categoria: Draghi e gnomi
La lezione del Portogallo sul momento giusto per l’austerità
Lo scorso 6 febbraio il Parlamento portoghese ha approvato il documento programmatico di bilancio per il 2020. Grande risalto è stato dato al fatto che per la prima volta, nei 45 anni di vita della recente Repubblica, il saldo del bilancio dello Stato sarà in attivo. Sebbene la Commissione Europea valuti ancora questo documento a rischio di deviazione significativa sia per il rispetto della regola della spesa che del braccio preventivo del patto di stabilità, si riconosce che il Portogallo sta ormai pienamente rispettando l’impegno di riduzione del debito pubblico e l’obiettivo di saldo strutturale nel medio termine.
Sono ormai lontani i toni di sfida tra Commissione e Governo che avevano accompagnato la preparazione e valutazione del primo documento di bilancio del Governo di Antonio Costa nel 2016. Il rischio di un nuovo caso Grecia con lo spread a circa 350 punti e la minaccia di multe dalla UE sono ormai acqua passata.
Ne avevamo già parlato circa un paio di anni fa. Complice una situazione interna ed esterna favorevole, la prima finanziaria intervenne trasferendo risorse a sostegno dei redditi privati con una minore tassazione diretta ed un aumento degli stipendi dei dipendenti pubblici e delle pensioni. Gli investimenti pubblici furono la principale voce di spesa che venne sacrificata.
Da allora la politica economica del Governo è proseguita sulla stessa linea, inserendo una maggiore attenzione alla spesa per investimenti.
Anche nella manovra 2020 le uniche modifiche di rilievo rispetto a quanto programmato lo scorso anno riguardano l’aumento della spesa per stipendi pubblici e pensioni, con un impatto complessivo per lo 0,4% del Pil. In questi 5 anni di Governo la spesa per stipendi dei dipendenti pubblici sarà cresciuta, in termini reali, del 7%. Quella per prestazioni sociali del 5% ed i trasferimenti sociali in natura del 15%. Se ci si chiede allora in quale modo l’aumento di queste importanti spese correnti, che nel complesso incidono per circa l’80% della spesa pubblica, possa esser compatibile con un bilancio in pareggio, la risposta si trova guardando soprattutto al forte aumento delle entrate. Rispetto al 2015, le entrate fiscali a fine 2020 saranno aumentate, sempre in termini reali, del 11%. È stato grazie a questo aumento, complice la diminuzione della spesa per interessi ed in conto capitale, che si è potuto azzerare il deficit del 4,5% che il Governo Costa aveva ereditato.
Come scriveva J. M. Keynes nel 1937, “The boom, not the slump, is the right time for austerity at the Treasury”. Il boom, non la recessione, è il momento giusto per l’austerità del Tesoro, ed il successo nell’azzeramento del deficit pubblico ha molto a che fare con la fase del ciclo economico che il Portogallo sta vivendo; con il fatto che le manovre di questi anni abbiano assecondato tale ciclo redistribuendo risorse a favore dei consumi delle fasce a minore reddito. La maggiore crescita economica ha da un lato prodotto maggiori entrate fiscali, dall’altro aumentato il denominatore al quale i conti pubblici sono rapportati. Il debito pubblico che nel 2020 sarà in termini nominali superiore di 20 miliardi di euro rispetto a quello del 2015, sarà invece sceso di oltre 14 punti se calcolato in rapporto al Pil.
L’aumento della domanda interna ha poi determinato maggiori affari per le imprese, che, pur risparmiando una quota più elevata del proprio reddito rispetto a quanto succedeva prima della crisi, hanno ripreso ad investire, ridiventando investitori netti nell’economia (fig.1).
Il settore immobiliare dalla fine del 2015 ha ripreso a crescere, ritornando il principale settore trainante. I prezzi sono di nuovo sui massimi storici sia in termini reali che in proporzione al reddito (fig.2). Nel 2020 gli investimenti in costruzioni e nelle abitazioni, che contano circa il 50% degli investimenti complessivi, saranno il 30% in più rispetto al 2015.
