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Grande Gatsby, e-learning e smart working: come ridurre la disuguaglianza
Post di Nicolò Andreula, direttore scientifico del Master in Digital Enterpreneurship di H-Farm, e Alessandro Cascavilla, junior economist dell’Osservatorio sui Conti Pubblici Italiani –
A Natale 2018, il governo gialloverde decide di dare una sterzata alla politica economica del Paese con il reddito di cittadinanza e quota 100, a sostegno di disoccupati e pensionati. “Aboliremo la povertà”, dichiara il ministro dello Sviluppo Economico.
Tutto ha un prezzo: per finanziare queste riforme, si decise di ridurre gli investimenti destinati al settore scolastico e agli incentivi per le imprese, cioè al futuro dei giovani e al sistema produttivo italiano, nonostante l’età anagrafica sia inversamente correlata al rischio di indigenza nella nostra penisola.
Fu una buona scelta? Scurdamm’c ‘o passat, direbbero nella città natale di Luigi Di Maio, ma concentriamoci su una domanda chiave per il futuro del nostro Paese: quant’è difficile fare il salto di qualità da una famiglia svantaggiata? Quant’è dura offrire ai propri figli opportunità migliori di quelle con cui si è nati? Quanto ci vuole ad emergere?
Questo indicatore si chiama mobilità sociale, e rappresenta la possibilità di stare meglio dei propri genitori, di godere di un benessere socioeconomico migliore della generazione precedente. Un po’ come la strabiliante parabola di Jay Gatsby, protagonista del romanzo di Scott Fitzgerald – meravigliosamente interpretato da Leonardo Di Caprio sul grande schermo – che in pochi anni riesce ad accumulare una grande fortuna e organizzare feste leggendarie con la crema della società americana nella sua villa meravigliosa.
È proprio a lui che, una decina di anni fa, alcuni economisti americani (Krueger e Corak) decisero di dedicare un grafico che illustra la relazione tra mobilità sociale e diseguaglianza di redditi. The Great Gatsby Curve, la curva del Grande Gatsby, mostra che più elevata è la diseguaglianza di redditi in una generazione, più difficile sarà fare il salto di qualità nella prossima.
Guardando il grafico si capisce immediatamente che il famoso sogno americano è solo un mito, ormai: gli Stati Uniti sono molto polarizzati a livello di redditi percepiti e molto più fermi rispetto ad altre nazioni in quanto a mobilità intergenerazionale. Il loro puntino sulla curva è proprio a fianco a quello del nostro Paese: anche in Italia – purtroppo – chi nasce ricco avrà un figlio che morirà ricco e chi nasce povero ha meno speranze di vedere i propri figli in condizioni migliori rispetto ad altri Paesi Europei.
La curva del Grande Gatsby: mobilità intergenerazionale e disuguaglianza dei redditi
È interessante anche dare un’occhiata a quello che succede all’interno del nostro Paese, a livello di singole provincie, grazie ad uno studio di Bonomi Bezzo e Rubolino, dell’Università di Essex: le provincie dov’è più probabile incontrare nuovi Jay Gastby sono Gorizia, Rovigo e Vercelli, quelle più immobili e diseguali Palermo, Napoli e Reggio Calabria – spicca come outlier Milano, un posto dove i redditi sono polarizzati, ma è anche (relativamente) molto più facile emergere.
Questo ci permette di fare valutazioni interessanti sul nostro Paese e provare ad offrire alcuni suggerimenti per il futuro prossimo, anche e soprattutto alla luce dell’imminente depressione economica che stiamo vivendo. “Mai sprecare una buona crisi”, direbbe Winston Churchill.
