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Così il buon cibo italiano può fare volare la meccanica made in Italy
Il mondo ci invidia molte cose. Una fra tutte (forse la principale) è il made in Italy: non un’arida definizione commerciale che localizza il sito di produzione. Made in Italy, per qualunque straniero, sono le vacanze in costiera amalfitana, oppure la gita nelle cantine del vino del Chiantishire (termine che gli inglesi usano in mancanza di una definizione più corretta). Ti parla, o turista straniero, dello shopping sfrenato che hai fatto in Montenapoleone o del panettone (sweetbread in inglese, lasciamo perdere la traduzione, sarebbe un insulto) che hai acquistato sotto Natale in qualunque città italiana. E non solo. Made in Italy ti parla, o straniero che passi di qui, di un intero modo di vivere e gustare il tempo. Da un minuto che diventa un’eternità se bevi un caffè italiano (fatto con macchine e processi italiani), a un’intera giornata sulla costiera amalfitana che puoi riassumere semplicemente in un bicchiere di limoncello con bucce di limoni bio coltivati sulle soleggiate asperità della costiera.
Si può esportare il made in Italy? Sì, certo, e già lo si fa. Si può trovare un modo più intelligente di usare il made in Italy come prodotto finale (cibo, moda, design etc..) per trainare l’export di tutto quel complesso (e spesso ignorato) mondo della meccanica (di fatto parte del successo del made in Italy)? Sì, si può e si deve.
Partiamo da alcuni concetti semplici per capire cosa sta dietro al miracolo italiano del cibo di qualità. L’Italia non produce caffè. Tuttavia siamo conosciuti nel mondo per il nostro caffè. L’Italia ha, genericamente, scarsità di materie prime: le quote di produzione nazionali sono limitate da fattori oggettivi come il territorio agricolo o adatto per pastorizia. Quello che era un dato oggettivo, ed un limite, è divenuto lo stimolo per l’ingegno italiano di evolvere, per compensare i suoi handicap.
Negli ultimi anni si parla d’industria 4.0: un settore in continua crescita. Tuttavia si tende spesso a non cogliere in pieno cosa vi sia “all’interno” di questa industria. Consideriamo la filiera alimentare e l’industria 4.0. Il passaggio dalla materia prima (importata o prodotta localmente), poniamo il latte, al prodotto finito, poniamo il formaggio, è all’apparenza semplice. Tuttavia anche il semplice latte microfiltrato richiede una filiera e una serie di soluzioni meccaniche e industriali complesse. Durante i mesi che precedevano l’Expo 2015 ebbi la possibilità di tenere alcune conferenze, con i vertici di regione Lombardia, per spiegare i vantaggi dell’Expo per le nostre imprese. Con sorpresa dei partecipanti, alle conferenze, ero solito spiegare che Expo 2015 non era un evento di cibo: era un evento di meccanica, energia, logistica e industria 4.0. La perplessità dei partecipanti era presto dissipata quando andavo a spiegare che il cibo che consumiamo è, in larga parte, processato a livello industriale.
Il grano raccolto nel campo, prima di diventare il biscottone inzupposo di un famoso brand (con tanto di gallina che approva la cottura del mugnaio Banderas), subisce una serie di trattamenti industriali che richiedono energia (salvo che si usi il mulino ad acqua del sopra menzionato signor Banderas), macchinari industriali, strumenti di precisione, sensori di raccolta di dati, sistemi di controlli igienici etc…Tutto questo percorso è manifattura alimentare. Con questa premessa cerchiamo di comprendere come il brand made in Italy, conosciuto nel mondo proprio per la qualità dei nostri prodotti alimentari finiti, sia un perfetto traino per l’intero comparto della manifattura alimentare.
Il collegamento è relativamente semplice da comprendere ma, per comodità, lo riassumerò in modo chiaro. Ipotizziamo che un consumatore cinese compri uno yogurt prodotto in Italia, o meglio ancora prodotto con il latte italiano. Il primo pensiero (o forse il secondo) che sorgerà nella sua mente sarà “ok anche in Cina due mucche le abbiamo, perché non fare lo yogurt anche qui?”. Se è vero che la qualità della materia prima è un fattore fondamentale per avere un buon prodotto finale, lo stesso dicasi per la processazione.
Il caso vuole che vi siano una serie di fattori, a mio avviso positivi, che spingeranno sempre di più la domanda di sistemi e macchinari per la processazione industriale. A tutto vantaggio del sistema Italia che può venderli direttamente (vale a dire, se ti piace lo yogurt made in Italy, o industriale cinese, comprati anche il macchinario con cui lo abbiamo fatto). Vediamoli insieme.
