categoria: Vendere e comprare
Soldi freschi per le aziende italiane. Già, e dove trovarli?
La domanda che attanaglia molti imprenditori, come già riportato dal Sole 24 Ore, è dove trovare i soldi. Facciamo finta che dallo stato non arrivino più facilitazioni e che dalla UE arrivino spiccioli. Come potrebbero, le aziende, trovare soldi freschi per investimenti?
Vi sono prima di tutto le “fonti” classiche: famiglia e amici, prestiti in banca, emissione di obbligazioni, forme alternative di finanziamento come leasing, factoring e, per chi è un po’ più grande, anche la quotazione sul mercato AIM. Negli ultimi anni si sono affacciati nuovi strumenti per raccogliere fondi in modo strutturato. Due soluzioni, differenti tra loro, hanno dimostrato la loro efficacia: il Private equity crowdfunding e le Spacs. Sono due approcci differenti tra loro, quindi analizziamole separatamente.
Private equity crowdfunding
Investire nel capitale di rischio di una start up ( o di una Pmi), utilizzando piattaforme on line autorizzate Consob è una possibilità recente in Italia (5-6 anni circa). Le campagne (leggi startup) finanziate sono andate aumentando anno su anno.
Le quote per “entrare” nel crowdfunding sono spesso piccolissime, si parte da 300 euro o poco più. Il principio è semplice: tu cittadino comune hai la possibilità di finanziare “promettenti” startup. A mio avviso la matrice del crowdfunding è buona ma ha rischi strutturali evidenti: per esempio l’essere utilizzata per frodi, oppure divenire lo strumento di persone che vogliono fare leva sull’Hype (eccitazione) per l’innovazione, mungendo soldi a incauti investitori, che non hanno la minima comprensione del capitale di rischio. Inoltre il biglietto di entrata (400 euro media, vedi immagine sotto) abbassa drasticamente la qualità degli investitori (chi non ha 400 euro?) e di conseguenza il crowdfunding appare la versione digitale di una colletta. Per dirla semplice “chi non ha 400 euro da investire nel prossimo Facebook?”. Certo se va bene ti ritrovi come Eduardo Saverin (che comunque aveva messo inizialmente 1000 dollari). Se va male “capirai hai buttato via 400 euro”.
Una versione decisamente più evoluta del classico crowdfunding è il Private equity crowdfunding. Capire come funziona è il primo passo. “Noi creiamo una Srl che raccoglie tutti gli investitori che possono, attraverso la nostra piattaforma online, sottoscrivere l’investimento.” Mi spiega Antonella Grassigli ceo di Doorway. Il gruppo è tra i principali players italiani nel settore del Private equity crowdfunding. “Una volta terminata questa fase si investe nella Startup o nella Pmi. Il veicolo creato è in pratica una Holding di partecipazione; come amministratore unico viene posto un auditor che fa parte del consiglio di amministrazione della società target. È fondamentale avere una figura senior, magari un fractional executive, che possa unire competenza e visione strategica, per supportare lo sviluppo dell’azienda investite, come un business angel: può essere la soluzione ideale per questo tipo di investimento.”
Una due diligence approfondita e un “ticket di entrata” significativo sono elementi fondanti del successo del Private equity crowdfunding. Ogni realtà che vi opera, come Doorway, ha delle sfumature operative che la rendono unica.
Aggiunge Grassigli. “Sicuramente il nostro approccio ha degli standard di riferimento per decidere quali investimenti proporre ai nostri investitori: come la due diligence approfondita sul modello di business e una forte presenza degli investitori nella realtà investita. Noi abbiamo più affinità con un network di angel investor: non ci limitiamo a raccogliere e mettere soldi in startup o Pmi. Seguiamo il percorso dell’azienda da quando entra nella nostra piattaforma a quando ne esce. I nostri servizi includono un mentoring continuo che, grazie agli stessi investitori, permette all’azienda di poter avere sempre advisors che sono estremamente interessati a far funzionare l’azienda, avendoci investito”, onclude Grassigli.
Il concetto di Due diligence, presente nel Private equity crowdfunding, è il fattore che ogni investitore professionale pretende.
“La Due diligence è il primo passo per comprendere di cosa stiamo parlando”, mi spiega Angela Montanari, Angel Investor su Startup, attiva anche in investimenti su Pmi tramite soluzioni di di questo tipo. “Avere la totale comprensione dell’attività dell’azienda, le sue dinamiche interne, la storia dei suoi fondatori è vitale per comprendere se ammetterla nel mio portafoglio. Inoltre le informazioni periodiche tramite dashboard sugli investimenti fino alla exit è un fattore differenziale e di valore.”
Ma come si può “uscire” da un investimento in Private equity crowdfunding? Da investimenti normali, quali azioni o beni fisici, si può uscire vendendo. Il crowdfunding classico, per mia conoscenza, non permette un’exit o valorizzazione finché non si vende. Cosa differente con questa soluzione di investimento.
