categoria: Vicolo corto
Competizione e selezione (a scuola): chi le ha viste, recentemente?
L’autore di questo post è Corrado Griffa, manager bancario ed industriale, consulente aziendale in Italia e all’estero –
La lingua italiana ha virtualmente cancellato due parole essenziali, ma ormai considerate desuete: competizione e selezione. La loro scomparsa, maturata rapidamente nei decenni appena trascorsi per giungere infine al definitivo traguardo odierno, è facilmente osservabile nella vita di tutti i giorni della nostra società, così nel settore privato (quello delle imprese e delle professioni) come nel settore pubblico, ed anche, quindi, nel settore che più dovrebbe, invece, stimolare sostenere promuovere competizione e selezione: il mondo della scuola.
Siamo seri: competizione e selezione sono le linee-guida essenziali per sopravvivere nel mondo animale, e lo sono da sempre (creazionisti ed evoluzionisti dovrebbero concordare almeno su questo punto); è attraverso la competizione quotidiana che gli esseri viventi si selezionano, lasciando ai più “adatti” il tramandare dei propri geni alle generazioni seguenti. L’homo sapiens non ha fatto eccezione, salvo l’homo (in)sapiens italicus che ha voluto trasgredire a questa regola vitale, ed i risultati sono evidenti. La nostra società ha abdicato, in misura e tempi peraltro diversi, all’andazzo corrivo e corrosivo della mediocrità elevata a sistema valoriale; punte di eccellenza restano, ma sono rare e sempre più “preziose: chiamiamoli i “valorosi resistenti” della scuola, della sanità, della amministrazione, una valorosa stirpe che si sta esaurendo ed a cui va dato imperituro merito di “resistere”.
Limitandosi, in questo articolo, al settore dell’istruzione primaria e secondaria, possiamo osservare come la scuola italiana abbia abdicato da decenni alla sua funzione di “fucina” delle generazioni future; ha appiattito progressivamente i percorsi di studio, via via riducendo, sino a considerarli peccato, gli stimoli alla competizione fra gli studenti, a quella tensione verso l’eccellenza che chi studia dovrebbe sempre avere come traguardo immediato e mediato; immediato perché la ricerca di un “bel voto” che sancisca la padronanza della materia dovrebbe essere elemento sufficiente per impegnarsi quotidianamente sui libri; mediato perché è attraverso la conoscenza individuale – e laddove condivisa da tanti bravi allievi, collettiva – che il mondo progredisce in modo virtuoso.
Operando “al ribasso”, considerando obsoleta e controproducente la competizione, è venuta meno la selezione dei migliori, dei più meritevoli, dei più “adatti”; il risultato è che il livello degli “output” (i diplomati ed i laureati) è sceso prima sensibilmente e poi precipitosamente nei decenni; ma non è così in tutti i paesi: basti osservare come gli studenti asiatici (giapponesi e cinesi in primis) siano impegnati sin dai primi anni scolastici in una competizione “forsennata” per accedere ai posti disponibili nelle scuole ed università più prestigiose; ed i risultati si vedono nella diversa qualità dei processi produttivi, nello sviluppo delle rispettive tecnologie, nel numero di brevetti sfornati annualmente nelle rispettive economie, nel rapporto di efficienza e produttività dei rispettivi sistemi.
A nostro avviso, tutto questo è un “disastro” nazionale che ha portato il paese al declino, temiamo inarrestabile ed irreversibile.
Ma il “disastro” ha sempre padri e madri benevoli, consenzienti, più o meno consapevoli.
Perché se gli studenti che escono dalle nostre scuole ed università sono, in media ed in generale, meno preparati ed adatti ad affrontare le sfide del mondo odierno, ebbene, dobbiamo sottolineare e dire con chiarezza che il corpo docente nei decenni ha perso anch’esso la concezione e l’adesione a competizione e selezione; d’altronde, i docenti di oggi sono gli studenti di ieri, e se ieri l’”output” era modesto, molti di quegli studenti e laureati modesti oggi siedono alle cattedre e non fanno che perpetuare il “mantra” a cui sono stati abituati: niente competizione, nessuna selezione fra il corpo docente; e non venite a dirci, per cortesia, che i concorsi sono una cosa seria.
Mater semper certa est, pater numquam… ma nel nostro caso, il “pater” non è forse il sindacalismo che a partire da inizio anni Settanta ha contagiato la scuola (ma non solo la scuola, beninteso) favorendo prima, ed imponendo poi, l’egualitarismo diffuso, il tutto uguale per tutti, l’emarginazione delle punte di eccellenza quasi fossero un evidente affronto alla uguaglianza sancita per contratto ed arrendevole benedizione dei ministri della pubblica (d)istruzione e dei governi pro-tempore?
Tutto secondo il motto inglese “to kick the can down the road” (tanto ci penserà il prossimo che arriva…).
Detta tutta: i docenti, quelli che allora erano docenti, hanno barattato un piatto di lenticchie (il posto certo, guai a pensare ad una qualsiasi forma di selezione, perché cacciare il docente incapace non si può, non si può proprio) con la primogenitura (l’essere insegnanti “col cappello”, ammirati e riveriti per la loro conoscenza).
I nodi vengono sempre al pettine, e quando lo fanno sono dolori.
Twitter @CorradoGriffa