Urbanizzazione futura
Non è un segreto che nel futuro la porzione di popolazione che vivrà nelle città (in molti casi nelle megalopoli) sarà maggiore rispetto agli abitanti delle zone rurali.
Come mostrano i dati di Unido una larga parte della popolazione in movimento verso i centri urbani saranno i cittadini africani e asiatici. Grandi città, grandi domande di beni e servizi; tra cui tanti beni alimentari. Per supplire in modo continuativo alla domanda crescente dei cittadini sarà sempre più importante rendere efficiente (ma senza dimenticare la qualità, tanto per evitare gli scandali alimentari cinesi) i processi di creazione, produzione, confezionamento e distribuzione del cibo (in forma liquida o solida cambia poco). “Le due macro regioni sopra menzionate sono i mercati del futuro, insieme alle ex repubbliche sovietiche”, mi spiega Alessandro Merusi, CEO di CFT, gruppo che opera nel settore dell’impiantistica alimentare e del packaging che va dalla Sud Corea alla California passando (per modo di dire) dall’America latina latino alla Russia.
Punto di convergenza di varie tecnologie
Il grande vantaggio dell’Italia, come paese del G7, sta proprio nella nostra capacità di produrre soluzioni avanzate per la processazione. All’interno di quella convergenza di settori che chiamiamo industria 4.0 cerchiamo di comprendere dove cade la meccanica intelligente, di cui stiamo parlando.
Si nota che la voce “IOT e Smart Machine” è piuttosto recente, nella compagine del movimento industriale che conosciamo tutti come Industria 4.0. “Se consideriamo il grande valore che sarà generato dall’Industria 4.0, trovo sia importante comprendere il contributo che l’industria e l’ingegno italiano potrà apportare. Inoltre, anche culturalmente e per l’ormai indubbio mix di servizi anche nell’offerta della manifattura sarebbe il caso di parlare di economia o impresa 4.0 ”, mi spiega Enrico Pedretti, direttore marketing di Manageritalia, la più grande associazione italiana che raggruppa manager di differenti categorie e industrie. “L’evoluzione della produzione, l’integrazione di differenti ambienti e scenari, come il caso della produzione e processazione alimentare, è sicuramente un settore dove noi italiani, di fatto poveri di materie prime, abbiamo raggiunto livelli di qualità tra i primi nel mondo”, ragiona Pedretti.
Domanda di meccanica e industria 4.0 di qualità
Dal primo punto deriva il terzo. Molti stati, nello sforzo di fornire cibo di qualità alla loro classe media urbanizzata, necessitano di una filiera dove la processazione del cibo avviene in modo efficiente, sicuro e igienico. “La lavorazione della materia prima implica un’industria all’avanguardia e l’Italia, in questo settore, ha da dare lezioni”, continua Alessandro Merusi di CFT. Per comprendere il valore dell’export di tutta la filiera della meccanica applicata al settore alimentare consideriamo il dato del Mise. Partiamo da alcuni numeri per inquadrare il fenomeno. Quanto valgono, nella bilancia dell’esportazione italiana, le macchine per la produzione e gli impianti per la processazione alimentare? Oltre 7 miliardi all’anno, e i fattori sono in crescita (dati Mise 2016, 2017, parziale 2018).
Se sommiamo (concedetemi alla buona, ma il link inserito in alto permette un’analisi maggiormente dettagliata) le voci di export come macchine agricole, trattori, macchine per industria alimentare e bevande, otteniamo circa 7 miliardi di export nel 2017 (conteggiando un 5% del packaging e togliendo un 30% della voce tabacco). Con una crescita media dall’anno precedente del 3%. Scegliamo un settore all’apparenza “povero”: consideriamo il settore caseario. Il settore della produzione del latte (dalla mucca/capra in poi) è un settore povero. Il che è vero se parliamo del valore del latte (non me ne vogliano i pastori e allevatori); tuttavia, se parliamo della filiera del valore del latte, le cose cambiano.
“Salendo nella processazione del prodotto i macchinari per la sua lavorazione sono sempre più elaborati, in continua evoluzione tecnologica sia dal punto di vista hardware che software”, continua il CEO di CFT. “Il nostro punto di vista è ovviamente tecnico. Noi non produciamo latte. Progettiamo e produciamo impianti di grandi dimensioni per i nostri clienti, sparsi per il mondo, per la trasformazione ed il confezionamento a 360 gradi di prodotti alimentari in forma liquida e non: succhi, passate, bevande in genere, latte e derivati (tra cui formaggi), etc.. La domanda di prodotti derivati del latte è in continua crescita in tutto il mondo. Come Italia possiamo contribuire, ma è la filiera della valorizzazione del prodotto finale che permette all’economia italiana di crescere anche in momenti di crisi,” aggiunge Merusi.
