categoria: Draghi e gnomi
La finanza con i safe asset e Von der Leyen faranno davvero l’Europa?
Il cambiamento radicale della leadership dell’Unione europea si compirà a novembre, con l’insediamento effettivo di von der Leyen e Lagarde nelle rispettive stanze di comando. L’auspicio è che i nuovi vertici dell’Unione rilancino il progetto di integrazione europeo, sulle tante dimensioni necessarie. Tra le voci in agenda, c’è anche quella di iniziare una conversazione seria su un potenziale safe asset europeo, o titolo europeo privo di rischio.
Un safe asset europeo è un titolo (denominato in Euro) che preservi valore anche e soprattutto durante shock economici negativi. La sua introduzione, idealmente, servirebbe un triplice scopo:
1) come strumento di garanzia nel mercato interbancario e per rispettare i limiti imposti dalla regolamentazione sul controllo del rischio;
2) diversificare i portafogli degli istituti finanziari nazionali in modo che non siano eccessivamente esposti al rischio sovrano – come accade invece oggi;
3) impedire che gli eventi di panico alimentino le asimmetrie tra paesi membri (per esempio durante una crisi, gli investitori si rifugiano nei titoli di stato tedeschi lasciando che lo spread in Italia esploda con ulteriori conseguenze negative per il nostro paese).
D’altronde, tante iniziative di integrazione europea si arenano di fronte all’annosa dicotomia tra paesi del nord e stati mediterranei. I primi, come è noto, si oppongono alla condivisione del rischio sovrano perché temono si tramuti in un trasferimento netto di risorse da nord a sud. I partner mediterranei, dal loro canto, richiedono politiche più condivise per la gestione del rischio economico, in quanto più esposti alle turbolenze di una potenziale crisi. Anche la questione di un safe asset europeo, apparentemente, non è immune al binomio “azzardo morale – mancanza di solidarietà”.
Una soluzione pronta?
Sostenuta a più riprese dalla Commissione europea (nel 2017 e nel 2018), la creazione dei Sovereign bond-backed securities (Sbbs) sembrerebbe una facile soluzione a portata di mano. Si tratterebbe di titoli garantiti da obbligazioni statali emessi da un istituto il cui rendimento corrisponderebbe ai rendimenti aggregati dei titoli sovrani dell’area Euro, ma con differenti priorità di pagamento e quindi profili di rischio. I debiti pubblici non aumenterebbero, in quanto sarebbe un’istituzione terza a emettere questi prodotti usando come garanzia i titoli sovrani degli stati membri, acquistati in precedenza. Sarebbe sempre questa istituzione, seguendo le eventuali regole e limiti imposti dalle autorità europee, a differenziare questi titoli in base al loro profilo di rischio. Secondo i sostenitori, questi derivati finanziari potrebbero in pochi anni costituire un safe asset europeo che sostenga i nostri sistemi bancari, diminuendo la loro esposizione al rischio e aumentando la loro resilienza. Ciò al modico prezzo di un adeguamento delle regole bancarie e di un modesto investimento iniziale, senza tensioni tra nord e sud. Ma procediamo con ordine, seguendo lo studio operato a riguardo dalla task force del Comitato europeo per il rischio sistemico (Cers).
Alla base degli Sbbs vi è un istituto finanziario – pubblico o privato – che si occupi dell’acquisto di titoli sovrani dell’Eurozona e ne crei un portafoglio, in cui ogni paese è rappresentato in relazione al suo contributo percentuale al Pil dell’area Euro. A questo punto, il portafoglio viene diviso in più parti dove le proporzioni della composizione del portafoglio rimangono invariate ma cambia la priorità di pagamento; secondo lo studio in esame, il 70% del portafoglio costituirebbe la tranche senior (priorità alta), il 20% la mezzanina e il 10% la junior (priorità bassa).
L’istituto procederebbe quindi con l’emissione nel mercato dei titoli garantiti da obbligazioni statali, che si differenzierebbero per la tipologia di titoli sottostanti. In caso di default di un paese, gli investitori nell’Sbbs senior verrebbero pagati con più alta priorità, lasciando i possessori del mezzanino e soprattutto dello junior esposti a subire eventuali perdite. Il senior sarebbe un titolo pressoché privo di rischio, rappresentativo dell’intera economia dell’Eurozona. Gli investitori potrebbero così investire direttamente nell’economia dell’Eurozona, e non nei singoli paesi. L’introduzione degli Sbbs sembrerebbe a costo zero, ma in realtà necessita di un modesto investimento iniziale per finanziare l’ente responsabile della loro emissione.
