categoria: Vicolo corto
Eredità giusta, quanti paradossi. Meglio garantire denari o conoscenze?
L’autore di questo post è Massimo Famularo, investment manager esperto in crediti in sofferenza (Npl) –
Il Forum Diseguaglianze e Diversità di Fabrizio Barca ha elaborato 15 proposte per la giustizia sociale ispirate al programma di azione di Anthony Atkinson e sta attirando l’attenzione dei media per la numero 15 alla quale il Corriere 7 ha dedicato un articolo di approfondimento.
In sintesi, si propone l’introduzione di un’ “eredità universale” del valore di circa 15 mila euro, non condizionata, da corrispondere a tutti coloro che compiono 18 anni, finanziata per circa ¾ da una “imposta sui vantaggi ricevuti” gravante su tutte le eredità e donazioni percepite (al di sopra di una soglia di esenzione di 500mila euro) da un singolo individuo durante l’arco di vita.
È abbastanza evidente che questa idea possiede tutti i requisiti per conquistare l’immaginario di quella che si potrebbe qualificare sinteticamente come sinistra liberale:
1-offre una soluzione semplice a problemi complessi, posto che le difficoltà di attuazione pratica sono beghe da ragionieri che non riguardano i visionari e indica una visione con una forte componente emotiva, di quelle che in genere, durante i momenti di generale sconforto e confusione, pagano alle urne;
2-indennizza i giovani italiani, per i quali l’ascensore sociale si è rotto proprio mentre il resto del mondo sperimenta l’epoca che presenta maggiori opportunità individuali nella storia dell’umanità, con la sola imposizione di un trasferimento in denaro, come se uno che in 18 anni non ha ricevuto l’alfabetizzazione di base per sopravvivere nel mondo contemporaneo (dalla conoscenza dell’inglese alle competenze quantitative e informatiche) potesse “cambiare vita” con
3-fa pagare il conto ai ricchissimi, onde rispettare il delicato equilibrio che consente ai sinistri liberal di stare dalla parte dei più deboli senza pagare di tasca propria
Trattandosi di problematica molto seria, da maneggiare con cura per non scadere in sterili polemiche ideologiche, propongo di seguito una serie di rilievi circostanziati e una modesta proposta finale onde evitare di passare per “scoraggiatore militante”
La prima obiezione riguarda l’impianto teorico: è discutibile che il problema principale del nostro paese sia la disuguaglianza e che, in ogni caso, la soluzione al problema debba passare per un’attività di redistribuzione.
Sul tema della disugualianza uno speciale recente de l’Economist ha evidenziato come le misurazioni sulle quali si basa la narrazione prevalente, sposata dal think tank di Barca, siano oggetto di rilevante revisione critica in ambito accademico.
A questo si può aggiungere come uno studio recente pubblicato dalla Bank Of England sull’andamento dei tassi d’interesse reali nel periodo tra il 1311 e il 2018,metta seriamente in discussione l’idea dall’economista francese Thomas Piketty, che il ritorno sul capitale sia stabilmente superiore al tasso di crescita dell’economia.
In quest’ottica, comincia a scricchiolare tutta la costruzione politica su cui si basa anche parte del programma elettorale della candidata alla presidenza USA Elisabeth Warren, per la quale la concentrazione della ricchezza è un fenomeno rilevante, dannoso per il benessere della collettività che va corretto con politiche redistributive e in particolar modo con imposte gravanti sulla ricchezza.
La breve rassegna su questo profilo termina con una serie di post di John Cochrane, nel quale la debolezza degli argomenti economici sulla rilevanza della concentrazione della ricchezza per il benessere collettivo (al netto dei problemi di misurazione) viene spiegata in modo efficace e si evidenzia come dietro i fautori di questo tipo di provvedimenti ci essenzialmente sia un’agenda politica.
