categoria: Vicolo corto
Qui non comando io! Ovvero come far succedere le cose senza dare ordini
L’autore di questo post, Silvano Joly,è in Centric Software dal 2016. Ha ricoperto posizioni di sales leadership presso Innovation leaders come PTC, Reply, Sap e Dassault Systemes. Oltre che con grandi società ha lavorato con Aziende pre-IPO, start up e collabora con varie università italiane. Mentore pro-bono di start-up high-tech è da sempre amico della Piccola Casa della Provvidenza (Cottolengo), il più antico istituto dedicato all’assistenza di persone con gravi disabilità –
È attribuita a Gabriele D’Annunzio la massima L’ arte di comandare, è di non comandare, cioè riuscire ad ispirare azioni senza dare l’ordine di eseguirle. Opera compiuta di certo nella “esperienza fiumana”, che il professor Alessandro Barbero, volto ormai noto su Rai Storia, racconta magistralmente nel suo libro Poeta al comando, oggi purtroppo fuori catalogo, illustrando la conquista pacifica di Fiume con novemila arditi ed un governo durato oltre un anno, fino alla fine del 1920, quando Giovanni Giolitti gli dichiarò guerra prendendolo a cannonate. In quel periodo D’Annunzio non diede ordini ma scrisse una Costituzione libertaria, innovativa, ricca di spunti e idee valide, anticipando principi rivisti solo 50 anni dopo a Woodstock con il mantra del Peace & Love.
Lo stesso Barbero commenta l’autorevolezza senza autorità di D’Annunzio: “Fu uno dei personaggi più importanti e influenti della politica italiana e tutti, da destra a sinistra, cercavano in qualche modo di trovare degli elementi comuni con la sua impresa.”
Poeta al comando – Alessandro Barbero, Mondadori 2003
Ma il vero merito del Vate fu riuscire a canalizzare le energie di un coacervo di persone di opposte classi sociali, di idee diverse fra loro in una città multietnica e un territorio difficile a livello economico. In quella breve reggenza, D’Annunzio fu un ottimo manager: tollerò eccessi, balli, sesso e vita spericolata, ma ideò anche una vera politica di sinistra che risolse contrasti tra nazionalisti, anarchici e bolscevichi molto meglio dei vari Governi nazionali Europei. Tutto senza dare un solo ordine ma anzi coniando il motto legionario: Non ducor, duco, non sono comandato, comando.
Naturalmente l’esperienza fiumana va presa con le molle, ma ne possiamo vedere diversi elementi nel modello di Comando e di Leadership moderna, che è radicalmente cambiato negli ultimi decenni, mettendo da parte lo schema organizzativo piramidale che era basato su controllo ed efficienza e proponendo velocità, adattabilità, creatività come indicatori di performance.
Questa evoluzione è stata ben descritta da Gary Hamel in “The Future of Management”, che nel 2007 è diventato un best seller del mondo aziendale e un libro di testo di tanti MBA e corsi universitari di Strategia d’impresa. Come nel film di Robert Zemeckis, Hamel immagina la reazione di un dirigente degli anni ‘60 catapultato dalla macchina del tempo in un’azienda del 2000. Il viaggiatore, pur trovandosi tra nuove tecnologie, sistemi digitali, mezzi di comunicazione istantanea, scopre che i modi e stili di management in uso sono gli stessi dei suoi tempi. Uguali identici, immutati. Il libro mette in luce quel che tutti sanno e pochi ammettono: il management deve ancora svecchiarsi e cambiare moltissimo se non vuol fallire.
Provocatoriamente Hamel parla del buon manager come di un “innovatore seriale”, uno capace di disintossicarsi dai convincimenti sclerotizzati e di riprogrammare il DNA suo e dei collaboratori. Soprattutto uno che si sforza di usare l’innovazione tecnologica, non per replicare on line ma per ridisegnare ex novo sistemi di gestione inutili ma consolidati nel tempo, e di adottare modi manageriali non convenzionali che danno risultati dirompenti da intraprendere subito, vincendo la paura del cambiamento. L’innovatore seriale esce dallo schema della supervisione, smette di controllare status quo e amministrare l’ordinario e si assume rischi e sfide. In una parola: OSA!
Un altro grande libro, First, break all the rules, di Marcus Buckingham, può essere utile per scendere dalla piramide del management e scoprire e valorizzare i talenti, che magari sono nascosti in un team. Ecco 4 dei tanti suggerimenti che il libro propone:
– Always be Ranking. Fare una classifica ma sulla base del talento e non solo di esperienza, intelligenza o determinazione. La sfida è trovare i talenti e farli esprimere dimenticando oscene regole come quella che “l’anzianità fa grado”.
