taglio del 20% delle emissioni di anidride carbonica, rilanciando al contempo l’occupazione qualificata, riducendo le spese fisse a milioni di famiglie, tutelando la salute pubblica, mettendo in sicurezza le aree a rischio sismico, migliorando la vivibilità dei centri urbani e contrastando l’emarginazione sociale, soprattutto nelle periferie.

Scenario

Il potenziale della gestione forestale e dell’agricoltura rigenerativa + il potenziale della riqualificazione urbana

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Anche sulla mobilità bisogna avere le idee chiare. Bici elettriche e monopattini sono gingilli simpatici ma hanno un impatto irrisorio sul bilancio ambientale del settore dei trasporti. Sovvenzionarli con soldi pubblici, soprattutto in un momento come questo, è quantomeno discutibile. Ci sarebbe la mobilità elettrica, un’altra opzione che gode di molti sostenitori nel nostro Paese. Inspiegabilmente bisogna dire, dato che in Italia l’indotto dell’auto a combustione vale più di mezzo milione di posti di lavoro e che la transizione verso l’auto elettrica potrebbe costarci due terzi degli occupati; dato che tra tasse e accise l’auto a combustione vale quasi 80 miliardi di euro di gettito fiscale l’anno, con cui finanziamo anche la sanità e l’istruzione; dato che la transizione verso la mobilità elettrica imporrebbe investimenti estremamente onerosi sulla rete, causando un’ulteriore emorragia di posti di lavoro (i benzinai, per esempio).

Al contrario, immaginando una transizione graduale che passi prima per l’auto ibrida e poi arrivi all’auto a idrogeno, potenziando il trasporto pubblico e spostando metà del trasporto merci da gomma a rotaia arriveremmo a tagliare in tempi molto rapidi il 10% delle emissioni nazionali, tutelando al contempo l’occupazione nel settore dell’automotive, candidandoci ad assumere la leadership industriale in un settore estremamente strategico per il futuro (la mobilità ibrida), riducendo l’inquinamento urbano e rendendo più efficiente la rete dei trasporti.

Scenario

Il potenziale della gestione forestale e dell’agricoltura rigenerativa + il potenziale della riqualificazione urbana + il potenziale dei trasporti

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Infine, non bisogna dimenticare un aspetto troppo spesso sottaciuto: individuare una strategia di lotta al cambiamento climatico low-cost vuol dire avere più soldi da spendere in altri capitoli di bilancio. Quindi potrebbe significare più risorse per la sanità e per l’istruzione oppure, garantendo le condizioni adatte per lo sviluppo di ecosistemi imprenditoriali ad alto valore aggiunto (distretti del design e dell’high-tech, della meccanica di precisione e dell’industria farmaceutica etc), maggiori opportunità di un impiego qualificato per i giovani. D’altro canto, dall’Europa arriveranno tanti soldi e tante linee di credito. E oramai, con un minimo di accortezza, si può applicare il bollino di investimento ecosostenibile a qualsiasi misura di sostegno economico o sociale. Spetta agli Stati capire come mettere a frutto questa enorme occasione.

È in questa arena, quella del “possibile qui e ora”, che l’apporto dell’intellighenzia progressista sarebbe prezioso, non nel campo delle speculazioni nostalgiche sul destino del Capitalismo. Come tutte le transizioni epocali, infatti, il Capitalismo cederà il passo a un nuovo sistema economico quando i tempi saranno maturi, non sarà certo un’élite di illuminati o presunti tali (giudica il futuro) a decidere il momento. È inutile cercare di forzare il corso degli eventi, non si può programmare la Storia.

Quello che si può programmare, invece, è la nostra strategia di contrasto al cambiamento climatico: tutelare i posti di lavoro richiede pianificazione industriale e capacità di visione, propensione all’innovazione e profondità strategica, immaginazione e, al contempo, pragmatismo. Per quanto difficile, bisogna costruire convergenze: tra l’ecologismo e le classi popolari, tra gli imprenditori e i consumatori, tra la destra e la sinistra. La lotta al cambiamento climatico è un gioco in cui o si vince tutti o si perde tutti, qualcosa a cui non siamo abituati da tempo come dimostra il Covid-19.

Dire che il sistema va rifondato da capo, in un momento delicato come questo poi, è solamente una maniera molto elegante, ma in fin dei conti molto cinica, per ritagliarsi una nicchia di fan piccola ma fedele, in un dibattito che avrebbe bisogno di tutto tranne che di derive ideologiche e di settarismo.

Twitter @enricomariutti