I numeri sul settore danno conferma di questa visione. Le analisi disponibili in rete riportano una media di crescita di domanda tra il 2019-24 che porterà a un giro di business di 15 miliardi.
Nazioni in via di modernizzazione
Sulla scia dei concetti sopra discussi arriviamo alla necessità di ammodernarsi. In tal senso l’export italiano del “buon cibo” diventa un volano (potremmo dire una sorta di soluzione virale, mutuando il concetto da internet), che spinge il consumatore straniero a ricercare la stessa qualità e standard nella sua nazione. Di qui nasce la grande opportunità per l’export italiano che abbiamo visto poco sopra. “È bene ricordare che il percorso che ha permesso all’export italiano di raggiungere questi traguardi non è stato veloce. Molto sta all’abilità dei manager italiani, che hanno saputo esplorare nazioni e realtà fuori dalle vie già percorse da altri”, mi spiega Pedretti di Manageritalia. “Pensiamo alla visione e all’abilità di prevedere, entro certi limiti, la domanda futura. Un’abilità che connota i manager italiani e alla quale noi, come Manageritalia, contribuiamo con i nostri servizi di formazione continua del CFMT (Centro Formazione Management del Terziario)” aggiunge Pedretti.
Gli fa eco l’amministratore delegato di CFT: “Le nostre scelte sono state strategiche, abbiamo deciso di investire in aree geografiche che, sino a pochi anni fa, erano dipendenti solamente dalle loro risorse tecnologiche (leggasi anche ricerca e tecnologia nazionale, a volte non particolarmente eccelsa, ndr). Penso alle ex repubbliche sovietiche e alla stessa Russia, al Sud-Est Asiatico. Senza dimenticare tutto il blocco nord africano”. Territori che ci sembrano lontani, per quello che concerne tecnologie moderne, eppure nazioni che stanno investendo molto nella creazione di impianti alimentari moderni e all’avanguardia. Se consideriamo, in scia ai punti precedenti, che alcune tra le più grandi megalopoli saranno proprio in Africa, come spiega il Guardian. Per comprendere l’importanza di questo mercato osserviamo gli investimenti e l’interesse di una tra le più importanti fiere del settore agricolo: Agroprodmash (dati del 2018).
Investimenti e capitale in cerca di un contadino
Non da ultimo resta la questione finanziaria. Negli anni, dopo una serie di crisi, bolle speculative (tra cui una sulle materie prime alimentari che è stata alla base delle rivolte del pane in nord africa) etc.. molti fondi sovrani, gruppi privati e nazioni nella loro totalità, hanno compreso che investire nell’ammodernamento dell’industria alimentare è vitale. Se vogliamo citare solo un paio di fondi, piuttosto innovativi, possiamo ricordarci IdodiVC e Avrio Capital entrambi inseriti in un percorso per elevare realtà di produzione alimentari a vari stadi per supportarle nel mercato consumer. Se i piccoli fondi non rendono l’idea una visione più ampia ci viene offerta dalla FAO che, già nel 2013, delineava molti dei macro trend di investimenti nella produzione alimentare, che oggi osserviamo. E le grandi banche come si muovono? La World Bank, poche settimane fa, ha confermato la stessa posizione di Fao. Anzi, andando in una visione più regionale, per esempio parlando dell’India,discute di come l’industria della processazione alimentare in India sia molto al di sotto delle necessità del suo mercato interno e intere filiere vadano ammodernate.
È bene comprendere, infatti, che se parliamo di creazione o ammodernamento di impianti di processazione alimentare non basta il mulino ad acqua e la gallina di Banderas. “Le nostre soluzioni sono di solito impianti il cui investimento parte dai 2-3 milioni di euro e cresce modulandosi sulla base delle necessità del committente” spiega Merusi di CFT. “Spesso sono aziende che hanno una partecipazione statale ad acquistare le nostre soluzioni, oppure aziende private che accedono a finanziamenti pubblici a fondo perduto, in particolare se parliamo di aree come l’Africa, l’Asia e le ex repubbliche sovietiche”. Come dimostrano i link sopra riportati la domanda per macchine e impianti di alta qualità ha un supporto sia da parte dell’industria finanziaria privata (anche, fondi) che pubblica (budget nazionali e progetti multilaterali).