Come si fa a rompere questa relazione? Una risposta semplicistica direbbe che il reddito di cittadinanza serve perché diminuisce la diseguaglianza tra famiglie più e meno abbienti, ma non è forse un incentivo perverso a non investire nella propria formazione ed accontentarsi del proprio stato? Lasciamo perdere questo punto controverso e proviamo a concentrarci su altre misure e altri tipi di investimenti che si stanno rivelando sempre più necessari e possibili in questi mesi di distanziamento sociale: la tecnologia come motore per lo smart working e l’apprendimento a distanza.
Istruzione, mobilità sociale e intergenerazionale: una scelta strategica
Tra le ragioni principali che la letteratura economica offre nello spiegare come mai in alcuni Paesi la mobilità intergenerazionale è più limitata, ci sono le diseguaglianze nel mercato del lavoro e le politiche di sviluppo, come quelle legate all’istruzione. È proprio con questi due temi che cercheremo di spiegare perché un investimento in infrastrutture tecnologiche e di rete può portare ad un doppio dividendo per l’Italia: da un lato maggiore mobilità intergenerazionale e dall’altro riduzione del dualismo Nord-Sud, tramite una migliore allocazione delle esternalità legate all’istruzione.
Come sappiamo, l’istruzione rappresenta un “ascensore sociale”, ché offre la possibilità a chi è in condizioni economiche svantaggiate di poter migliorare le proprie condizioni di vita, contribuendo di fatto ad accelerare la mobilità sociale. In altre parole: più studi, più hai probabilità di aumentare il reddito rispetto a quello dei tuoi genitori. Infatti, i Paesi con sistemi d’istruzione sviluppati, con un accesso più facile all’istruzione terziaria e caratterizzati da una popolazione più “educated”, mostrano una maggiore mobilità intergenerazionale e una maggiore equità nella distribuzione delle opportunità [1].
Cosa succede alla scuola ai tempi del COVID-19? Il rapido passaggio all’apprendimento a distanza può rappresentare un limite, o tradursi in un’opportunità per stimolare la mobilità intergenerazionale: il fatto che tutti gli studenti possano accedere comodamente da casa alla formazione a distanza, non significa che tutti gli studenti abbiano la stessa possibilità di seguire e di partecipare allo stesso modo agli stessi percorsi di formazione, godendo quindi degli stessi vantaggi.
Supponiamo che esistano due categorie di studenti: studenti che vengono da famiglie ricche e studenti che vengono da famiglie povere. Questi ultimi si trovano in condizioni economiche svantaggiate rispetto agli altri, e potrebbero trovare delle barriere all’accesso ai sistemi di istruzione a distanza più difficili da superare. Le famiglie meno abbienti possono infatti permettersi degli strumenti tecnologici, come PC e connessione ad internet, meno efficienti rispetto alle famiglie con maggiore reddito. Questo gap alimenterebbe la diseguaglianza tra generazioni, dato che i figli delle famiglie più ricche potrebbero beneficiare di una migliore offerta d’istruzione rispetto ai figli delle famiglie meno ricche.
Alcune ricerche mostrano infatti che la relazione tra il reddito familiare e il livello di formazione dei figli provenienti dalle stesse famiglie è crescente [2]. In altre parole: i bambini provenienti da famiglie più povere hanno risultati scolastici peggiori e mostrano un minor livello di partecipazione all’educazione terziaria rispetto ai loro coetanei migliori. Esiste quindi un nesso di causalità tra livello di reddito e livello d’istruzione. Questa relazione rinforza l’immobilità intergenerazionale dato che, a parità di condizioni, le famiglie che non godono di un aumento del reddito non possono investire nella stessa maniera per la formazione dei propri figli rispetto a chi ha visto il proprio reddito aumentare.
Cosa c’entra questo con l’e-learning e la politica? È importante garantire equità nell’offerta dell’istruzione a distanza per evitare una polarizzazione tra opportunità e risultati di studenti provenienti da famiglie ricche e famiglie povere. Questo è il rischio l’Italia potrebbe correre nel caso in cui lasciasse le cose come stanno, ovvero istruzione a distanza aperta a tutti, ma di fatto spalancata per chi proviene da famiglie con standard di vita più elevati e socchiusa per chi proviene da famiglie meno abbienti.
