categoria: Vicolo corto
Smartphone, app, navigatori: ci siamo rassegnati a non usare il cervello?
L’autore di questo post è Silvano Joly, country manager di Centric Software Italia, che dal 1995 lavora in aziende high tech seguendo il mercato italiano e del Mediterraneo –
Nei giorni di fine luglio abbiamo rivissuto la straordinaria avventura che ha portato l’uomo sulla Luna, 50 anni fa. In particolare, quella di Neil Armstrong e della frase che lo ha reso famoso, cambiando il modo di vedere il nostro satellite, il nostro pianeta e tutto l’universo: “Un piccolo passo per me, una grande passo per l’umanità”. Ma un’altra cosa da ricordare è che al Mare della Tranquillità, il modulo lunare Eagle ce lo ha portato lui da solo, atterrando manualmente grazie a tutta l’esperienza che si era fatto pilotando aerei da caccia in Corea e poi quelli più innovativi e complicati dell’epoca, come l’X15, un incredibile aereo razzo ad ala trapezoidale che ha avuto solo 12 piloti (3 poi diventati astronauti).
Poco prima della fatidica discesa dalla scaletta, il super pilota si trovò in una situazione da incubo: checklist e procedura erano corrette, ma per un difetto di programmazione del sistema di pilotaggio e del radar, il “pilota automatico” li stava portando ad allunare su un sito molto più roccioso di quanto avessero indicato i rilievi. Sarebbero morti. Armstrong ebbe pochi secondi per deciderlo ma premette il tasto che non avrebbe dovuto mai premere, e prese dunque il controllo semi-manuale del modulo lunare. Sbirciando all’esterno dai mini-oblò, ebbe la tremenda conferma che il punto di atterraggio proposto dal computer si trovava in una zona disseminata di rocce e sul ciglio un cratere di oltre 90 metri di diametro. Così, con l’aiuto non del computer ma di un altro umano – Buzz Aldrin, che gli “contava” metri dal suolo e dati di navigazione – a soli 33 metri sopra la superficie, con il propellente che scarseggiava, Armstrong trovò un settore di terra, pardon, di Luna libero e mise giù il modulo.
Tre secondi più tardi, Eagle era allunato in modo brusco ma erano vivi. E Armstrong disse un’altra epica frase “Eagle is landed”. E a Houston ricominciarono a respirare. L’uomo aveva deciso meglio del computer.
E noi atterriamo dove vogliamo? Navigatori, Google Maps, Waze, piattaforme social ci portano dove vogliamo noi o dove desiderano “averci” gli inserzionisti? Andiamo a mangiare dove ci spinge il sollazzo gastrico o ci facciamo portare a spasso da “advisor”, che sappiamo essere indipendenti ma influenzabili?
E non c’è solo la logica commerciale, i GPS talvolta sbagliano e la cronaca racconta fatti tragici come quello della turista diretta ad un campeggio nella Death Valley che aveva seguito le indicazioni – sbagliate – del navigatore satellitare. Un ranger la trovò ancora viva tra Nevada e California, ma suo figlio, un bambino, morì. Da allora la Highway Patrol ha coniato l’espressione “Death by Gps”. E anche disavventure ridicole come quella dei turisti svedesi diretti a Capri che, sbagliando a digitare o seguendo un “suggerimento”, sì ritrovarono a Carpi in provincia di Modena senza mare né faraglioni ma con un borgo medievale. Anche una mia collega invece di venire al FabLab di via Stefanardo da Vimercate andò alla parrocchia di Santo Stefano a Vimercate. Per non parlare dei TIR che finiscono nei vicoli o per i campi.
Succede o forse lo facciamo succedere noi visto che non proviamo nemmeno più ad andare in un posto “a naso” o studiando il percorso sullo stradario prima di partire, accettando la prospettiva di perdersi ma perdendo anche quella di trovare altro. Pigri o asserviti?
Lo stesso per il cibo: ricordate di aver cenato in un ristorante segnalato in hotel, dal barista, da un passante, da un collega? Fin verso il 2000 abbiamo avuto in auto l’Atlante stradale e la Guida del Gambero Rosso: sfogliandoli capivamo il percorso per andare a trovare un cliente, a tappe: vai fino a Brescia, esci a BS Sud poi chiedi… ci si perdeva, si rideva. Ma si trovavano anche tante cose, altre aziende, ristoranti, negozi, panorami. Insomma, si viveva anche un po’ per caso… usando il cervello invece del computer, che ai quei tempi non era per niente trasportabile. Lo stesso per mangiare, ne cercavi uno sulla guida e poi si andava, in quello o magari in un altro trovato per caso che ci “ispirava”.
Ma allora starà mica succedendo che – come abbiamo disimparato a contare usando la calcolatrice – non sappiamo più decidere senza consultare un “device”, ovvero un computer?
Ma se vogliamo semplificare, tanto cervello che computer hanno scopo funzionale e specifiche identici:
1. ricevere segnali dall’esterno e/o dall’interno,
2. memorizzarli e/o elaborarli,
3. generare una risposta.