Per riassumere, non è affatto detto che il modo giusto di leggere i problemi della società contemporanea, in particolare di quella italiana, sia immaginare una sorta di lotta di classe tra giovani e anziani. Una delle possibili alternative è guardare alla contrapposizione tra privilegiati e penalizzati, annoverando tra i primi, a titolo di esempio, chi percepisce una pensione sproporzionata rispetto ai contributi versati, beneficia di concessioni o accordi di fornitura verso la PA a prezzi fuori mercato o semplicemente è protetto dal rischio di licenziamento, fallimento del datore di lavoro o è dispensato da qualsiasi forma di valutazione del proprio operato.
La seconda obiezione riguarda l’architettura della proposta e le possibili criticità in termini di incentivi perversi e di sostenibilità intertemporale. Come verrebbe regolata l’eredità universale nei confronti dei flussi migratori? In ipotesi estensiva, si rischia di attrarre minorenni che, come il figliol prodigo della favola biblica, potrebbero trasferirsi in italia solo per ottenere il contributo. In ipotesi restrittiva, si avrebbe il paradosso di escludere da un beneficio universale proprio i “nuovi italiani” che venendo nel nostro paese accettano implicitamente una quota di debito pubblico superiore all’eredità ipotizzata.
Il discorso diventa più evidente in un’ottica dinamica e intertemporale: l’eredità ipotizzata, in un paese che ad oggi non cresce e in un’epoca caratterizzata da un’elevata mobilità internazionale delle persone e dei capitali, potrebbe rivelarsi in breve tempo o insostenibile o doversi ridurre ad un livello quantitativamente irrilevante.
Figlio di un marxismo che la storia ha cacciato dalla porta e cerca di continuo di rientrare dalla finestra, l’argomento della redistribuzione universale (che sia realizzata attraverso il reddito o l’eredità) presenta tutti i limiti di staticità del cosiddetto “modello superfisso” e mal si concilia con una realtà nella quale gli individui rispondono agli incentivi con evidenti effetti dinamici del tempo quali attirare chi vuol percepire l’eredità pubblica e respingere chi vuole evitare la tassazione dell’eredità privata.
La terza obiezione riguarda contraddizione logica: se il punto è ripristinare uno stato di pari opportunità, non è plausibile che chi per 18 anni ha avuto a disposizione una dotazione di capitale umano maggiore grazie alla fortuna di essere nato in una famiglia o in un comune piuttosto che in altri, possa sfruttare al meglio la dotazione aggiuntiva, mentre chi invece è partito svantaggiato finisca per sprecarla arrivando in questo modo al paradosso di aggravare il divario?
In un epoca in cui con le giuste competenze di base si può lavorare a distanza come free lance dai paesi in via di sviluppo, che in questo modo si avvicinano a quelli sviluppati, o dare vita a colossi multimiliardari partendo da un prototipo costruito in garage, siamo sicuri che l’eredità giusta da fornire sia costituita da denari (che siano 15 o 100 mila poco cambia) e non da conoscenze?
Con l’offerta disponibile di Mooc,
https://it.wikipedia.org/wiki/MOOC
strumenti di autoapprendimento come Khan Academy e simili non costituirebbe un investimento migliore pagare corsi di lingua inglese e connessioni a internet?
L’italia è un paese dove la formazione è gratuita e pubblica, dove molti servizi essenziali come la sanità sono forniti dallo stato che mantiene una presenza rilevante nel sistema economico. E’ un evidente fallimento dello stato educatore, imprenditore e regolatore disfunzionale che ai cittadini più giovani si presenti uno scenario tanto carente in termini di opportunità al momento in cui raggiungono la ragione età.
Piuttosto che liquidare la questione con una sorta di indennizzo forfettario, non sarebbe forse il caso di intervenire sulle determinanti di questo fallimento?
Quarta ed ultima osservazione riguarda l’ipotesi di tassare la ricchezza ricevuta in donazione o in eredità: esistono rilevanti problemi su come misurare il valore della ricchezza, specie per la maggioritaria componente illiquida e, come evidenziato da Cochrane non è facile misurarne il contributo al benessere di chi ne è titolare.
