categoria: Draghi e gnomi
In questa Europa abbiamo ancora più in comune di quanto non ci divida?
L’autrice del post, Costanza de Toma, si occupa di cooperazione allo sviluppo, relazioni internazionali e Unione Europea. Milanese di nascita, ha vissuto gli ultimi 27 anni all’estero, tra il Regno Unito e il Belgio. Negli ultimi due anni ha coordinato e condotto la lobby verso l’Unione europea della campagna per la tutela dei diritti dei cittadini dell’Ue che vivono nel Regno Unito. Questo l’ha portata a seguire da vicino i negoziati sulla Brexit. Costanza ha deciso di tornare in Italia, a Torino, con la famiglia nell’agosto del 2018 dove continua a occuparsi di Brexit e relazioni internazionali e collabora con NuoveRadici.World –
Il 16 giugno del 2016 moriva la deputata laburista britannica Jo Cox, brutalmente assassinata per strada. Il suo assassino, un simpatizzante del gruppo di estrema destra Britain first, al grido di “questo è per l’Inghilterra” l’ha giustiziata con tre colpi di pistola ed ha infierito sul suo corpo sferrando numerose pugnalate. Jo aveva 41 anni e aveva due bambini di tre e due anni. Era stata eletta al Parlamento da poco più di un anno.
Avevo conosciuto Jo nel 1999 quando lavoravamo entrambe al Parlamento europeo come assistenti. Era una ragazza estremamente capace e intelligente che riusciva a mantenere la calma anche sotto pressione. Ricordo ancora quando nel 2001 mi disse che sarebbe andata a lavorare per la ONG britannica Oxfam, chiedendomi consiglio visto che conoscevo bene il mondo delle ONG. Nel corso degli anni, anche se ci eravamo perse di vista, avevo seguito la sua carriera da lontano ammirando la sua tenacia e la sua energia.
Jo Cox aveva dedicato tutta la vita alla difesa dei più deboli prima a Bruxelles e poi lavorando per Oxfam dove si occupava di questioni umanitarie. Nella sua breve carriera parlamentare aveva lasciato il segno fin dal suo primo discorso – il suo maiden speech – pronunciando l’oramai tristemente famosa frase: “We are far more united and have more in common than that which divides us” (abbiamo molto più in comune di quanto non ci divida) per celebrare la diversità etnica nella sua circoscrizione di Batley e Spen, nello Yorkshire. Al Parlamento si era battuta, cercando un’intesa con parlamentari di tutte le forze politiche, per spingere il governo britannico a trovare una soluzione diplomatica alla guerra in Siria e per sostenere i richiedenti asilo. Era a favore delle sanzioni verso Israele per trovare un accordo sulla Palestina e aveva denunciato l’islamofobia dilagante nel Regno Unito. Non era una simpatizzante di Jeremy Corbyn ed era fortemente europeista.
Ricordo lo shock quando ho sentito che Jo era stata aggredita. Le ore di attesa sperando che sopravvivesse. Poi il dolore struggente quando ho saputo che non ce l’aveva fatta. Ricordo le lacrime quella sera, mettendo a dormire la mia bimba, che aveva la stessa età della sua. Jo era tutti noi. Si era battuta a viso scoperto per tutto quello in cui credo fortemente anche io. A tre anni dalla sua scomparsa, in una Gran Bretagna attanagliata dalla Brexit, dove regna il caos più completo, manca la voce di Jo. E mi domando se abbiamo imparato qualcosa dalla sua morte, se davvero abbiamo più in comune di quanto ci divida, non solo in Gran Bretagna ma anche in Italia e in Europa.
Invece, a tre anni dall’assassinio di Jo, purtroppo la misoginia contro le donne che osano esprimere le proprie opinioni e che difendono i loro diritti è in aumento, amplificata dai social media. Le donne sono spesso oggetto di aggressioni fisiche e verbali di natura politica, sessuale, xenofoba o razzista. Alcuni mesi fa la polizia britannica ha sventato un piano per assassinare un’altra deputata britannica laburista, Rosie Cooper. Di nuovo, l’ideatore del piano era un estremista di destra, un neo-nazista sospettato anche di pedofilia. Voleva accoltellare Rosie perché è ebrea, e avrebbe voluto uccidere anche l’ufficiale di polizia – donna – che stava indagando su di lui. Luciana Berger, un’altra giovane deputata britannica, ebrea, ha lasciato il partito laburista nel marzo di quest’anno denunciando il bullismo e le aggressioni che aveva subito negli ultimi tempi. Anna Soubry, ex ministro e gran dama del partito conservatore, è stata oggetto di minacce di morte, insulti e aggressioni – sia sui social che di persona – a causa della sua battaglia politica contro la Brexit.
Anche la mia amica tedesca Tanja Bueltmann, docente di storia all’università del Northumbria, divenuta una delle voci più importanti nel movimento del ‘Remain’ per la difesa dei diritti dei cittadini europei nel Regno Unito, riceve quotidianamente minacce pesanti a sfondo sessuale e xenofobo. Alcuni dei suoi cyber-aggressori hanno perfino descritto in dettaglio un suo ipotetico stupro. E nel mio piccolo, anch’io sono stata vittima di un linciaggio digitale da parte dei sostenitori della Brexit quando lo scorso luglio Tanja ha pubblicato un post su Twitter con la mia foto dicendo che le spiaceva che lasciassi il Regno Unito. Anche in Italia, gli insulti a sfondo sessuale e la violenza – fisica o verbale – contro le donne in politica non sono una novità… Cécile Kyenge e Laura Boldrini ne sanno qualcosa.
Ma questo purtroppo è un trend globale. Il progetto internazionale Armed Conflict Location and Event Data Project (Acled) ha lanciato un nuovo database per monitorare tutti i casi di violenza politica contro le donne, dagli stupri durante i conflitti armati fino alla repressione di manifestazioni politiche organizzate da donne. I dati, per ora solo raccolti in Africa, Asia, medio-oriente, Europa dell’est e i Balcani, mostrano un quadro molto preoccupante. Nei primi mesi di quest’anno, i casi di violenza contro le donne sono raddoppiati (261) rispetto allo stesso periodo nel 2018 (125). Le aggressioni sono in prevalenza di natura sessuale, ma le donne sono anche vittime di rapimenti, torture e linciaggi. E l’Africa è il continente dove le donne sono più a rischio.
Dati alla mano, la situazione non è rassicurante. Al contempo, in seguito alle recenti elezioni europee la percentuale di donne elette al Parlamento europeo è cresciuta dal 36 al 39% – la più alta mai registrata. Jo Cox ne sarebbe stata contenta e lo avrebbe interpretato come un segno positivo in quest’Europa tormentata e sofferente. Questo è lo spirito che Jo ci ha lasciato in eredità, e quello che la Jo Cox Foundation continua a fare con coraggio: rispondere con la speranza all’odio, focalizzarsi su ciò che c’è di positivo e cercare di migliorarlo. Se ciò che ci unisce non è evidente, dobbiamo cercare di trovare dei punti di incontro per educare e dialogare con chi non la pensa come noi. Solo così si può sconfiggere l’ignoranza, l’odio e la violenza.
Twitter @cos_detoma