categoria: Sistema solare
Riassumendo, chiudere le industrie per fermare populismi e radicalismi?
Ilva, Mose, cambiamenti climatici, muro di Berlino, progetto Nightingale di Google… immaginare un futuro alla Blade Runner made in Italy non viene difficile. 2040: siete seduti sul vostro divano, l’automazione ha liberato tanto lavoro e l’energia è gratis o quasi… anche voi (le vostre informazioni) siete gratis o quasi. Le industrie sono state delocalizzate/automatizzate. Fuori c’è aria rarefatta e pulita. Ma tutto ciò è reale?
In questa dinamica di smaterializzazione industriale e “del lavoro”, è anche la politica a subire l’onda. Negli ultimi tempi non si parla d’altro che di avanzata populista ma in realtà il partito che sta crescendo più di tutti è quello di coloro che scelgono di non votare. Un trend che viene da lontano: Charles Boix, docente a Princeton, ne parla nel suo ultimo libro (non ancora tradotto in Italia) Democratic capitalism at the crossroads. Dagli anni 70 Il partito dei non votanti è raddoppiato, soprattutto tra i più giovani.
Boix pone in relazione il modello industriale e lo sviluppo della politica attraversando le diverse rivoluzioni industriali. A partire dagli anni 80 nei paesi aderenti all’Ocse è sostanzialmente aumentata la richiesta di lavori high skilled a causa delle innovazioni tecnologiche e dei fenomeni di delocalizzazione. In particolare il tasso di astensione tra i lavoratori a basso reddito è cresciuto da 2 a 3 volte in confronto a quelli con reddito maggiore. In Francia, Germania, Italia, Svezia, Inghilterra e Usa i lavoratori a reddito medio si sono ridotti (su base totale) dal 6 al 10% mentre è cresciuta la base ad alto reddito, tra il 4 e il 6%. Anche quelli a basso reddito sono lievemente aumentati, tra il 2 e il 4 %.
I due grafici (da Boix) supportano quello che stiamo dicendo. Nel primo si può osservare chiaramente la crescita della curva dell’astensionismo in Europa (curva nera) a partire dagli anni ’80. Mentre in quello successivo si coglie la crescita (curva nera) della polarizzazione sia a destra che a sinistra.
Ma è reale?
Sul tema dell’estremizzazione e dei suoi rischi torneremo nel prossimo paragrafo, adesso focalizziamoci su questo punto: la “smaterializzazione” è veramente possibile? Qualcuno storce il naso quando si afferma che anche tutti noi siamo gratis: ma il caso di Google che vende le informazioni di 50 milioni di clienti senza il loro consenso fa riflettere… Eric Schmidt, ex CEO di Google, avrebbe affermato: “There were 5 Exabytes of information created between the dawn of civilization through 2003, but that much information is now created every 2 days”.
Quanta energia consumano tutti questi dati? Se, ad esempio, consideriamo lo streaming video scopriamo che rappresenta la più grande fetta del traffico internet a livello globale. Alcuni studiosi dell’Università di Bristol hanno stimato che in termini di consumo energetico, lo streaming di un video può essere paragonato a 2-3 vecchie lampadine a bulbo.
Vale la pena spendere qualche parola anche per i data center. Spesso collocati in grandi edifici che ospitano computer che archiviano, elaborano e distribuiscono il traffico Internet tra cui i giganti tecnologici come Netflix, Facebook e YouTube. Tutto ciò ha un impatto tutt’altro che immateriale. Un recente articolo della CNN ha stimato che per la Cina il contributo di CO2 (associata all’energia assorbita dai data center) è equivalente alle emissioni di 21 milioni di auto. In Cina, è giusto ricordarlo, pesa molto la forte generazione di energia elettrica da centrali a carbone. Un controsenso se pensiamo al processo di digitalizzazione di un mondo proiettato al futuro ma che in alcuni casi è ancora così legato al passato.
La quarta rivoluzione industriale e la transizione energetica associata stanno già avvenendo. Il mercato europeo per diffusione tecnologica, policy e finanza potrebbe rappresentare un punto di riferimento. Tuttavia vanno considerati alcuni aspetti legati alla filiera. Se l’energia verde rinnovabile è praticamente inesauribile, le risorse di metalli utilizzati per questo scopo sono invece limitate.
Ce ne parla molto chiaramente Guillaume Pitron nel suo libro: la Guerra dei metalli rari. L’estrazione e la raffinazione dei metalli rari (quelli fortemente utilizzati nella quarta rivoluzione industriale) richiedono processi molto inquinanti ed il loro riciclaggio è deludente. Sono necessarie 8,5 tonnellate di roccia per produrre un chilo di vanadio, sedici tonnellate per un chilo di cerio, cinquanta tonnellate per il gallio e duecento tonnellate per il lutezio. Un costo ambientale e umano immenso. Inoltre si pone un problema di carattere geopolitico. Nel libro di Pitron emerge che la Cina è il primo produttore di 28 risorse minerarie con una percentuale superiore al 50%. Deng Xiaoping avrebbe affermato: “Il Medio Oriente ha il petrolio. La Cina le terre rare”.
La leadership cinese, però, ha un prezzo ambientale enorme: primo paese al mondo per emissioni di gas serra, il 10% delle terre coltivabili contaminate da metalli pesanti, l’80% dei pozzi sotterranei non adatti al consumo. Il mondo digitale sfrutta grandi quantità annue di metalli: 320 tonnellate di oro, 7500 di argento, il 22 % di mercurio. La produzione di computer e telefoni cellulari assorbe il 19% del palladio, il 23% di quella del cobalto.
