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Covid-19 e università in crisi, ecco le sfide che ci attendono in autunno
Post di Azzurra Rinaldi, responsabile del corso di laurea in Economia del turismo presso l’Università degli Studi di Roma Unitelma Sapienza –
Il sistema universitario sta attraversando una profonda crisi, persino nei paesi in cui l’istruzione rappresenta una voce fondamentale del PIL, come il Regno Unito, dove si prevede una perdita nel settore di almeno 2,5 miliardi di sterline. Situazione simile anche negli Stati Uniti, i cui college sono largamente dipendenti dalle rette pagate dagli studenti che provengono da tutto il mondo (e, in particolar modo, della Cina) e che stanno già iniziando a soffrire delle ripercussioni post-Covid.
A livello internazionale, osserviamo alcune tendenze comuni: le rette sono congelate e stentano a coprire i costi fissi, la contrazione della ricchezza che farà immancabilmente seguito al Covid-19 non consentirà di aumentare la spesa pubblica destinata al rinnovamento dei locali e ad un incremento significativo dei salari del personale docente, aumentare le rette in questo momento rappresenterebbe un clamoroso autogol, la proliferazione di corsi di laurea a cui abbiamo assistito in quesi ultimi anni, così come l’incremento dell’offerta, rischiano di provocare un’implosione dell’intero sistema di istruzione universitaria.
La tradizionale formazione in presenza, a seguito del Coronavirus, ha già iniziato a determinare una rimodulazione della fornitura dei corsi. La ben nota Università di Cambridge ha già annunciato che, per l’intero anno accademico, i corsi verranno offerti unicamente in modalità online.
Iniziative di questo tipo vanno certamente nella giusta direzione di alleviare il carico economico delle famiglie, che, tanto più in un momento di crisi, faticherebbero a sostenere anche le spese necessarie per far vivere fuori sede i propri figli al fine di consentire loro di frequentare i corsi. Faciliterebbero, quindi, la scelta dei giovani di proseguire il proprio percorso formativo. E questo, com’è prevedibile, non è solo un problema dei paesi avanzati: in Kenya, la situazione è talmente grave che le università rischiano di non essere in grado di coprire anche le spese essenziali legate al pagamento degli stipendi: il debito complessivo del sistema universitario ammonta ora a 110 milioni di dollari.
Il futuro, in questo momento, è più che mai caratterizzato da incertezza, dal momento che nessuno di noi sa cosa accadrà ad ottobre. Possiamo immaginare due scenari: che il lockdown sia effettivamente concluso (e che non si prospetti una fase due della reclusione a fini cautelativi) o che si vada incontro a nuove restrizioni. Nel primo caso, gli studenti potranno effettivamente frequentare le lezioni (si può ipotizzare quantomeno che frequentino alcuni corsi di base). Anche in questo scenario, tuttavia, vi è grande insicurezza sulla scelta delle nuove immatricolazioni: le famiglie saranno propense a far allontanare i pargoli in altre regioni, dopo quanto è avvenuto negli ultimi mesi? Nella seconda ipotesi, saremo tutti costretti a concentrare le nostre energie nella formazione online e questo rischia di comportare un enorme lavoro di riqualificazione delle università italiane, in moltissimi casi ancora molto distanti dall’impostazione e dalla struttura richieste.
Non a caso, il ministro dell’Università e della Ricerca Gaetano Manfredi ha recentemente espresso la propria preoccupazione circa una potenziale flessione del 20% del numero di iscrizioni all’Università Pubblica. Meno pessimistica la previsione dell’Osservatorio Talents Venture: se dovessimo realmente andare incontro ad una contrazione del PIL pari al 9,1%, il volume degli studenti iscritti all’anno accademico 2020/2021 si ridurrebbe dell’11%, ovvero 262.000 immatricolazioni, a fronte delle 297.000 dell’anno accademico in corso. Stiamo parlando di 35.000 studenti in meno, con una ripercussione economica per gli Atenei italiani pari a 46 milioni (stimando unicamente la riduzione nel numero delle rette, senza considerare l’indotto). In questo contesto, non è difficile immaginare che a risentire maggiormente della la perdita di iscritti saranno le Università con un’elevata percentuale di studenti fuori sede: ad esempio, l’Ateneo di Ferrara (che conta più di 4.000 immatricolati fuori sede), così com la Bocconi (oltre 1.800 studenti fuori sede), ma anche l’Università di Trento (circa 1.700 immatricolati fuori sede).
In realtà, ovviamente, una valutazione complessiva dell’impatto di ciò che avverrà non può essere limitata alla perdita economica: stiamo rischiando un preoccupante crollo del capitale umano del paese, proprio nell’anno in cui avremmo dovuto raggiungere l’obiettivo europeo del 40% di laureati nella popolazione tra i 25 e i 40 anni. Il nostro Paese si colloca, purtroppo, agli ultimi posti in Europa per numero di giovani laureati e questo, in un momento di crisi, non può che peggiorare le prospettive, tanto più se consideriamo questo fattore in relazione alla tradizionale bassa produttività del nostro sistema economico.
Una ripresa sostenuta del nostro paese richiederà necessariamente un incremento di produttività, che sarà possibile raggiungere anche grazie all’innalzamento delle competenze di una popolazione che, peraltro, si colloca ormai in quello che l’Istat definisce “inverno demografico”. In una popolazione che invecchia, puntare sulle competenze può essere fondamentale per la crescita.
Come affrontare l’emergenza in corso? Una delle soluzioni può essere rinvenuta nella formazione fornita dagli Atenei online, che negli ultimi 10 anni hanno visto triplicare il numero delle immatricolazioni. A tal fine, oltre che il necessario controllo sulla qualità della formazione offerta, occorre una trasformazione culturale, che porti a considerare l’offerta formativa universitaria online come una prospettiva egualmente valida rispetto alla formazione tradizionale. Lo sforzo viene richiesto anche agli Atenei: in questo, Sapienza Università di Roma ha avviato, molto prima del Covid-19, una strategia lungimirante, dotandosi di una struttura, l’Università degli Studi di Roma Unitelma Sapienza, che fornisce corsi di laurea e di formazione post universitaria di qualità. Se vorranno sopravvivere alle sfide del futuro, anche gli altri atenei pubblici saranno chiamati ad avviare la medesima trasformazione.
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