Un grande ritorno, gli 80 euro (che diventano 100). Faranno il miracolo?

scritto da il 04 Marzo 2020

L’autore di questo post è Andrea Pradelli, laurea magistrale in Economia e Scienze Sociali all’Università Bocconi, redattore de Gli Immoderati e autore per Neos Magazine –

Politica Valutata: bonus 80 euro

Obiettivo: ridurre il cuneo fiscale e rilanciare i consumi

Impatto: Cuneo fiscale ridotto di 2,3 punti percentuali, consumi aumentati di 3,5 miliardi, redditi individuali cresciuti del 2,7%, reddito disponibile familiare dell’1,1%, tasso di povertà ridotto dello 0,6%. Vantaggi soprattutto per la classe media. Riduzione dell’impatto dell’IRPEF, ma alte aliquote marginali e scarso incentivo al lavoro. Problemi di equità orizzontale

Gli 80 euro diventano 100. È questo il fulcro del Decreto del 5 febbraio 2020Misure urgenti per la riduzione della pressione fiscale sul lavoro dipendente”, che punta tutto sul provvedimento-simbolo di Renzi, l’eterno guastafeste.

l report “Recent tax reforms in Italy: the impact on households and workers” (Astarita, Maestri, Schmitz, 2016) e “Il bonus degli 80 euro: caratteristiche ed effetti redistributivi” (Baldini, Giarda, Olivieri, Pellegrino e Zanardi, 2015) aiutano a capire di più. Introdotti nel 2014 e resi strutturali nel 2015, gli 80 euro sono un credito d’imposta, che spetta ogni mese a tutti i lavoratori dipendenti e assimilati con reddito IRPEF fra la soglia di incapienza e 26000 euro. La tabella illustra la struttura del bonus annuale (nel 2018 le soglie sono state portate rispettivamente a 8.174, 24.600 e 266.000):

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L’obiettivo era aumentare i consumi tagliando il cuneo fiscale, per restituire potere d’acquisto alla classe media e medio-bassa. Nel 2015 il bonus è costato 9,2 miliardi, lo 0,5% del PIL. Dal report della BCE “Household spending out of a tax rebate: Italian € 80 tax bonus” (Neri, Rondinelli e Scoccianti, 2017) risulta che i consumi sono aumentati di 3,5 miliardi, facendo crescere la domanda aggregata fra lo 0,2% e lo 0,32%. Il cuneo fiscale sul lavoro è sceso di 2,3 punti percentuali: ne hanno beneficiato soprattutto donne, giovani e lavoratori low-skilled.

Il reddito da lavoro netto individuale è aumentato del 2,7%, il reddito disponibile familiare solo dell’1,1%. Il bonus, infatti, è erogato a livello individuale: a parità di reddito un single e un lavoratore con moglie e figli a carico ottengono la stessa somma. Spesso famiglie con uguale capacità contributiva non sono tassate allo stesso modo: è violato il principio di equità orizzontale. In media, il tasso di povertà è diminuito dello 0.6%. A beneficiarne sono soprattutto le famiglie con almeno un figlio, che tendono ad avere un reddito disponibile familiare più basso ed entrambi i coniugi in età da lavoro. Anche la disuguaglianza è calata dello 0,25%.

La vera vincitrice è stata la classe media: le famiglie che prendono almeno un bonus sono concentrate fra il quinto e l’ottavo decile di reddito. Se, come sembra, l’obiettivo di Renzi era ridare potere d’acquisto alle classi medie, la direzione è quella giusta. Coerentemente, solo un terzo delle famiglie in povertà relativa (che sono il 18% delle famiglie italiane) riceve almeno un bonus: in questo caso spesso i coniugi non soddisfano i requisiti.

Per molti economisti, tra cui Sandro Brusco, il primo problema degli 80 euro è l’aliquota marginale effettiva, che non dà incentivi a guadagnare di più. Fino a 24.000 euro l’aliquota marginale non cambia rispetto a prima. Dopo i 24.000 euro, il bonus diminuisce di 48 euro per ogni 100 euro in più di reddito e le aliquote marginali sfiorano l’80%: un enorme disincentivo al lavoro. Inoltre, per chi è appena sopra la soglia di incapienza basta pochissimo per perdere tutto il bonus: invece che agire da ammortizzatore, gli 80 euro accentuano la perdita di reddito. Per Baldini e i coautori, questo significa che il governo Renzi avrebbe sbagliato a confermare il bonus senza una revisione organica dell’IRPEF.

Per finire, l’aliquota media diminuisce notevolmente. Ad esempio, a 15000 euro passa dal 12,6% al 6,2%, mentre tra 8.145 e 11.540 euro, considerando anche la detrazione da lavoro dipendente, è addirittura negativa: l’IRPEF diventa un trasferimento netto in denaro. È ormai una tendenza globale: usare l’imposta negativa sul reddito per trasferire risorse ai meno abbienti.

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Oggi il ministro dell’Economia, Roberto Gualtieri (al centro nella foto), si sente sicuro di dire che “se si mettono 100 euro in tasca ai lavoratori è chiaro che riparte l’economia, è semplice”. Ma i bonus non fanno miracoli. Sicuramente non ci porteranno ad abolire la povertà, come sogna Di Maio. Se l’obiettivo è rilanciare i consumi e continuare a dare fiato alla classe media la strada è quella giusta, ma l’impressione è che serva più coraggio: non si può tagliare il cuneo fiscale senza una vera rimodulazione dell’IRPEF. E per farlo bisogna trovare le risorse.

NOTE:

1) La soglia di povertà è fissata prima dell’introduzione degli 80 euro, ed equivale a un reddito familiare equivalente inferiore al 60% del reddito familiare equivalente mediano. 

2) Il rapporto fra la variazione del debito d’imposta totale (al netto del bonus) e la variazione del reddito imponibile: schermata-2020-03-04-alle-00-32-56