categoria: Accademia dei pugni
Lavoro e produttività tra favole e mondo reale
Gli autori di questo post sono Michele Boldrin, Joseph G. Hoyt Distinguished University Professor of Economics, Washington University di Saint Louis, e Thomas Manfredi, statistico, Dipartimento del Lavoro e delle Politiche sociali dell’Ocse –
Immaginiamo un uomo che soffre di una malattia degenerativa, peraltro curabile. Immaginiamo l’uomo che cade, e si frantuma una dozzina di ossa. Immaginiamo il suo medico che – ignorando sistematicamente la malattia – si concentrasse solo sull’unico osso parzialmente riaggiustato. È evidente che questo medico sarebbe di scarso aiuto al paziente.
Eppure questo sembra, da troppi anni, l’approccio adottato da una parte sostanziale dei commentatori economici italiani e di cui l’articolo di Marco Fortis, sul Sole 24 Ore del 7 agosto, è un perfetto esempio.
Fortis si concentra sulla produttività del lavoro nel settore manifatturiero rilevando come essa, nel triennio 2015-18, sia cresciuta ad un tasso superiore a quello di alcuni partner europei.
Titolo accattivante a parte l’articolo usa questo dato per concludere che (i) le analisi che trovano nella particolarmente alta frequenza di micro e piccole imprese nell’economia italiana una delle cause della pluridecennale stagnazione sono “rozze” e “da rivedere”; (ii) tale dato si deve a provvedimenti presi dal governo Renzi.
In quale fantastico universo provvedimenti legislativi divenuti effettivi solo tra il 2016 ed il 2018 possano aver influenzato la produttività a partire dal 2015 non sappiamo capire e preferiamo non discutere. Ma che quel singolo dato implichi la prima affermazione è banalmente falso.
Consideriamo i quattro grafici qui sotto riprodotti. I due relativi al settore manifatturiero provano che tre (infatti, otto) anni relativamente buoni non eliminano ritardi pluridecennali. Da dove viene, dunque, il “grande balzo in avanti”, come lo chiama Fortis? Da un ancor maggiore balzo indietro. Nel settore manifatturiero italiano il decennio 2007-17 ha visto la sparizione di quasi 100mila imprese con una perdita complessiva di circa 700mila posti di lavoro. L’indice OCSE della produzione manifatturiera italiana ha oscillato attorno a 107 durante gli ultimi tre anni mentre viaggiava attorno a 130 nel 2007-08. Crediamo possa bastare: quando si eliminano molte imprese inefficienti l’efficienza media di quelle che rimangono aumenta. Simplex sigillum veri.
I due grafici relativi al settore dei servizi (il quale genera circa i ¾ del PIL) descrivono l’elefante seduto in salotto. Un elefante che pochi vedono ma che è fatto, guarda caso, dal settore pubblico e da un numero sproporzionato di micro e piccole imprese! È un problema annoso, che troppi eludono focalizzandosi sul settore manifatturiero. Ma, per le ragioni appena evidenziate, dopo il decennio 2007-17 il settore manifatturiero è l’ultimo dei problemi! La verità è che nel settore dei servizi, regolati o non commercializzabili, l’asfissia prodotta da regolamenti borbonici e l’atavica assenza di incentivi che permettano a chi produce di prosperare e a chi non produce di gentilmente uscire di scena, è il vero cancro da debellare. Su questo va focalizzata l’attenzione dell’opinione pubblica perché è lì dove il processo degenerativo si è radicato.
Twittere @micheleboldrin @ThManfredi