E-commerce e distribuzione intelligente
Maggiore sarà la crescita urbana maggiore sarà l’esposizione dei cittadini a soluzioni tecnologiche digitali in ogni parte della vita. Tra i tanti settori che sarà in ascesa c’è l’e-commerce. Ad oggi più focalizzato in prodotti non deperibili, comincia a emergere anche un trend dove la vendita di alimenti confezionati (e freschi) diventerà una voce importante: dai casi famosi di Amazon prime Grocery a realtà più domestiche come supermercato24, la vendita di cibo on line è destinata a crescere. La filiera del cibo in questo caso, dovrà adattarsi. Parliamo di prodotti alimentari che hanno una tracciabilità dalla materia prima sino alla consegna a casa. Le grandi realtà di E-commerce (da Amazon a Yoox, che al momento non vende cibo, ma non si sa mai che venderà indumenti commestibiliin futuro…) hanno sviluppato una filiera dove è importante dimostrare al cliente l’intera vita del suo prodotto. Le richieste di una clientela sempre più informata ed esigente (non dimentichiamoci tutta la filiera del mangiare sano, Bio, “Senzaqualcosa”) diventerà un driver per le piattaforme di ecommerce (sempre più ossessionate dal Data-driven e “il cliente viene prima”) che dovranno dare informazioni certe affidabili su ogni alimento venduto.
Ma come si può rendere il cibo intelligente? Il primo aspetto, quasi scontato, è avere un’intera filiera di processazione che traccia ogni passaggio e ogni lavorazione. Di qui la necessità di avere un’industria del cibo 4.0 che possa avvalersi di macchine sempre più connesse. “Le dinamiche del futuro, legate alla vendita on line, richiederanno sempre più tracciabilità dell’intera filiera” continua Merusi di CFT. “Tutti i nostri impianti sono in 4.0 compliance. Questo permette di dare un origine certa ad ogni prodotto, in questo modo il cliente finale, per qualunque esigenza, può percorrere a ritroso la vita dell’alimento che ha acquistato. A beneficio della trasparenza, etica, e salute.”
Flessibilità della domanda consumer
Ultima delle tendenze ma non meno importante, è l’umore del mercato. Con una abbondanza di informazioni su prodotti o servizi, la fusione di differenti cucine, stili di vita, il consumatore italiano oggi può decidere di innamorarsi della salsa Kimchi oppure il consumatore indiano (che detto tra noi gli indiani son tanti) decidere che vuole il parmigiano. Tutte queste scelte possono arrivare (non previste) in pochi mesi. Adattare un’intera linea di produzione tradizionale (praticamente la maggioranza esistente nel mondo occidentale) a un nuovo prodotto è un inferno. Nel migliore dei casi si parla di settimane di blocco macchine (macchina che non produce non fa guadagnare vecchio detto tibetano…). In questo senso, quindi, avere impianti 4.0 che possono “cambiare” e modificare le linee di imbottigliamento o produzione in tempi rapidi, sfruttando soluzioni modulari e il continuo flusso dati generati da quella cosa chiamata big data (una delle voci del grafico sopra indicato) è fondamentale.
“Abbiamo un dipartimento di ricerca in continua crescita che studia e progetta soluzioni tecnologiche in linea con i requisiti dell’industria 4.0: approcci flessibili che consentono rapidamente di adattare le linee di produzione alle esigenze del mercato e gestire un traffico dati upstream e downstream (in entrata e in uscita per chi non è compagno di banco di Shakespeare) a servizio dell’intera filiera (dal cliente al contadino). In questo modo possiamo offrire al nostro cliente finale (che nel caso di CFT è un produttore alimentare, ndr) impianti che oltre al classico just in time consentono un rapido allineamento tra esigenze produttive e domanda del mercato, che può avere cambiamenti repentini di gusti”, conclude Alessandro Merusi.
Con questo quadro in mente, e con una crisi che, si dice, dovrebbe arrivare a mesi (o forse è già qui, dipende a chi lo si chiede) è importante comprendere come valorizzare il made in Italy in modo sinergico. Per dirla semplice, in modo che l’intera economia italiana, che è povera di materie prime ma ricca di ingegno, possa continuare a produrre soluzioni all’avanguardia e magari, lo dico senza voler male ai nostri amici teutonici, possa vendere direttamente la propria produzione meccanica nel mondo. Certo per fare questo non bastano i buoni propositi e le strette di mano. Serve un sistema paese che finanzi gli investimenti, dei politici lungimiranti che facciano missioni estere per promuovere tutto il made in Italy, e aziende e manager capaci e arditi. Mi piace essere ottimista, si può fare. Dopo tutto se riusciamo a vendere il caffè italiano nel mondo, senza coltivarne un chicco, si può vendere ancora di più.
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