Il design è morto? Forse no, ma quello scandinavo ora lo fa Greta

scritto da il 20 Febbraio 2020

L’autore di questo post è Luca Bianchetti. Laureato in ingegneria e psicologia, ha un MBA. Ha fatto il consulente direzionale con società multinazionali, si è occupato di molti progetti di trasformazione e di ridisegno dei processi. È piuttosto convinto che la forma delle cose abbia un rilevante effetto sulle persone. Ha riflettuto sulla personalità dei creativi e ha seguito lo sviluppo di alcuni prodotti di design per un mobiliere italiano

In un post precedente partivo dalla considerazione sentita in giro che il design è morto e se mai risorgerà sarà nel disegno dei processi. Sul tema dei processi ho detto che un nuovo sguardo del pubblico e nuovi ruoli nelle aziende potrebbero effettivamente trasferire in quell’ambito alcuni elementi distintivi e attrattivi del design di prodotto. Sul fatto che sia davvero morto vorrei provare a dire qualcosa qui.

Provo a domandarmi cosa significa che il design sia morto, cosa lo fa pensare e se sia veramente così.

Una prima considerazione è che le aziende del design non sono più così floride come si immaginavano (ed erano). Faccio due esempi, rappresentativi, perché di aziende che producono quasi solo oggetti costosi e riconosciuti per la qualità e lo stile ma perfettamente sostituibili con altri più economici. Kartell è passata in 10 anni da 120 milioni di euro di fatturato nel 2008 a 88 nel 2017. Nello stesso periodo Alessi è scesa da 80 a 60 e una quota cospicua dell’azienda è passata di mano la scorsa estate per una cifra non nota, ma che si arguisce non essere sontuosa. Una dinamica tipica di queste aziende è quella di aver perso gran parte del fatturato in Italia e aver recuperato solo parzialmente all’estero. In questo fenomeno ci sono molti elementi economici e gestionali che nulla hanno a che vedere con il design. Il mercato italiano è cambiato per sempre a causa dall’andamento economico generale a partire dal 2009, in particolare sui beni durevoli di consumo. Le difficoltà nel costruire una presenza di immagine e distributiva sufficientemente intensa all’estero sono molte e non è il caso di approfondirle qui.

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Lampada Kartell

Tuttavia ci sono anche casi di successo, come i gruppi costituiti da Investindustrial con Flos, B&B e Louis Poulsen e da Cassina/Frau/Cappellini, acquisita nel 2014 dal colosso dell’arredo per ufficio Haworth. Sono gruppi legati più a mercati business to business che al retail, più alle vendite contract e alle nuove realizzazioni edilizie che non alla vendita ad un pubblico affascinato dai prodotti.

Questo suggerisce non la morte ma un cambio di funzione del design, che diventa uno strumento di nobilitazione per qualcosa di più ampio e giunge mediato al suo destinatario, in una forma più simile all’architettura che viene fruita ma non consumata, apprezzata (spesso superficialmente) ma non scelta. Certamente però perde gran parte di quella funzione di gratificazione e identificazione che aveva nel momento in cui un prodotto veniva acquisito per sé.

Un altro elemento è che alcuni prodotti non hanno più il lustro del passato e non sembra che siano stati sostituiti da una nuova generazione di prodotti analoghi. La Vespa, la Moka, la Egg chair, la lampada Arco non hanno un corrispondente contemporaneo. La grandissima parte delle cose che si disegnano ora non sono in grado di conquistare un posto da emblema nella nostra mente e spesso sembrano rimaneggiamenti di idee, segni e linguaggi appartenenti a oggetti del passato. (No, non dirò icona, che altrimenti mi tocca spiegare cos’è e non lo so. Ma sono in vasta compagnia).

Per restare nel nostro piccolo di italiani (piccolo si fa per dire), si può dare un’occhiata su wikipedia ai premi Compasso d’Oro del passato e quelli più recenti. Ho selezionato prodotti omogenei (ora il premio si rivolge a categorie più vaste) dall’edizione del ’79, che è stata certamente molto fortunata, ma resta rappresentativa del periodo e dalle ultime due edizioni del 2016 e 2018. Nella prima ci sono otto prodotti che ricordo perfettamente a quarant’anni di distanza, almeno tre dei quali vanno nella categoria immortali (Parentesi, 9090 e Atollo).