In ogni caso, è necessario sfruttare la possibilità di poter accedere a percorsi d’istruzione a distanza – soprattutto quella universitaria – anche per incrementare il numero dei laureati, tallone d’Achille del nostro Paese: nel 2018, infatti, l’Italia mostrava la seconda percentuale più bassa in Europa di persone tra i 30-34 anni in possesso di un diploma di laurea (26,9%), ben al di sotto della media UE (39,9%). Anche in questo contesto, la condizione economica familiare gioca un ruolo non trascurabile: il 30% dei laureati nel 2018 proviene da una famiglia con almeno un genitore laureato [3]. È bene quindi tenere a mente questi dati per capire l’importanza di poter sfruttare a proprio vantaggio i lati positivi della digitalizzazione dell’istruzione.
E-learning per la mobilità intergenerazionale
Nel giorno di San Valentino 2020, il ministro Giuseppe Provenzano ha provato a fare innamorare il Mezzogiorno d’Italia presentando il suo “Piano per il Sud”, che punta a rilanciare economicamente e socialmente tutto il territorio meridionale con investimenti pari a 123 miliardi di euro in dieci anni [4].
Tra le priorità del piano stesso ci sono molti investimenti in capitale umano, dato che la situazione dell’istruzione in alcune regioni è ancora tragica: oltre 500.000 bambini nel mezzogiorno sono in condizione di povertà assoluta, una vera e propria “trappola”, come si definisce in economia. Infatti, se la povertà economica limita l’accesso all’istruzione, questa a sua volta limita lo sviluppo del Paese, impoverendo l’economia. Nelle aree estremamente povere l’educazione è un lusso e molti giovani studenti sono costretti ad abbandonare gli studi perché devono trovare un lavoro per combattere la povertà familiare.
Questo circolo vizioso, se non interrotto con delle politiche pubbliche mirate, porta alla formazione di una popolazione non istruita e di conseguenza con limitate opportunità di crescita economica. I dati parlano chiaro: tutte le regioni del Sud Italia, ad eccezione dell’Abruzzo, non hanno ancora raggiunto gli standard d’istruzione che tutti i Paesi UE si sono impegnati a raggiungere entro il 2020 in termini di riduzione degli “early leavers from education and training” ad un livello inferiore al 10% [5].
C’è bisogno urgente di investire nel diritto allo studio e nell’accesso alle università del Mezzogiorno per garantire le stesse opportunità a tutti gli studenti italiani, e la digitalizzazione può essere una leva davvero utile in questo contesto.
Investendo in infrastrutture tecnologiche, come nell’allargamento della copertura della banda larga ultraveloce (su cui siamo al di sotto della metà della media UE), e tramite bonus progressivi sull’acquisto di hardware e strumenti di rete per famiglie meno abbienti, si può colmare il divario nell’accesso alla formazione a distanza per tutti gli studenti, indipendentemente dalla condizione economica della famiglia di provenienza. Questo da un lato ridurrebbe drasticamente il circolo vizioso legato alla trappola della povertà e dell’immobilità intergenerazionale, dall’altro incrementerebbe la percentuale di ragazzi che si iscrivono all’Università.
Smart working e nomadismo digitale per ridurre il dualismo Nord-Sud
Un investimento in infrastrutture tecnologiche avrebbe anche un impatto positivo sulla possibilità di lavorare (bene) a distanza. Lo smart working offre infatti una grossa opportunità per il futuro del nostro Paese, perché potrebbe eliminare molti limiti, confini e disparità geografiche.
