categoria: Res Publica
Le 3 caratteristiche chiave della formazione moderna
L’autore di questo post è Alfonso Fuggetta, amministratore delegato e direttore scientifico del Cefriel, dal 1988 centro di eccellenza per l’innovazione, la ricerca e la formazione nel settore dell’Information & Communication Technology –
Uno dei problemi principali del paese è la formazione dei nostri giovani (e non solo). Abbiamo una dispersione scolastica alta, un livello di formazione basso, un insufficiente focalizzazione su materie STEM, investimenti insufficienti, specialmente se si tiene conto che non si tratta di «mantenere in linea» un sistema che funziona, ma di recuperare con urgenza gravi ritardi.
Eppure, il dibattito su questo tema è troppo spesso distorto da alcuni errori e fraintendimenti di fondo che continuano a condizionare negativamente le scelte di imprese, decisori politici, lavoratori, giovani, media, insegnanti. In particolare, vorrei qui segnalarne alcuni che ritengo particolarmente critici.
Formazione di base
Le aziende, e non solo, chiedono persone “ready-made”, “plug & play”, “pronte all’uso”, istruite a fare le operazioni e le attività che sono svolte in azienda. Siamo ormai quasi arrivati a dire–estremizzo a scopo dialettico–che non serve formazione, ma puro addestramento: “spiegate loro come usare ciò che serve in azienda e diplomateli il più presto possibile.”
È una postura drammaticamente sbagliata sia per le aziende che per i nostri giovani che dovranno lavorare per oltre 40 anni in un contesto caratterizzato da veloci e imprevidibili cambiamenti tecnologici, scientifici e anche sociali e culturali.
Dobbiamo investire in formazione di base, in tutto ciò che aiuta il formarsi di una personalità matura, capace di imparare continuamente e di vedere il processo di studio come stato permanente del suo essere professionista. Le imprese non devono pensare solo a ciò che serve loro a breve termine, ma a quali siano le scelte, le competenze, il know-how, il capitale umano che permetterà loro di sopravvivere e crescere nel medio-lungo periodo, come spiega eloquentemente Simon Sinek nel suo più recente saggio, Il gioco infinito: non ci sono “arrivi”, si corre sempre, ogni volta per una nuova tappa, un nuovo sviluppo, una nuova sfida, in un percorso che non termina mai.
A questo dovremmo preparare in nostri giovani e non ad essere banalmente pronti ad usare questo o quello strumento che l’azienda sta al momento utilizzando.
Formazione infinita
Se questo è lo scenario, le aziende devono considerare la formazione non un costo da limitare o da coprire con qualche finanziamento pubblico “se proprio si deve”, ma una linea di investimento strategica per la sua competitività, forse la più importante di tutte.
Ci si forma sempre, ogni giorno, continuamente, per sempre.
Da questo punto di vista, con limiti e imperfezioni, la riforma del 3+2 e tutto ciò che è ad esso collegato definisce un paradigma che va in questa direzione. La modularizzazione dei corsi di studio permette di organizzare e combinare in modo personalizzato e flessibile (sia come contenuti che come posizionamento temporale) i momenti e percorsi di crescita del singolo. Ad essi si aggiungono ulteriori strumenti quali i master e i corsi di perfezionamento, o forme di studio e sperimentazione come ad esempio i corsi online, i project work, le attività di coaching & mentorship.
È un ventaglio di strumenti che permette di affiancare in modo continuo e flessibile momenti di studio e crescita a quella che è l’intera vita professionale del singolo.
Se la formazione classica superiore era pensata per persone che studiavano all’inizio della loro vita per poi dedicarsi al lavoro e alla professione, la formazione moderna deve essere un elemento permanente che accompagna ogni fase della vita di una persona.
Multidisciplinarietà di team e modello “a T”
Oggi fa un gran parlare di multidisciplinarietà intendendo, erroneamente, che una singola persona deve sapere un po’ di tutto (di un certo settore di mercato) per poter affrontare in modo competente le sfide che si troverà ad affrontare nella sua attività professionale. In realtà, la complessità delle materie fa sì che non sia possibile e quindi non abbia senso costruire nella singola persona una figura multidisciplinare, a meno di non pagare un prezzo altissimo in termini di superficialità e inconsistenza professionale.
Il criterio guida deve essere radicalmente diverso. Ciascun individuo deve avere una sua precisa professionalità, forte, chiara, definita. Come diceva Thomas Huxley, “Try to learn something about everything and everything about something”.
La vera multidisciplinarietà si realizza non in figure amorfe e indistinte, ma nell’incontro di eccellenze, nella combinazione di competenze profonde e complementari, nella creazione cioè di team multidisciplinari.
Perché ciò avvenga dobbiamo costruire percorsi educativi che spesso vengono chiamati «a T»:
1. Una gamba verticale profonda e solida che definisca la professionalità della persona (ingegnere elettronico, specialista in cardiochirurgia, agronomo, industrial designer): quel “qualcosa di cui cerchi di sapere tutto”.
ù2. Una barra orizzontale ampia che permetta alla persona di interagire con altre persone portatrici di culture e competenze complementari. Elemento essenziale di questa barra orizzontale sono per esempio i soft skills.
Quindi …
Tutti dobbiamo riflettere su cosa voglia dire oggi formazione: insegnanti, studenti, professionisti, imprese, politici, media. E dobbiamo tutti insieme e in modo coerente combattere semplificazioni, stereotipi, posizioni di comodo, interessi di parte.
Altrimenti continueremo a ripetere errori o a non indirizzare come dovremmo i problemi che abbiamo di fronte a noi.
Twitter @AlfonsoFuggetta