Un magnete di terre rare è cento volte più piccolo di un magnete di ferrite e così i motori elettrici si sono miniaturizzati. Negli anni ottanta il Giappone era tra i leader nella fabbricazione dei magneti, poi hanno iniziato a delocalizzare a Canton in Cina, lavorando sempre meno i magneti meno pregiati. Negli anni 90 USA-Europa e Giappone controllavano il 90% del mercato, ad oggi i ¾ sono cinesi. Pochi mesi fa ha fatto notizia l’acquisizione della storica azienda italiana Magneti Marelli da parte della giapponese Calsonic Kansei dopo che per cento anni è stata dentro Fiat.
Di recente anche il Financial Times ha parlato di questi aspetti di filiera per quanto riguarda la generazione di energia dal vento. Nell’articolo si legge che, sebbene il costo delle turbine eoliche si sia notevolmente ridotto negli ultimi 10 anni, la tradewar tra Cina e Stati Uniti potrebbe praticamente invertire questo trend. Questo sia per quanto riguarda l’acciaio sia per quanto riguarda le terre rare necessarie a produrre le pale eoliche e i loro magneti.
Invito alla moderazione
Dopo aver discusso della materialità della quarta rivoluzione industriale e della transizione energetica ad essa collegata, analizziamo un aspetto importante: la radicalizzazione e i suoi rischi. Nei grafici in alto oltre all’incremento del tasso di astensione, si osserva anche una polarizzazione politica. Ultimamente sentiamo spesso parlare del sentimento antindustriale e anticapitalista. A tal riguardo R. Darwall, consulente strategico e analista, nel suo libro Green Tiranny (ancora non tradotto in Italia) offre una chiave di lettura non mainstream per quanto riguarda le pulsioni estremiste a cui stiamo assistendo sul tema climate change. Proteggere il pianeta e le future generazioni è fuori dubbio. Ma bisogna sempre fare attenzione a non abbandonarsi a pulsioni estremiste e assicurare che questa “difesa” non diventi un affare ideologico. Ecco alcuni casi su cui riflettere: dal Cambiare le abitudini alimentari (dal Financial Times), al Fare meno figli per l’ambiente, (dal NY Times) fino al Cannibalismo “green”, (da Business Insider).
Secondo Darwall le posizioni più estreme sull’approccio al “climate change” hanno radici sia nell’estrema destra e sia nell’estrema sinistra. Inizialmente fu il nazionalsocialismo a creare un focus sul tema del paesaggio e a parlare delle energie rinnovabili. Ne ha parlato di recente anche The Guardian. Ma va considerato anche un percorso in cui il comunismo inizia ad occuparsi di questi temi, entrambi accomunati da una visione anticapitalistica. <<La profonda ostilità dei nazisti verso il capitalismo e la loro identificazione con la natura politica li ha portati a sostenere politiche ecologiche mezzo secolo prima di ogni altro partito politico[…]>>.: <<[…] non dovrebbe sorprendere che furono i primi a sostenere su larga scala l’energia rinnovabile>>.
Se per l’estrema destra il paesaggio e la purezza della natura sono stati il driver, a sinistra bisogna guardare da un’altra angolazione. In particolare Darwall analizza il percorso che ha portato allo sviluppo dei partiti green tedeschi. Tra tutti i paesi dell’Europa occidentale, la Germania ha avuto questa tradizione di essere tra i più ostili al nucleare. La forte ostilità al nucleare della Germania è secondo l’autore <<così forte da venire prima della riduzione delle emissioni di CO2>>. Secondo Darwall occorre andare indietro di qualche decennio, quando negli anni 70 la Germania è ancora divisa in due dal muro. La Germania dell’Est è cresciuta e al governo abbiamo Helmut Schmidt, leader dell’allora partito social democratico SPD; fu il primo a sollevare il problema, come ricordato dal New York Times, dei missili SS-20 installati dal Cremlino a pochi chilometri dai paesi protetti dalla NATO.
Schmidt appoggiò la decisione della NATO del 1979 di schierare missili Pershing-2 e Cruise in Europa se Mosca avesse rifiutato di rimuovere gli SS-20. Il profondo malcontento che ne nacque finì per alimentare, secondo Darwall, la base elettorale green che poi subì un ulteriore allargamento dopo la caduta del muro grazie alle confluenze green ma dal blocco orientale sovietico. In questa fase si assiste all’ascesa dei partiti verdi.
Concludendo
Se pensiamo che chiudere fabbriche e automatizzare processi risolva i problemi di inquinamento stiamo prendendo una grossa cantonata. Decisioni industriali di questo tipo prendono il tempo di una generazione. La polarizzazione politica che vediamo pone un rischio verso decisioni non bilanciate. Come invertiremo i trend di astensionismo e radicalizzazione? Boix sosteneva il capitalismo fordista, avendo avuto un’ampia base di impiego, ha svolto anche un ruolo di formazione sociale, contribuendo al ruolo formativo tradizionale. Chi avrà questo ruolo in futuro dal momento che si va verso un mercato del lavoro più polarizzato? A trent’anni dalla caduta del muro alcune riflessioni aiutano a comprendere taluni percorsi. La storia continua ad insegnare per progettare un futuro più solido, equo e sostenibile.
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