Facciamo un brevissimo ragionamento sugli investimenti e i rendimenti di scuola e università: l’istruzione è un servizio che viene erogato pubblicamente per via della sua capacità di fornire vantaggi (esternalità positive) alla società, ed è proprio per questo che la maggior parte dei suoi costi è a carico dello Stato. Se le esternalità positive prodotte da parte di una persona maggiormente istruita sono in teoria una certezza, la loro distribuzione in termini geografici non lo è. In particolare, il Sud Italia è caratterizzato da una perdita in termini di benefici legati all’istruzione, considerando che dal Piano per il Sud già citato si evince che tra il 2002 e il 2017 il Mezzogiorno ha perso 612.000 giovani, di cui 240.000 laureati [6].
Le imprese non riescono quindi ad allocare i loro investimenti al Sud, e i giovani laureati che hanno voglia di mettersi in gioco decidono di “votare con i piedi” e si spostano nelle regioni settentrionali in cui ci sono maggiori possibilità di lavoro, guadagno e carriera. Il mercato del lavoro in Italia è infatti caratterizzato da un forte dualismo geografico, non solo perché nelle regioni del Sud la produttività del lavoro nell’industria e nei servizi è pari al 32% in meno rispetto alle regioni del Centro-Nord, ma anche perché nel Meridione il salario medio è più basso del 25% rispetto alla parte più produttiva della penisola [7]. Tutto questo, se non affrontato con degli interventi statali ad hoc, può limitare fortemente le possibilità di sviluppo del Mezzogiorno, e peggiorare il divario salariale tra le regioni.
Ma in tutto questo, allora, cosa c’entra lo smart working?
Finora, per provare a risolvere questi problemi, si è pensato a delle politiche di intervento che stimolassero le imprese ad investire al Sud, principalmente attraverso sussidi come il credito d’imposta per gli investimenti e i piani “Resto al Sud” o “Cresci al Sud”. Tra le varie proposte, ci si è dimenticati del ruolo che possono avere le nuove tecnologie nell’eliminare il limite geografico del posto di lavoro.
Con la transizione forzata al remote work, in questo periodo di distanziamento sociale ci siamo resi conto che – con la giusta tecnologia e organizzazione – molti lavoratori possono svolgere la loro attività dovunque vogliano senza compromettere i propri livelli di produttività. Se le imprese fossero disposte a mantenere metodi di lavoro a distanza, sarebbe assurdo continuare ad assistere a disparità nelle retribuzioni tra lavoratori del Nord e del Sud, e dualismo in termini di occupazione.
Si potrebbero sviluppare ed incentivare dei piani di assunzione “a distanza” per lavoratori residenti nelle zone del Sud, o in generale di quelle zone caratterizzate da minori investimenti, minor occupazione e minor gettito fiscale. In questo modo, le zone del Sud vedrebbero rientrare parte del proprio capitale umano “perso”, o limiterebbero l’esodo da parte di giovani neolaureati, rendendo meno oneroso per il bilancio dello Stato attrarre investimenti privati nel Meridione.
I programmi di sussidio agli investimenti potrebbero essere sostituiti o integrati da bonus per assunzioni di lavoratori a distanza residenti nelle zone economicamente meno sviluppate. Questo avrebbe un impatto positivo in termini di occupazione ed incoraggerebbe i lavoratori a rientrare o restare nelle proprie regioni e province di origine, riducendo il divario salariale tra regioni del Nord e del Sud Italia. Per provare a far funzionare questo circolo virtuoso, il bonus dovrebbe andare in parte all’impresa che decida di assumere a distanza lavoratori residenti nelle zone interessate, e in parte nella busta paga dei lavoratori, per compensare la differenza di retribuzione rispetto a quanto avrebbero guadagnato nella medesima posizione nelle regioni del Nord.