Premi Compasso d’Oro 1979
Vico Magistretti, lampada Atollo per Oluce
Vico Magistretti, poltrona-divano Maralunga per Cassina
Cini Boeri, divano Strips per Arflex
Enzo Mari, sedia Delfina per Driade
Achille Castiglioni e Pio Manzù, lampada Parentesi per Flos
Richard Sapper, caffettiera 9090 per Alessi.
De Pas, D’Urbino, Lomazzi, appendiabiti Sciangai per Zanotta.
Design Group Italia, Fila S.p.A., Tratto Clip e Tratto Pen (penna e pennarello)

Che dire dei prodotti più recenti? Io credo che il discorso si faccia interessante. Quelli dedicati alle funzioni alle quali si dedicava il design di allora, la caffettiera di Trimarchi, le sedute di Lievore, le lampade di Grcic e Gismondi, sono prodotti meno singolari di quelli di un tempo, non c’è che dire. Li dimenticheremo o tra un po’ non li riconosceremo. Però si è ampliata l’area di funzioni a cui il design si rivolge e lì si vedono risultati notevoli, benché confinati in nicchie di interesse che difficilmente potranno generare i casi emblematici del passato. La lucetta per la bicicletta, il moschettone, il termoarredo, la gelateria sono cose che si ricordano. Tutti portano la soluzione che propongono a un livello superiore alle aspettative, come fece il rompitratta di Castiglioni di cui ho parlato nel pezzo precedente. (La cosa che preferisco è il profilo per i serramenti di Torsello, che ha il potere di cambiare ogni edificio in un suo costituente essenziale e colma oggettivamente una carenza).

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La caffettiera Ossidiana

Premi Compasso d’Oro 2016
G. Castagnoli, M. Fagioli, E. Gargano, rubinetteria 5MM per Treemme Rubinetterie
Alberto Meda e Francesco Meda, pannello Flap per Caimi Brevetti
Emanuele Pizzolorusso, lampada per bicicletta Lucetta per Palomar
Mario Trimarchi, caffettiera Ossidiana per Alessi
Technogym Design Center, attrezzatura Omnia per Technogym
Lievore Altherr Molina, sedute Vela per Tecno
Konstantin Grcic, lampada OK per Flos
Daniel Rybakken, lampada Ascent per Luceplan
R&D Grivel con Maurizio Gallo, moschettone Twin Gate per Grivel

Premi Compasso d’Oro 2018
Ernesto Gismondi, sospensione Discovery per Artemide
Studiocharlie, rubinetteria Eclipse per Boffi
Alberto Meda, radiatore Origami per Tubes Radiatori
Technogym, tapis roulant Skillmill per Technogym
Fabrizio Crisà, piano cottura Nikolatesla per Elica
Alberto Torsello, profili per serramenti OS2 75 per Secco Sistemi
Ifi, gelatiera Popapp per Ifi
Vibram, calzatura Furoshiki per Vibram

Quindi, ancora una volta, il design cambia, negli ambiti tradizionali non trova nuovi spazi da esplorare, perde freschezza e la dimensione più profonda forse, ma non muore. Anzi, mantiene e anche amplia la capacità di dare una veste nobile, aggraziata, intelligente e persino pedagogica alle funzioni in nuovi ambiti, fino addirittura ai processi. Però perde la capacità di far identificare le persone, di essere una risposta alle aspirazioni, di surrogare la funzione del Sé di definirsi e rappresentarsi all’esterno.

Detto così sembra una cosa brutta. Si è involgarito. Ma è lui o siamo noi? Il sospetto è che siamo noi ad essere cambiati, non il design a non essere più all’altezza.

Il narcisismo che in qualche misura c’è in ognuno di noi, e in misura molto superiore in chi è interessato al design, oggi ha modalità diverse di essere appagato. Vogliamo mostrare di essere bravi e belli noi, non di avere cose belle. Vogliamo mostrare di essere attraenti, di avere dei valori, di essere corretti, ecologici o viceversa di essere scorretti e ribelli. Ma noi, il nostro corpo, la nostra immagine nel mondo. Questo è quello che “compriamo”. Vogliamo fare esperienze e offrire una nostra immagine, non possedere e mostrare oggetti. Questo è ora ciò che cerchiamo per definirci, anche raccogliendolo in giro, da Greta o dal Me Too.

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Greta Thunberg

Vogliamo appartenere a un mondo che ci restituisce uno sguardo che ci conferma di essere accolti, non salire su un gradino più alto e mostrare che abbiamo saputo scegliere una cosa più bella di quella degli altri (salvo poi, spesso, scegliere tutti la stessa cosa). Vogliamo essere artefici della nostra vita, intercettare e appropriarci di quelle che ci sembrano le idee giuste in circolazione e non dipendere dagli intellettuali. Non vogliamo più Montanelli che ci spiega cosa dobbiamo pensare, il partito che ci spiega in cosa dobbiamo credere o Magistretti che sa com’è fatta una lampada bella.

Le figure di riferimento non sono più riconosciute. E nemmeno le cose. Nel mondo di Instagram, dei politici che vogliono mostrarsi come chi li vota, delle persone che si sentono autonome trafficando con le loro app quel design è morto. Ma quello di oggi mi pare abbia saputo trasformarsi abbastanza bene. La caffettiera di Sapper resterà un desiderio solo per gli amanti dell’estetica come me.

Twitter @lbianchetti