La crescita del prodotto interno lordo in questi anni è stata tra le più elevate in Eurozona. Dalle previsioni della Commissione Europea si ricava che nel 2020 il Pil sarà più alto del 12,1% rispetto a quello del 2015 e del 6% rispetto al valore pre-crisi del 2008. A questa crescita hanno contribuito quasi esclusivamente i consumi e gli investimenti privati. I consumi e gli investimenti pubblici hanno avuto un ruolo marginale, i primi cresciuti dello 0,6%, i secondi solo dello 0,17% rispetto al 2015. Il settore estero ha invece offerto un contributo negativo (fig.3), perché sebbene le esportazioni di beni e servizi siano cresciute significativamente (+24% in termini reali rispetto al 2015), le importazioni sono aumentate più che proporzionalmente (+30,6% dal 2015).
Ciò che caratterizza questa fase espansiva e che, al momento, la distingue da quella registrata fino al 2008, è che non è sostenuta da nuovo indebitamento privato. I debiti delle famiglie e delle imprese non finanziarie portoghesi si sono infatti mantenuti stabili durante questi anni di crescita ed hanno diminuito la propria incidenza in punti di Pil. Anche i crediti deteriorati in pancia alle banche si sono ridotti in modo significativo, passati dal 18,8% dei crediti totali nel 2016 al 7,7% del terzo trimestre 2019. La ripresa sembra perciò poggiata su basi più solide.
Ma le debolezze strutturali dell’economia portoghese; bassa produttività del lavoro e posizione netta sull’estero ampiamente debitoria, rimangono ancora da affrontare. La produttività del lavoro, misurata come output per ora lavorata, rimane circa la metà di quella della zona euro, e gli investimenti che sono principalmente concentrati in settori a non elevata produttività, quali appunto l’immobiliare ed il turismo, non hanno consentito di ridurre questo divario. La crescita complessiva della produttività del lavoro in questi ultimi cinque anni è stata intorno al 3%, simile a quella della zona euro.
Anche la posizione sull’estero del Portogallo, una delle peggiori al mondo, non è stata seriamente corretta. In valore assoluto è sostanzialmente uguale a quella di 5 anni, debitoria per circa 213 miliardi di euro. Il miglioramento in punti di Pil, anche in questo caso, è dovuto alla crescita economica di questi anni, ma l’economia rimane allo stesso modo fragile dinanzi ad una possibile perdita di fiducia dei “mercati”.
posizione debitoria di questa natura non permette una piena libertà di azione. Non sono più i tempi precedenti la crisi in cui si pensava che qualsiasi deficit con l’estero potesse esser finanziato internamente all’Eurozona. Non è più così. Nel 2019, per la prima volta in 6 anni, il Paese ha registrato un deficit con l’estero nel commercio di beni e servizi, che ha provocato un saldo negativo delle partite correnti (fig.4). Ciò significa che il Portogallo è ritornato ad indebitarsi con il resto del mondo.
Se la domanda interna dovesse continuare a crescere al ritmo degli ultimi due anni, 3,4% di media, il Portogallo si troverebbe a richiedere sempre più capitali all’estero, a meno che non vi siano significativi miglioramenti della produttività (e quindi della competitività estera) o un miglioramento delle ragioni di scambio per una sostenuta crescita anche nei Paesi con i quali più commercia. Ipotesi, queste ultime, non così probabili al momento.
Il Governo è posto quindi dinanzi alla decisione se continuare ad assecondare la domanda interna spostando ancora nuove risorse verso il consumo e peggiorando i conti con l’estero fino a quando “il mercato” non ne chiederà conto; oppure se modificare la propria politica economica tenendo sotto controllo i conti esteri.
Quest’ultima decisione comporterebbe con buona probabilità il perseguimento di un saldo di bilancio ancora maggiore che abbassi la domanda interna, ma non è detto che gli effetti sul Pil possano essere così peggiorativi (anche la crescita della domanda interna, trasformandosi in maggiori importazioni, diminuisce nel tempo l’impatto sul Pil) perché “il boom, non la recessione, è il momento giusto per l’austerità del Tesoro”.
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