Ma dire che il computer è come il cervello sarebbe come dire che aeroplani e uccelli sono uguali perché volano. Il cervello – oltre al dettaglio della psiche… – ha diverse caratteristiche uniche:
Potenza e facilità d’uso. Cento miliardi di neuroni per cervello. Un computer, nessuna tastiera, nessuna interfaccia, nessuna batteria, davvero portatile visto che l’abbiamo in testa.
Sensoristica e gestione informazioni, con cinque sensi il cervello elabora, integra e invia segnali, produce decisioni razionali, risposte comportamentali, emozionali a velocità impensabili con sistema neuronale causando la progressiva paralisi.
Ricordo e memoria. Se un computer fissa milioni di dati in un secondo, il cervello usa anche il ricordo per stimolare associazioni collegate. L’episodio della Madeleine di Proust ne è un esempio.
Sistema di elaborazione. Il computer va a corrente e ha bisogno di segnali elettrici, il cervello usa segnali elettrici e biochimica. Nel cervello di uomo e animali, i circuiti elettrici del cervello sono in un bagno di sostanze chimiche che ne modulano il funzionamento. E la batteria non si scarica mai.
Ma allora perché usiamo sempre meno il cervello per decidere? È l’era digitale, bellezza! Gli esperti di Cornerstone On Demand hanno identificato 5 cambiamenti che si sono verificati nel nostro cervello, che è diventato:
Ingordo di informazioni. Vista l’immediatezza dei social network e di Internet, il cervello vuole sapere tutto subito. Si impara molto in poco tempo. L’apprendimento di lungo termine è la sfida del futuro.
Meno ritentivo. Sapere a memoria un numero di telefono è out. Con la “memoria esterna” di internet abbiamo perso la capacità di memorizzare/ricordare.
Più flessibile. Il cervello si è allenato a essere flessibile, aperto e agile per adattarsi al cambiamento, a nuove discipline e nuovi prodotti. Se pensiamo a come eravamo 10 anni fa…
Meno concentrato. Always On Line e multitasking hanno ridotto la capacità di concentrarci. Possiamo lavorare sempre e ovunque ma non c’è modo di disconnettersi. Il benessere emotivo dei dipendenti è diventato una necessità per le aziende.
Non sono difetti, ma mutazioni che si compensano. Come siamo diventati più sedentari ed abbiamo scoperto palestra e diete ecco che dobbiamo anche dedicarci al nostro “muscolo” cerebrale. Ma senza diventare dei negazionisti o retrogradi anti-tecnologia.
Un buon modo che viene in mente al sottoscritto è scegliere di staccare la spina ogni tanto, senza scelte drastiche e brutali. Pensiamo al fenomeno “Slow Food”, è nato come risposta al precedente “Fast Food” che aveva fatto perdere di vista – anzi di gusto – il piacere di mangiare bene. Per me è uguale: forse “offline is the new luxury” ma è già un benessere ed un regalo a noi ed al nostro cervello concedersi un po’ di offline. Come ci si concede un bicchiere di vino, una cena di qualità, un toscano, un abito su misura.
Allo stesso modo prendendoci la libertà ogni tanto di contraddire il computer con il nostro cervello, diciamo così “discutendoci” o mettendo almeno in dubbio quello che ci sta dicendo.
Questo approccio “dialettico” ha forse persino salvato il mondo. Nel 1983, al culmine della Guerra Fredda, Stanislav Petrov era un ufficiale sovietico addetto al sistema satellitare a controllo dei missili statunitensi. In caso di attacco, la strategia URSS era contrattaccare immediatamente su vasta scala. Quando il sistema diede l’allarme segnalando un (1) missile lanciato da una base del Montana, Petrov, che era prima di tutto un militare, ritenne inverosimile un attacco con un missile solo. Decise di contraddire il computer e non scatenò il contrattacco. L’allarme suonò 4 volte e 4 volte Petrov lo ignorò. Venne infatti poi accertato che si trattava di un falso allarme dovuto ad una congiunzione astronomica equinoziale tra la Terra, il Sole e l’orbita del sistema satellitare…
Ma allora se Armstrong avesse dato retta al computer, l’uomo non sarebbe andato sulla Luna! Se Petrov non avesse contradetto il sistema di difesa, l’uomo sarebbe scomparso dalla terra che sarebbe diventata un pianeta rottame postatomico!
Non è forse il caso che anche noi ricominciamo ad usare quel gran bel processore installato nel PC che abbiamo in testa? Non il solito mantra estivo “unconnect”, continuiamo ad usare tutti i device ma usiamo pure il cervello per decidere, gli occhi per guardare, la bocca per parlare, le orecchie per sentire!
Al prossimo viaggio proviamo prendiamo una strada diversa da quella che dice Google Maps… chiediamo a un amico di Modena il nome di un buon ristorante nella sua città anziché scegliere tra “Cucina Italiana, Etnico, Scelto dalle coppie…”… chiamiamo un hotel per sapere se hanno la Nutella a colazione anziché sceglierlo perché “Eccezionalmente Pulito o Con colazione eccezionale”, andiamo a spasso con la testa alta e guardiamo il mondo con gli occhi, non da uno schermo, usiamo il nostro incredibile PC portatile, il cervello, che ci dirà dove sia meglio andare, che fare, cosa mangiare per noi e non in base alle scelte di milioni di altri, che non siamo noi.
Buona estate a tutti noi ed al nostro cervello!
Twitter @sjoly_ita