– What Vs How. Meglio dare obiettivi che regole da seguire. Lasciato libero di scegliere la via per raggiungere gli obiettivi, un talento riesce a performare al meglio il proprio talento. Schemi rigidi invece lo rallentano. John Doerr lo ha fatto in Intel, Amazon e Google con gli Objective Key Results (OKR) ottenendo incredibili risultati.
– Reward Vs Punish. Si ottiene di più facendo leva sulle doti che correggendo i difetti. Modificare una debolezza è spesso impossibile, meglio valorizzare i punti di forza. Il segreto di “fare il fuoco con le legna che si ha“ è trovare il talento mettendolo nella condizione di esprimersi.
– Promote to Fit. La carriera non deve essere lineare. Un venditore può essere un ottimo buyer ed un pessimo direttore commerciale. Un bravo tecnico “solista” può dare ile peggio di sé promosso al ruolo di Project Director. Meglio sviluppare le persone dando loro la giusta collocazione, piuttosto che promuoverli al livello successivo della scala gerarchica convenzionale. Aggiungere il prefisso Senior non una promozione ma la condanna a fare sempre le stesse cose, per giunta invecchiando.
John Doerr spiega su YouTube gli OKR
Oggi i manager hanno un’ulteriore sfida, lo smart-working che anche dopo il Covid19 sarà la nuova normalità, rivoluzionando la logica degli spazi di lavoro, della cultura manageriale e cambiando gli strumenti da utilizzare. E soprattutto il sistema di valutazione del lavoro: non più riferibile sulla presenza fisica, meeting viaggi ma solo a risultati e performance finali.
Mariano Corso, responsabile scientifico dell’Osservatorio Smart Working della School of Management del Politecnico di Milano, ha spiegato su Il Foglio che lo Smart Working “non è solo una moda, è un cambiamento che risponde alle esigenze delle persone, delle organizzazioni e della società nel suo complesso, e come tale è un fenomeno inarrestabile”.
Secondo l’indagine dell’Osservatorio diretto da Corso, ci sono almeno 5 milioni di impiegati, funzionari e operatori che con le nuove tecnologie (multicanalità, 3D Printing, Intelligenza Artificiale) vedranno rivoluzionate le loro professionalità. Non solo impiegati, venditori, commessi retail, operatori di sportello ma anche manutentori, tecnici. Se ci pensiamo, persino i preti, che in questi mesi hanno officiato messe on line con l’abilità delle influencer più popolari quando ci spiegano i segreti del make-up.
Strategie Amministrative-Come va lo smart working in Italia
Ma proprio perché smart-working non è solo lavoro da remoto, va ripensata anche la logica della gestione del personale basandolo sulla fiducia e la collaborazione, non possiamo gestire i colleghi come classi scolastiche su Zoom, con l’appello e le webcam accesa per controllare che nessuno dorma o copi il tema.
Ecco allora che il comandare diviene Arte del non Comandare, come aveva intuito D’Annunzio, e va ad agire su responsabilizzazione dei colleghi che nella loro autonomia si trasformano: da “dipendenti’ valutati in base al lavoro e al tempo impiegato per svolgerlo a “professionisti indipendenti” misurati sui risultati ottenuti. Smart-working e smart-management liberano talenti e attitudine, lasciano evolvere i comportamenti delle persone per farne “CEO del loro tempo e del loro incarico” dando libero spazio a innovazione e creatività.
Il declino del Manager Paternalista e Autoritario secondo Sardonic Salad
Va così in soffitta il manager “paternalista e autoritario”, che abbiamo purtroppo rivisto all’opera in questi mesi di lock-down non in azienda ma impersonato da amministratori ai vari livelli di governo. Nessuno ha investito sul capitale umano di concittadini ed amministrati, si è solo pensato a regole e liste di “colpevoli” via via additati: dai cinesi in quanto tali, a chi si riuniva o andava a sciare, quindi chi prendeva il treno per tornare a casa o chi sbarcava sulle nostre coste scappando dalla morte, chi correva, chi portava a fare pipì il cane, fino agli ultimi colpevoli: i giovani della movida.
Il bravo manager, come il bravo governante, non è più un controllore. Non bastano tempra, attitudine al comando, doti organizzative e capacità di controllo ma le più rare e sottili doti del Talent Scout, che non solo sa trovar le risorse di qualità, ma le sa anche mettere a fattore comune con vantaggio per la crescita delle professionalità e dell’azienda.
Twitter @sjoly_ita