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Sette falsi (veri) luoghi comuni sull’economia italiana
Post di Pietro Bullian, laureato magistrale in Economics presso l’Università Cattolica di Milano –
Proseguono serrate le trattative per NextGenerationEU. I “frugal four” sono ormai diventati “frugal five”, gli italiani fanno quadrato al grido di “Forza Presidente”, perché i soldi sono tanti e fanno gola a tutto l’arco parlamentare, che una mattina si è svegliato europeista, siede al fianco dei grandi statisti mitteleuropei (e a qualche sovranista ex-cattivo tipo Orbán) e marcia compatto contro il “cattivismo” dei “frugali”, avari nordeuropei che si ostinano a non vedere come regalare risorse all’Italia convenga a tutti, pure a loro che ancora non se ne sono accorti.
In tutto questo, è emersa addirittura una “base teorica”, una lettera aperta scritta “da frugali a frugali” che pretende di sfatare 7 luoghi comuni sull’economia italiana, spiegando che – anche se non se n’è accorto nessuno – l’Italia gode in realtà di buona salute finanziaria e non vi è ragione alcuna di dubitare della sua solidità e solvibilità.
La lista, stilata dagli economisti Philipp Heimberg e Nikolaus Kowall, è invitante per la famelica politica italiana, in cerca oggi come sempre di elementi per giustificare il famigerato “eccezionalismo italiano”, vale a dire quella retorica pseudoscientifica che ha l’obiettivo di spiegare al mondo perché non siamo noi a sbagliare ma sono gli altri a non accorgersi che abbiamo ragione.
Commentiamo quindi brevemente i 7 falsi (veri) luoghi comuni sull’economia italiana.
L’Italia vive (e ha vissuto) al di sopra dei propri mezzi
I due iniziano col botto, con un raffronto improvvido e improprio tra la bilancia commerciale italiana (la differenza tra import e export) e il debito pubblico. Gli economisti, spiegano che il rapporto debito/PIL non dice nulla sullo stato di salute dell’economia, cancellando in poche righe decenni di letteratura economica a sostegno della correlazione tra alto debito e bassa crescita, in qualunque verso la si voglia intendere. Il fatto che l’Italia sia un paese esportatore significa che consuma meno di quel che produce, ma come questo renda il bilancio pubblico “frugale” e quindi sostenibile, non è dato saperlo.
L’Italia è piena di debiti
In questo paragrafo troviamo uno dei (due) mantra del partito degli “eccezionalisti”: il basso livello di indebitamento privato. Si sostiene che il debito privato italiano sia molto basso, ed è vero, e che pertanto l’indebitamento del sistema-Italia andrebbe perlomeno circostanziato. In che modo il basso indebitamento privato possa garantire la solvibilità dello Stato italiano (ovverosia la capacità di ripagare i propri debiti), che è uno dei temi cardine del dibattito al Consiglio Europeo, non è chiaro e non è spiegato. Misteri all’italiana.
Il debito pubblico è dovuto alle eccessive spese dello Stato
Eccoci al secondo mantra degli “eccezionalisti”: l’avanzo primario. Si fa notare che lo Stato italiano abbia registrato a partire dal 1992 e con la sola eccezione del 2009 un avanzo primario, vanto del quale nemmeno i più “frugali” e “virtuosi” paesi europei possono fregiarsi. Anzitutto occorre ricordare, come diceva il noto comico, che “è la somma che fa il totale” e che – avanzo primario o non avanzo – lo stato italiano al netto degli interessi sul debito registra quasi sempre disavanzi di bilancio e infatti, non sorprendentemente, il rapporto debito/PIL è cresciuto quasi costantemente. La tesi dell’avanzo primario, infatti, ci dice che se l’Italia non avesse dovuto pagare interessi sul debito, sarebbe un paese ricco. Tutto molto affascinante, ma spiace ricordare che gli interessi si debbano pagare, e cotanta bellezza si vada quindi sciogliendo come una scultura di ghiaccio al sole. Per quanto riguarda poi l’analisi sulle “eccessive spese”, il problema posto dai “frugali” non è tanto la quantità quanto la qualità della spesa, orientata in modo quasi unico al mondo verso l’assistenza e (soprattutto) le pensioni. L’Italia forse non spende tanto, ma sicuramente spende male. Per spiegarla con un luogo comune: con €10 si possono comprare due pacchetti di sigarette oppure un libro…
L’economia italiana è stata enormemente avvantaggiata dall’euro
Qui ci troviamo a discutere forse il capolavoro della teoria eccezionalista: l’euro fa male solo all’Italia. In modi imperscrutabili, si traccia una correlazione negativa (esistente) tra l’ingresso dell’Italia nell’euro e il suo ventennale periodo di stagnazione. Ciò che di imperscrutabile esiste in questa teoria è che l’euro abbia danneggiato la sola economia italiana, tra le pure tante e variegate economie dell’eurozona. In altre parole, è colpa dell’euro se l’Italia va male, ma non è merito dell’euro se gli altri paesi vanno meglio. Misteri all’italiana (bis).