Con un’adeguata riforma della regolazione bancaria e un’offerta sufficiente (e regolata) di Sbbs, i sistemi bancari dell’Eurozona potrebbero slegarsi dal rischio dei rispettivi debiti sovrani e avere bilanci più sicuri e resilienti grazie al nuovo titolo europeo privo di rischio, quello senior. Le banche sarebbero incentivate, sotto le nuove regole, a sostituire nei loro bilanci i titoli dei singoli stati con i senior Sbbs. In condizioni di stress, l’economia reale soffrirebbe di meno. Sembrerebbe così che i tre criteri per il safe asset ideale – di cui abbiamo scritto in capo all’articolo – siano soddisfatti:
1) le banche europee, avendo riposto nei propri bilanci quantità adeguate di titoli senior, potrebbero usarli sia come garanzie nel mercato interbancario sia come titolo sicuro per essere conformi alle regole prudenziali;
2) gli Sbbs permetterebbero agli istituti finanziari di smarcarsi dall’eccessiva esposizione ai rispettivi rischi sovrani grazie al portafoglio differenziato alla loro base;
3) in condizioni di crisi, gli investitori potrebbero rifugiarsi nei senior, mitigando gli inevitabili aumenti di spread.
Tutto ciò senza incorrere nei problemi di azzardo morale e solidarietà tra paesi membri. L’istituto responsabile per l’emissione comprerebbe i titoli a prezzo di mercato e sarebbe poi l’unico responsabile per la retribuzione degli investitori in Sbbs. Le finanze pubbliche degli stati membri non sarebbero alterate in nessun passaggio.
Una questione più complessa
Eppure, questa proposta è sul tavolo dal 2011. Perché i titoli garantiti da obbligazioni statali non sono stati ancora adottati? Un’analisi di Bruegel esamina le diverse criticità del progetto. Vi è innanzitutto un problema sulla quantità che gli Sbbs dovrebbero raggiungere per essere efficaci: il portafoglio diversificato rappresenta un limite. Prendendo ad esempio il caso di Germania e Italia, la prima dovrebbe essere maggiormente rappresentata nel portafoglio, avendo un Pil maggiore, ma il debito pubblico tedesco è inferiore al nostro: i Bund sono troppo pochi (o i Bot troppi) e impediscono al volume degli Sbbs di crescere adeguatamente. L’architettura di questi potenziali safe asset è anche più vulnerabile di fronte a una crisi del debito sovrano. Se uno dei paesi dell’Eurozona dovesse perdere l’accesso al mercato, i suoi titoli non verrebbero più inclusi nel portafoglio. Ciò creerebbe diverse classi di titoli, ognuna basata su un portafoglio diverso: un pessimo esito per un prodotto già troppo complesso. Infatti si teme che, in ogni caso, di fronte a uno shock negativo gli investitori sceglierebbero come rifugio titoli più semplici, tornando sempre al Bund. È infine lecito chiedersi se l’introduzione di questo strumento possa cambiare gli incentivi per gli stati nell’ipotesi di bancarotta, ora che i rispettivi sistemi bancari soffrirebbero di meno un evento simile.
Gli Sbbs, per quanto efficaci, non sono quindi una soluzione priva di limiti e difetti. Che fare? La necessità di risolvere i problemi alla base rimane: l’Europa deve rendere più sicuri e resilienti i vari sistemi bancari, slegandoli dal rischio sovrano specifico. Non possiamo farci trovare impreparati alla prossima recessione. Ci sono molte proposte alternative per creare un titolo privo di rischio, ma tutte comportano una certa condivisione di rischio e trasferimento di risorse, politicamente impraticabili nel breve termine. Un altro asset potenzialmente convincente è l’E-bond (qui un confronto con gli Sbbs e altri prodotti). Si tratta di un prodotto finanziario più semplice, non troppo diverso dal derivato analizzato sopra, che elimina il passaggio della divisione in più tranche. Berlino e Parigi, però, si ritroverebbero a trasferire risorse (sebbene di un ammontare molto modesto) per la sua adozione: così, anche questa proposta è ferma da anni.
In realtà, quel che presenta ancora più criticità sarebbe perseverare nell’attendismo degli anni passati. Le cancellerie europee sembrano ignorare questo passaggio. È pur vero che ad oggi il dibattito sui safe asset è rimasto principalmente confinato in accademia, arrivato sui tavoli della Commissione dove però si è arenato. Attendere la prossima recessione per procedere con soluzioni emergenziali non è una via raccomandabile. È ora che una conversazione seria, nel Parlamento europeo e in quelli nazionali e nel dibattito pubblico, emerga su questi temi. Non si arriverà subito a cambiamenti radicali come la mutualizzazione del debito, ma si potrebbe procedere attraverso reciproche e incrementali concessioni – in termini di maggiore disciplina fiscale per i paesi mediterranei e più solidarietà dai nordici. In tempi non sospetti (nel lontano 2011) von der Leyen aveva dichiarato che il suo obiettivo era arrivare “agli Stati Uniti d’Europa”. È ora di passare dalle parole ai fatti.
Twitter @Tortugaecon