categoria: Draghi e gnomi
L’Italia alla prova del Recovery Fund: i quattro passi da compiere
Post di Luigi Garofalo, avvocato, e Lorenzo D’Angelo, LL.M candidate Institute for Law and Finance di Francoforte, laureato in Legge presso l’Università Bocconi e presidente fondatore dell’Accademia Politica –
I principali fattori della crisi
Superata (almeno in apparenza) l’emergenza sanitaria l’attenzione di politica, imprese e cittadini si è ormai spostata sul possibile rilancio dell’economia italiana nella fase post-pandemica. A livello globale per ora non esiste una previsione chiara di quali saranno le cicatrici economiche nel medio-lungo periodo. L’unica certezza è che lo shock si è abbattuto con violenza non solo sul lato dell’offerta (cioè della produzione) ma anche su quello della domanda (cioè dei consumi e degli investimenti).
Per imprese e professionisti la crisi ha comportato soprattutto una drammatica carenza della liquidità necessaria alla gestione corrente, a causa del venir meno di una parte maggioritaria – se non totale – dei flussi di entrata. A propria volta, la diminuzione delle disponibilità liquide comporta la difficoltà di pagare fornitori, dipendenti, banche; l’aumento dei crediti deteriorati obbligherebbe queste ultime a stringere i cordoni della borsa e a concedere meno finanziamenti, anche per rispettare stringenti requisiti regolamentari. Insomma, maggiore è il colpo sull’offerta e maggiori sono i danni al circuito del credito. Questo significa che viene iniettato meno denaro sotto forma di prestiti alle imprese e agli individui per alimentare gli investimenti, rendendo più difficile il recupero della produttività (il che spiega le misure finora adottate dal Governo per “tamponare” la crisi).
Che tipo di crisi ci aspetta? Non lo sappiamo (ancora)
Per molti motivi questa crisi non sembra sovrapponibile alle altre vissute nel passato anche recente dell’economia globale; e tuttavia, una rapida analisi delle crisi già sperimentate e superate negli ultimi decenni aiuta a comprendere meglio gli scenari che ci si aprono davanti e le possibilità di ripartenza dell’economia.
In termini generali, i cicli economici possono subire essenzialmente tre forme di crisi e ripresa, rappresentati graficamente – in ordine crescente di gravità – da una V, da una U e da una L.
La ripartenza a V rappresenta un calo drastico e repentino seguito da una veloce ripartenza. Non è escluso che due scenari a V si verifichino l’uno immediatamente dopo l’altro, determinando così uno scenario a W.
La forma a U è molto più insidiosa. Il calo della produttività è profondo è prolungato, mentre il raggiungimento dei livelli pre-crisi è più lento, perché l’economia tende a stabilizzarsi temporaneamente nella parte bassa del grafico.
La forma a L è la più letale di tutte. Il flusso di credito è gravemente interrotto e ci sono pochissimi nuovi investimenti. In questo caso, la produttività non recupera il suo precedente livello e anche il tasso di crescita diminuisce. La crisi lascia un danno strutturale permanente dal lato dell’offerta.
È ovviamente presto per dire quale tra questi scenari affronteremo. Non è escluso che al freno senza precedenti dell’economia reale segua, nonostante le massicce iniezioni di liquidità da parte delle maggiori banche centrali, il rischio di uno shock del sistema finanziario; potrebbero alimentarsi a vicenda qualora venisse danneggiato il credito che ne è di fatto la cinghia di trasmissione. Il futuro è un territorio inesplorato.
L’innovazione come chiave della ripresa
In assenza di precedenti significativamente comparabili, i governi nazionali non hanno un “manuale delle istruzioni” per affrontare il prossimo futuro ed evitare che i loro errori siano ricordati nei libri di Storia. La domanda quindi è: come ridurre l’intensità della crisi ed evitare uno scenario a U o – molto peggio – a L? La risposta è ancora una volta l’innovazione.
Alcune innovazioni richiedono soprattutto un costo politico: rinnovamento della pubblica amministrazione, smaltimento dei processi civili arretrati, contrasto all’evasione fiscale. Riformare ciascuno di questi ambiti significa incidere su interessi consolidati; per farlo è necessario un governo stabile e che goda di ampio consenso nel Paese.