“Essendo aziende dove il monitoraggio e il supporto sono continui, il Private equity crowdfunding permette a un investitore di seguire il suo investimento nella massima trasparenza”, dichiara Angela Montanari. “Come investitore, ricerco sempre soluzione di investimento di qualità. Di qui la mia scelta di utilizzare questa tipologia di investimento. Vi sono differenti soluzioni di investimento, sia start up che PMI, con il denominatore comune del forte orientamento all’innovazione. Penso poi al monitoraggio dell’investimento attraverso report periodici dalle società target. Infine la soluzione di exit molto chiara fin da prima di decidere di investire, che prevede la vendita ad aziende dello stesso mercato, la vendita a VC (e la conseguente liquidazione degli investitori presenti) dove l’imprenditore è uscente, oppure la quotazione AIM o Euronext. Un totale di 3 soluzioni”, conclude Angela Montanari.
È bene ricordare che questa soluzione di raccolta fondi è regolamentata da Consob. Il Private equity crowdfunding si dimostra essere una tipologia di raccolta finanziaria che permette a Startup e Pmi di confrontarsi con un pubblico di investitori più maturi ed “istruiti”, rispetto al classico equity crowdfunding. Per gli investitori questa soluzione offre differenti vantaggi oltre l’investimento: entrare in una rete di investitori maturi, che può portare ad altre opportunità di affari, crescita di relazioni personali e professionali. In tempi di crisi, come scrivevo in passato su queste pagine, è sempre bene avere una rete di contatti “extra lavoro”.
La Spac
La Special Purpose Acquisition Company è un veicolo d’investimento societario ed è una cash-shell company: dall’inglese “società conchiglia”, ossia “vuota” priva di bilanci e di ogni altra informazione finanziaria; in breve, una società non operativa. Si differenzia quindi da ogni altro veicolo d’investimento, quali Sicav, fondi immobiliari e fondi chiusi d’investimento. Una Spac è una società quotata su un mercato di capitali, che ha già fatto raccolta di capitali. Il suo fine è porre in essere un’acquisizione con una società target, che dovrà essere individuata entro un breve periodo di tempo (solitamente da 24 a 36 mesi). C’è da aggiungere che la Spac, nel caso non riesca a perfezionare un’acquisizione entro un arco temporale definito, dovrà essere liquidata. La Spac si rivela essere uno strumento già adottato da varie aziende. La più famosa è l’operazione di Corrado Passera per la sua banca Illimity. Ho tuttavia deciso di mappare uno scenario più manifatturiero: la spina dorsale italiana.
“Abbiamo avuto i primi contatti con la Borsa nel lontano 2010-2011 nell’ambito del Progetto Elite” mi spiega Marco Francesco Eigenmann, presidente di Fine Foods & Pharmaceuticals N.T.M. S.p.A., azienda italiana che opera nel settore dello sviluppo e della produzione in conto terzi di forme solide orali, destinate all’industria farmaceutica e nutraceutica. “L’indebitamento finanziario a lungo termine di Fine Foods era composto principalmente da un mutuo ipotecario e da un prestito obbligazionario, integralmente sottoscritto da Amundi e garantito da Sace. La necessità e la volontà di accelerare il nostro processo di crescita, sia a livello organico che inorganico, ci ha portato a valutare differenti forme di raccolta di capitale tra cui anche quella da realizzarsi tramite una business combination con una Spac”.
Per avere successo ogni azienda deve comprendere come valorizzare la Spac. Continua Eigenmann. “Con l’operazione Spac abbiamo raccolto circa 100 milioni di euro. In termini di proprietà aziendale è stato molto utile. Mi ha permesso di mantenere la maggioranza pur andando a definire un piano industriale di grande respiro e aprendo il capitale ad altri azionisti istituzionali.” L’approccio della Spac è valido, ma per onore di cronaca c’è anche da ricordare che alcune Spac non hanno funzionato o si sono rivelate manchevoli di obbiettivi raggiunti.
Come vengono utilizzati i fondi raccolti tramite Spac può fare la differenza tra successo e fallimento del progetto. “Con le risorse raccolte abbiamo avuto modo di completare il raddoppio delle dimensioni dei nostri siti produttivi, progetto comunque iniziato prima dell’operazione con la Spac”, chiarisce Marco Francesco Eigenmann. “Con gli stessi fondi abbiamo deciso di perseguire obiettivi di crescita anche inorganica tramite acquisizioni, al giusto prezzo, di realtà appartenenti a mercati adiacenti o con forme farmaceutiche complementari alle nostre. In un contesto di incertezza quale quello attuale, essere presenti sul mercato AIM, gestito da Borsa Italiana, ha sicuramente contribuito a rafforzare la nostra immagine sul mercato”, conclude il presidente di Fine Foods.
Con la crisi che si approssima in autunno, e la plausibile carenza di liquidità da parte delle banche, queste soluzioni possono essere un ottimo strumento per fare raccolta e crescere.
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