La componente liquida della ricchezza è più facilmente misurabile, ma più difficile da assoggettare a imposte perché si può trasferirla agevolmente in altre giurisdizioni.
La componente illiquida è al contrario più difficile da trasferire, ma molto più complessa da valutare: ricevere in eredità un castello che nessuno vuol comprare, ma che costa 100 mila euro all’anno di IMU e 200mila di manutenzione siamo sicuri è un colpo fortuna o una sventura? Lo stesso dicasi per un azienda con un modesto utile o addirittura in perdita: quanto vale?
Se dunque l’idea di offrire ai giovani pochi soldi quando è troppo tardi può apparire miope e anacronistica in un’epoca in cui quello che realmente vale sono le competenza, anche l’ipotesi di finanziare questo trasferimento tassando la ricchezza presenta rilevanti criticità
Quale alternativa su può proporre dopo aver bocciato l’eredità universale finanziata con l’imposta sui vantaggi ricevuti?
Si potrebbe in primo luogo smetterla di elemosinare il consenso dei cittadini più anziani con misure distorsive come quota 100 e gli anticipi pensionistici e ribilanciare i trattamenti previdenziali su livelli sostenibili nel medio termine.
In uno slogan “contributivo per tutti”.
Un secondo passaggio, sinergico al primo potrebbe consistere nell’adottare una struttura più agile del mercato del lavoro in base alla quale:
1-i lavoratori, specie i più giovani, hanno la possibilità di ridurre o, all’inizio azzerare, i propri versamenti contributivi (con proporzionale riduzione dell’importo atteso dei trattamenti pensionistici), beneficiando di agevolazioni fiscali per i versamenti facoltativi a piani di risparmio di lungo termine
2-la fiscalità e la contrattualistica del lavoro è semplificata e gli oneri, specie per i più giovani e per i redditi più bassi, vengono ridotti
3- esiste un’unica indennità di disoccupazione (per dipendenti e autonomi) regolata in base a un meccanismo assicurativo obbligatorio che raccoglie premi da chi lavora e fornisce sostegno temporaneo a chi ne ha bisogno
In uno slogan, “liberi di lavorare”.
Last but not least un sensibile impegno nel miglioramento e nell’ampliamento della formazione offerta a tutti nei primi anni di vita con l’obiettivo che al termine delle elementari si sia capaci di accedere in autonomia a percorsi gratuiti di autoapprendimento da aggiungere alla struttura esistente della scuola dell’obbligo.
In uno slogan “educare all’apprendimento permanente”.
Per concludere l’obiezione fondamentale all’idea di un eredità universale (che vale anche per il reddito di cittadinanza) è che due torti non fanno una ragione: se è la conoscenza il vero fattore abilitante dell’epoca contemporanea è su quello che vale la pena concentrarsi, non su mancette, ancorché generose, che, come recita il noto aforisma, sono come il pesce donato che nutre un giorno solo, mentre occorrerebbe insegnare a pescare per nutrirsi tutta la vita.
La storia insegna che il modo migliore per consentire a vaste fasce della popolazione di migliorare le proprie condizioni consiste nella promozione della libera iniziativa individuale e della concorrenza, che favoriscono l’innovazione tecnologica e la crescita del benessere complessivo della società.
Twitter @MassimoFamularo
PER APPROFONDIRE:
https://it.wikipedia.org/wiki/Anthony_Barnes_Atkinson
https://www.forumdisuguaglianzediversita.org/
https://www.forumdisuguaglianzediversita.org/proposte-per-la-giustizia-sociale/proposta-n-15/
https://www.forumdisuguaglianzediversita.org/wp-content/uploads/2019/11/Pillola_Proposta15.pdf
https://www.forumdisuguaglianzediversita.org/wp-content/uploads/2019/03/proposta-n-15.pdf
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