Limiti e opportunità delle proposte
Sia l’efficacia dell’istruzione a distanza che quella relativa allo smart working si scontrano però con la realtà: come già accennato in precedenza, attualmente in Italia la banda larga ultraveloce raggiunge il 24% della popolazione, un risultato che è significativamente inferiore alla media degli altri paesi UE (60%): come sottolineato qualche tempo fa da Milena Gabanelli, attualmente 11,5 milioni di persone in Italia non hanno accesso a banda ultralarga [8]. Inoltre, all’interno del territorio nazionale ci sono ancora grandi disparità nell’accesso ad internet: secondo i dati dell’Eurostat, nel 2019 la banda larga raggiunge in Italia l’84% dei nuclei familiari. Mentre nelle regioni del Centro e del Nord la percentuale di famiglie che hanno accesso alla banda larga è in linea con la media europea superiore all’85%, le regioni del Sud fanno fatica a reggere il passo, posizionandosi tra le aree meno sviluppate del continente – con regioni come Sicilia, Calabria, Puglia e Molise con performance che variano tra il 75% e l’80% [8].
Gli interventi proposti in quest’articolo nel settore dell’istruzione e del lavoro sarebbero possibili solo se si riuscisse a garantire un accesso equo, efficace e sostenibile alla rete internet da parte di tutti gli studenti, i lavoratori e le imprese interessate. Come nel caso dell’istruzione per ridurre l’immobilità tra generazioni, è necessario investire quindi in infrastrutture tecnologiche e di rete anche per ridurre il dualismo economico e sociale tra regioni dello stesso Paese: da un lato per limitare la rivalità nell’utilizzo della rete (troppi studenti o lavoratori connessi potrebbero compromettere la stabilità della rete), e dall’altro per ridurre l’escludibilità di alcune zone da queste possibilità di sviluppo a distanza (zone non coperte da una buona connessione sarebbero di fatto escluse da programmi di istruzione e assunzione di lavoratori a distanza).
A questo proposito, in Italia è attivo dal 2015 il “Piano digitale italiano – banda ultralarga” che ha come obiettivo quello di garantire velocità di connessione di almeno 100 megabit al secondo (Mbps) per l’85% delle famiglie italiane e per tutti gli edifici pubblici – in particolare scuole e ospedali – e di almeno 30 Mbps per tutti entro il 2020. Parte del progetto è finanziato dai fondi di sviluppo regionale dell’UE, che coprono il 60% dei costi ammissibili del progetto, contribuendo a portare l’accesso veloce a Internet in aree in cui non è al momento disponibile, e interesserà oltre 7.000 comuni italiani, per un totale di 12,5 milioni di abitanti, e quasi 1 milione di imprese [9].
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“Negli anni più vulnerabili della mia giovinezza, mio padre mi dette un consiglio che non mi è mai più uscito di mente. «Quando ti viene voglia di criticare qualcuno, ricordati che non tutti a questo mondo hanno avuto i vantaggi che hai avuto tu».” Questo è l’indimenticabile inizio del romanzo di Francis Scott Fitzgerald che ha ispirato questo articolo. Il nostro Sud, così come il dibattito politico nel nostro Paese, avrebbe bisogno di meno critiche distruttive (e autocommiserazione), e più riflessioni su vantaggi, visioni ed opportunità, anche e soprattutto in tempi di crisi.
Twitter @NicoloAndreula @ale_conomista
NOTE
[1] Si veda: Il modello scandinavo; Corak, Miles (2016) “Inequality from Generation to Generation: The United States in Comparison”, IZA Discussion Paper No. 9929. 
[2] Arild Aakvik, Kjell G. Salvanes, Kjell Vaage (2004) “Educational Attainment and Family Background”; Jo Blanden, Paul Gregg (2004) “Family Income and Educational Attainment: A Review of Approaches and Evidence for Britain” Oxford Review of Economic Policy, Volume 20, Issue 2, Pages 245–263
[3] Education and training monitor 2019, European Commission:
[4] Piano per il Sud 1
[5] Early leavers from education and training by sex and NUTS 2 regions
[6] Piano per il Sud 2 
[7] V. Daniele (2019) “Productivity and Wages: The Gap between North and South” Rivista economica del Mezzogiorno, 2019