categoria: Vicolo corto
Quale Italia per quale Europa? Gli altri Stati Generali
L’autore è Jacopo Magurno, laureato in Discipline Economiche e Sociali presso l’università Bocconi con cui attualmente collabora come Research e Teaching Assistant* –
Parallelamente e in rottura con i cosiddetti “Stati Generali dell’Economia” organizzati dall’esecutivo è stata avviata nei giorni scorsi un’altra riflessione collettiva denominata, polemicamente, “Gli altri Stati Generali”. L’evento, pensato come una serie di videoconferenze spalmate fra il 12 ed il 21 Giugno è stato il frutto di una intensa collaborazione fra cinque giovani realtà associative: Kritica Economica, Idee Sottosopra, Osservatorio Globalizzazione, La Fionda ed Associazione Minerva. L’obiettivo è stato quello di strutturare una riflessione collettiva sulle più pressanti questioni del presente (economiche, sociali, culturali, tecnologiche, geopolitiche, energetiche ed ecologiche) al fine di iniziare a costruire una agenda per l’Italia frutto di una riflessione critica, plurale ed il più possibile trasparente.
Una delle tematiche più frequentemente al centro dei dibattiti è stata quella legata all’Unione Europea e più specificamente al rapporto fra il nostro Paese e l’UE.
La crisi del Covid-19 sta mettendo in luce, una volta di più, l’inadeguatezza della attuale impalcatura istituzionale continentale, essenzialmente fondata sul metodo intergovernativo. La vera e propria crisi di identità dell’UE, polarizzata fra sogni di federalismo e di divorzio, fra falchi e colombe, cicale, formiche e frugali, ha fatto sì che le risposte di politica fiscale siano state per il momento delegate ai singoli Stati. Tralasciando il dibattito sul MES, la cui adozione sembra essere politicamente poco sostenibile e che, fra gli altri problemi, ha una potenza di fuoco non adeguata, ricordiamo che sul cosiddetto “Recovery Fund”, nonostante il frustrante sensazionalismo che ha caratterizzato finora il dibattito pubblico italiano, la partita è ancora tutta da giocare. Come del resto era accaduto anche nelle precedenti crisi, il ruolo da protagonista a livello comunitario continua ad essere interpretato dalla BCE. L’istituto di Francoforte è tuttavia costretto, in mancanza di un tesoro Europeo, a muoversi al limite dei trattati. Non sappiamo ancora fin quando la BCE riuscirà a mantenere una politica monetaria così espansiva ed in deroga al principio di proporzionalità. La recente sentenza della Corte costituzionale tedesca sul Quantitative Easing (QE) sottolinea come la battaglia politica su questo punto è più aperta che mai.
Ci siamo quindi interrogati, come “collettivo di collettivi”, su come immaginare a partire dell’attuale contesto, una strategia efficace per il nostro Paese. Una tale strategia dovrebbe coniugare la dimensione nazionale con quella europea ed internazionale.
Siamo convinti che il tempo del “wishful thinking” sia finito. Dovremmo smetterla di rappresentarci l’UE e gli altri stati Europei come attori neutri, benevolenti e soprattutto più bravi di noi a fare i nostri interessi. Bisogna riprendere consapevolezza, come comunità, del fatto che la politica è innanzitutto determinata dai rapporti di forza, cosa di cui fra l’altro i nostri partner europei sono ben consapevoli.
Occorre quindi ridefinire una strategia nazionale che metta al centro l’interesse generale del Paese e che sappia far avanzare la nostra idea di Europa ai tavoli negoziali. Dalle nostre videoconferenze è emerso che è possibile, a patto di riconoscere le giuste leve da attivare, riconquistare spazi di azione politica.
A partire dalla consapevolezza che i debiti pubblici costituiscono quegli asset sicuri e stabili su cui vengono costruiti i portafogli privati, Massimo Amato ha proposto la costituzione di una Agenzia del Debito Europea. Come sottolineato anche da Marcello Minenna in un articolo sul Sole, gli attuali rendimenti negativi che riguarderebbero circa 1/3 dello stock di debito tedesco (circa 750 mld), frutto di una scarsità di Bund causata anche dal quantitative easing, costituirebbero “croce e delizia” per l’economia teutonica. Se da un lato le finanze pubbliche ringraziano, le banche, ma soprattutto le assicurazioni e i fondi pensione vanno in sofferenza perché non riescono a costruire piani di capitalizzazione adeguati. La costituzione di una agenzia del debito, con il compito di raccogliere liquidità per conto di tutti i Paesi europei per poi redistribuirla ai singoli stati secondo uno schema di perpetuities sarebbe vantaggiosa per tutti. I mercati avrebbero a disposizione un safe asset su cui contare per costruire i propri portafogli (a beneficio del settore privato tedesco) e il tesoro italiano si indebiterebbe esclusivamente sulla base del proprio rischio fondamentale, riuscendo a risparmiare circa 45 miliardi all’anno. I tesori europei quindi si libererebbero da quella disciplina dei mercati che non fa bene nemmeno ai mercati. Il tutto, sarebbe possibile senza mutualizzazione ed a trattati vigenti.
Particolarmente interessanti in chiave strategica sono state poi le osservazioni avanzate dal professor Baccaro, direttore del prestigioso Istituto Max Planck di Colonia. Secondo i risultati di un recente survey experiment condotto da Baccaro e co-autori, posti di fronte ai costi di una eventuale Italexit per la Germania, circa la metà dei cittadini tedeschi sarebbe aperta a forme di mutualizzazione del debito. Sulla base di un sondaggio parallelamente condotto in Italia poi, una buona fetta di elettorato italiano considera seriamente l’opzione Italexit. Conseguentemente, a nostro avviso, una carta del genere andrebbe sfruttata meglio in sede di negoziazione.
Siamo tuttavia consapevoli che nessun piano sarà veramente efficace se non prenderemo contezza e non estirperemo con fermezza quello che, a nostro avviso, è il principale male che attanaglia il nostro Paese: il complesso di inferiorità degli italiani. Complesso tanto osteggiato da un patriota come Mattei, ma a cui sono, inspiegabilmente, tanto affezionati molti nostri commentatori di punta. Abbiamo avuto talmente poca fiducia nei nostri mezzi da scegliere, più o meno consapevolmente, di delegare la risoluzione dei nostri conflitti interni a stati terzi (la famosa strategia del “vincolo esterno”). Abbiamo avuto talmente poca fiducia in noi stessi da indurre recentemente allo stupore il famoso editorialista del Financial Times Wolfgang Munchau che afferma senza mezze misure che “In Europa da dieci anni l’Italia va contro i propri interessi”.
Per rimetterci in carreggiata e dare una direzione allo sviluppo del nostro Paese occorre quindi innanzitutto recuperare consapevolezza della grande dignità della nostra comunità e smettere di percepirci e di agire come uno stato senza patria.
* Le opinioni qui espresse sono strettamente personali e non coinvolgono in alcun modo l’ente di appartenenza