Coronavirus, fisco amico soltanto per pochi. Urge approccio globale

scritto da il 06 Marzo 2020

L’autore di questo post è Costantino Ferrara, vice presidente di sezione della Commissione tributaria di Frosinone, già giudice onorario del Tribunale di Latina, presidente Associazione magistrati tributari della Provincia di Frosinone –

Il fisco ai tempi del coronavirus. Ebbene si, l’influenza dell’ormai noto COVID-19 si estende a macchia d’olio, tanto da investire tutti i settori e necessitare interventi che vadano oltre l’aspetto più diretto del contrasto all’infezione ed alla sua diffusione, che resta ovviamente prioritario, ma da solo non basta.

La tematica economica, infatti, resta un aspetto centrale del problema, di cui forse, ad oggi, non riusciamo neppure ad avere piena contezza. E nelle maglie dell’economia, non si può non parlare di fisco, attore (poco amato dal pubblico!) che riveste una parte di primo piano.

La prima risposta delle istituzioni, in questo ambito, è arrivata dal Governo che, con proprio decreto, ha disposto sospensione degli adempimenti e i pagamenti dei tributi e delle ritenute fiscali per cittadini e imprese delle cosiddette “zone rosse”, che stanno subendo conseguenze più pesanti dell’emergenza Coronavirus.

In particolare, vengono sospesi i versamenti delle imposte e delle ritenute e gli adempimenti tributari per i contribuenti e le imprese residenti o che operano negli 11 comuni interessati dalle misure di contenimento del contagio da Coronavirus. La sospensione riguarda anche le cartelle di pagamento emesse dagli agenti della riscossione e quelli conseguenti ad accertamenti esecutivi.

I comuni interessati sono: in Lombardia Bertonico (LO) Casalpusterlengo (LO) Castelgerundo (LO) Castiglione D’Adda (LO) Codogno (LO) Fombio (LO) Maleo (LO) San Fiorano (LO) Somaglia (LO) Terranova dei Passerini (LO); in Veneto Vo’ (PD).

Tuttavia, la misura intrapresa è, a parere di chi scrive, insufficiente e non tiene conto dei meccanismi concreti che regolano il funzionamento del sistema fiscale.

Il coronavirus ha di fatto bloccato le attività dei professionisti che ricadono nelle zone colpite dal contagio (le cosiddette zone rosse), commercialisti compresi, molti dei quali, però, hanno tra i propri clienti anche persone ricadenti in altre zone del paese.

Al contempo, le difficoltà nello svolgimento degli adempimenti non riguardano solo specificamente i Comuni in quarantena, in quanto gli effetti collaterali del virus si sono fatti sentire anche a chilometri di distanza dalle zone rosse. Basti pensare ai numerosi rinvii di udienze tributarie nel territorio lombardo, fatto che lo scrivente può riportare, essendone a diretta conoscenza, soltanto per fare un esempio.

Il periodo in cui si è verificata l’emergenza, poi, ha fatto il resto.

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Con le scadenze fiscali ormai alle porte e la rata di rottamazione di fine febbraio da dover pagare ciò rappresenta un grosso problema per diversi contribuenti, motivo per cui l’associazione di consumatori Aiace, ad esempio, ha chiesto al ministero dell’Economia e delle finanze una proroga di almeno 15 giorni di tali scadenze: “Si chiede una breve proroga di almeno giorni quindici tale da consentire a tutti i contribuenti di svolgere compiutamente le normali scadenze fiscale ed adempiere anche ai pagamenti della rata della rottamazione”.
Sinceramente, in un contesto di economia globale e di interessenze in cui i confini tra Comuni, ma anche tra Regioni, non hanno più rilevanza, appare un approccio cieco (e poco conscio del funzionamento del sistema economico e fiscale) quello di limitare le misure fiscali ai soli 11 Comuni maggiormente colpiti dal virus.

Sarebbe il caso, dunque, di intervenire su un più ampio raggio e di allargare le misure intraprese (o almeno la proroga delle scadenze) a tutto il territorio nazionale.

Partendo dal fisco, la disamina non può che estendersi all’intero settore economico, il quale potrebbe subire delle perdite inimmaginabili.

Confesercenti, ad esempio, ha calcolato una perdita di circa 3,9 miliardi per i consumi, “una stima conservativa, basata sull’ipotesi di una crisi limitata”, come comunicato in una nota dello scorso 25 febbraio.

La frenata dei consumi avrà conseguenze pesanti sul tessuto imprenditoriale e potrebbe portare alla chiusura di circa 15 mila piccole imprese in tutti i settori, dalla ristorazione alla ricettività, passando per il settore distributivo ed i servizi. L’impatto sull’occupazione potrebbe superare i 60mila posti di lavoro.

La situazione, poi, è particolarmente grave nel turismo: «il comparto – afferma ancora Confesercenti nella citata posizione- è già in zona rossa, con le attività ricettive travolte da un diluvio di disdette, e la stagione primaverile, che vale il 30% circa del fatturato totale annuo del turismo, appare seriamente compromessa, con la prospettiva di ulteriori danni non solo per alberghi e bed & breakfast, ma anche bar, ristoranti e attività commerciali». Appaiono già significativi i cali di viaggiatori registrati negli ultimi giorni, così come le disdette pervenute agli operatori turistici, che lasciano pensare al peggio

Servono, quindi, interventi straordinari per fronteggiare la crisi. Ma stavolta è auspicabile che, a differenza di quanto fatto in ambito fiscale, l’approccio e la visione siano più globali, in modo tale da collocare l’emergenza nella sua reale dimensione e posizione, anche geograficamente parlando: il problema è dell’Italia, non degli 11 comuni colpiti dal virus.

Parola crisi che, al contempo, evoca un ulteriore “spauracchio” di recente rilevanza ed argomentazione, anche a firma del sottoscritto, ovvero il c.d. “codice della crisi” e l’entrata in vigore delle sue – tanto discusse – misure. Prevedere una proroga per l’entrata in vigore dei nuovi adempimenti imposti da questo provvedimento, dunque, potrebbe essere quantomai opportuno, alla luce delle difficoltà già manifestate delle imprese a “digerire” ed attuare tali misure, a maggior ragione oggi, con uno stato d’emergenza economica globale, ormai da riconoscere a pieno come tale.