Altre innovazioni richiedono invece un costo economico. In un paese come l’Italia con un rapporto tra debito pubblico e PIL, ben al di sopra della media UE, pari a circa il 135% (secondo l’ultima Nota di aggiornamento al DEF del settembre 2019, quindi nello scenario pre-crisi) i margini di spesa sono strettissimi. Di qui l’importanza di Next Generation EU, il piano annunciato dalla Commissione Europea per rispondere allo shock economico dovuto alla pandemia da Covid-19.
Il piano Next Generation EU è articolato su tre pilastri:
1) sostegno agli Stati Membri per investimenti e riforme per affrontare la crisi. Si tratta della parte economicamente più rilevante del piano, soprattutto attraverso un piano denominato Recovery and Resilience Facility dal valore complessivo di 560 Miliardi di Euro;
2) rilancio all’economia attraverso incentivi agli investimenti privati, aiutati da garanzie nei settori e nei territori più duramente colpiti dalla crisi;
3) risposta alla lezione impartita dalla crisi. Si tratta in sostanza di investimenti sulla sanità pubblica e sulla cooperazione internazionale.
Il valore complessivo del piano, secondo la stessa Commissione Europea, è di 750 miliardi di Euro: 500 miliardi in grants (sovvenzioni, cioè da non rimborsare) e 250 miliardi in loans (prestiti, quindi da rimborsare con interessi).
Nelle intenzioni della Commissione Europea, che dovranno essere confermate all’unanimità dal Consiglio Europeo, l’Italia potrebbe avere accesso alla quota maggiore di queste risorse pari a 172 miliardi divisi tra oltre 90 miliardi di prestiti e circa 81 di sovvenzioni.
Per ottenere questa liquidità ci sono delle regole ben precise. Su base volontaria ogni Stato Membro dovrà presentare un piano di riforme e investimenti pubblici. Il piano nazionale sarà sottoposto all’esame della Commissione per la compatibilità con le regole europee. Superato l’esame, la Commissione deciderà i fondi da destinare al singolo Paese. Una volta attuato il piano a livello nazionale, la Commissione farà delle verifiche sull’effettiva attuazione e raggiungimento dei benchmark. Ogni volta che lo Stato Membro farà un passo verso l’attuazione del piano nazionale avrà una tranche corrispondente di fondi.
Come utilizzare quindi le risorse per rendere una ripresa a V più probabile di una U oppure a L?
L’idea di un alleggerimento fiscale – già avanzata da qualcuno – è concettualmente errata perché significherebbe finanziare un taglio strutturale con entrate una tantum. Altrettanto sbagliata è una distribuzione generalizzata delle risorse, senza impostare criteri e priorità e con il solo fine di mantenere la struttura produttiva esistente (intendiamoci: un proposito comprensibile, ma anche un’occasione sprecata).
Ci permettiamo di segnalare quattro aree di intervento, quattro passi da compiere su cui avrebbe senso concentrare una parte significativa delle risorse, per ottenerne un ritorno economico e sociale:
a) messa in sicurezza del territorio. Negli ultimi anni l’Italia ha più volte mostrato la corda quanto a prevenzione dal rischio idro-geologico, cura delle infrastrutture e degli edifici pubblici. Il Ponte Morandi è un monito perpetuo. È il momento di concentrare ingenti risorse in questo ambito cruciale per la vita dei cittadini;
b) sanità pubblica e ricerca. Inutile vantarsi di godere di uno dei sistemi sanitari migliori al mondo se gli investimenti non sono adeguati in termini di strutture, personale, attrezzature. Occorre poi rafforzare, e di molto, il sostegno pubblico alla ricerca scientifica e farmaceutica;
c) trasformazione energetica e sostenibilità ambientale. Gli ultimi mesi – da Greta Thunberg al Green Deal europeo – hanno dimostrato che la transizione verso un modello sostenibile dal punto di vista ambientale non è solo un’esigenza etica, ma la direzione in cui va il Mondo (o almeno parte di esso). È fondamentale che l’Italia si ponga all’avanguardia di questo cambiamento;
d) trasformazione digitale. Al nostro paese è universalmente riconosciuto un primato industriale che fa incontrare la produzione di massa con la qualità del prodotto. L’azione pubblica deve perseguire una strategia che salvaguardi il settore e che porti l’Italia a primeggiare nelle sfide della quarta rivoluzione industriale: robotizzazione, intelligenza artificiale e digitalizzazione della pubblica amministrazione.
Twitter @LorenzoD_Angelo