L’Italia non ha fatto riforme strutturali
In questo paragrafo si arriva alla conta, e si conta l’immenso sforzo legislativo italiano per “riformare” il proprio disastrato sistema-paese. Ciò che in Italia sappiamo bene e che (forse) all’estero non sanno, è che le migliaia di pagine di legislazione prodotte ogni anno da Governo e Parlamento raramente hanno prestato il fianco al riformismo, men che meno alla crescita. Lo sanno gli imprenditori italiani, che le “riforme” italiane sono spesso foriere di nient’altro che burocrazia. Avesse fatto meno sforzi legislatori e più sforzi semplificatori, probabilmente l’Italia avrebbe fatto meglio. L’argomentazione aggiunge poi i temi della spesa aggregata, della “frugalità” all’Italiana e del paradosso del risparmio. Un calderone pieno di motivazioni, al quale ci sentiamo di suggerire umilmente di controllare l’andamento complessivo della spesa italiana, che non è affatto diminuita ma si è invece ricomposta – come già detto – ad esclusivo vantaggio di pensioni e assistenza.
Quella italiana è un’economia in declino che vive quasi solo di turismo
Questo punto dovrebbe essere una lettura obbligatoria per il politico medio italiano, perché spiega ciò che è vero: l’economia italiana non vive di turismo. Spiega anche, però, quanto distante dal paese reale sia l’immagine del politico medio italiano che va ripetendo da decenni “il turismo è il nostro petrolio” e “se sapessimo sfruttare il nostro potenziale turistico vivremmo di quello”. No, il turismo non è il petrolio e no, non possiamo vivere di solo turismo. Detto questo, quanto è vero che di eccellenze produttive l’Italia è piena, tanto è vero che sono concentrate in meno della metà del paese. L’altra metà di eccellenze ne vanta assai poche e purtroppo, come scriveva H. Melville: “tutta la flotta viaggia al ritmo della nave più lenta”.
Gli italiani sono più ricchi dei tedeschi e degli austriaci
Per finire, i due economisti discutono un tema che nel dibattito italiano ricorre con cadenza quasi annuale: gli italiani sono più ricchi dei tedeschi. Si tratta, questo sì, di un falso mito. Gli italiani non sono più ricchi dei tedeschi e quindi non è vero che “potrebbero risolvere il problema del debito autonomamente usando il patrimonio privato per farvi fronte”, come riportato correttamente dai due economisti. Questa ultima argomentazione, tuttavia, più che aiutare l’immagine di “Italia bella e solida”, la danneggia. Se è vero che gli italiani non sono più ricchi dei tedeschi, ed è quindi vero che non possono usare la ricchezza privata per far fronte al proprio debito pubblico, allora è anche vero anche il debito pubblico è addirittura meno sostenibile di quanto il settimo “luogo comune” sull’economia italiana non aiuti – al contrario – a dimostrare.
L’economia italiana è disastrata, sull’orlo del fallimento e necessita di rapidi e radicali aggiustamenti per non collassare. I luoghi comuni che la circondano sono (perlopiù) veri, pertanto l’immagine che i “frugali” ne hanno non è affatto distorta. L’economia italiana non è sufficientemente resiliente per sopravvivere al colpo inferto dal coronavirus e la politica italiana non si è mai dimostrata nei decenni all’altezza della sfida riformista. Questo il premier olandese Rutte lo sa e sarebbe meglio che imparassimo a capirlo anche noi.