Migranti, i fondi che ci sono e la confusione delle norme

scritto da il 22 Gennaio 2019

Pubblichiamo un post di Mari Miceli, analista giuridico. Mari svolge attività di ricerca in materia di dinamiche processuali penali. Autrice di pubblicazioni scientifiche, è membro del Comitato revisori di Cammino Diritto

I numeri dell’”emergenza”migranti sono stati pubblicati dal Dipartimento della Pubblica sicurezza del Ministero dell’Interno,il quale ha reso note le cifre concernenti gli sbarchi.

Interessanti appaiono i dati che si riferiscono ai migranti sbarcati negli anni 2017- 2018. Comparando i numeri, infatti, emerge come nel 2017 siano stati 119.369 i migranti arrivati in Italia, mentre, nel 2018, il numero sia pari a23.370.I minori stranieri non accompagnati, invece, sono 15.779 per l’anno 2017 e 3.536 per il 2018. Come può ben evidenziarsi, si tratta di un netto calo, pari quasi a circa l’80% rispetto ai dati che si riferiscono all’anno precedente.

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Ma a chi va il merito del crollo degli sbarchi? Alle politiche repressive dell’attuale ministro dell’Interno? O della politica attuata dall’ex ministro Marco Minniti?

Se da una parte, infatti, il decreto sicurezza ha dato una stretta alle maglie degli arrivi nei porti italiani, è pur vero che il crollo degli sbarchi è frutto degli accordi con la Libia sottoscritti da Minniti. Sul tema di una ritenuta connessione tra immigrazione e delitto, infatti, l’ordinamento italiano, sin dall’introduzione della Legge Bossi – Fini, ha dimostrato di privilegiare, quale strumento di contrasto, la risposta penale, indirizzata contro l’immigrato, che viola le norme che regolano l’ingresso e la permanenza in Italia.

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Dalle notizie diffuse dal Ministero dell’interno, in tema di politiche di immigrazione e asilo, apprendiamo inoltre, l’istituzione del Fondo asilo migrazione e integrazione, agenda 2014-2020 (c.d. Fami), introdotto grazie al Regolamento UE n. 516/2014, con l’obiettivo di promuovere una gestione integrata dei flussi migratori sostenendo tutti gli aspetti del fenomeno, quindi, asilo, integrazione e rimpatrio.

All’interno del documento programmatico elaborato dall’Italia per la definizione degli obiettivi strategici e operativi degli interventi da realizzare con la dotazione finanziaria a disposizione, l’ammontare della somma originaria prevista per l’Italia dal Regolamento istitutivo del Fami 516/2014 era pari ad 387.698.100 euro; successivamente, è stata incrementata di 37,4 milioni di euro per finanziare operazioni di reinsediamento e ricollocazione e di ulteriori 33,7 milioni per interventi a supporto dell’integrazione dei cittadini di Paesi terzi e di rimpatrio.

Ad oggi, la dotazione finanziaria comunitaria complessivamente attribuita all’Italia è di 381.488.100 euro, con buona pace della mancata adesione dei progetti Sprar (Sistema di Protezione Richiedenti Asilo e Rifugiati) che non farà altro – così – che peggiorare le condizioni della gestione del fenomeno migratorio.

L’elemento normativo che c’interessa è dato dal fatto che, ad oggi, i sindaci si trovano davanti a due norme di contenuto diverso, il solito pasticcio all’italiana tra leggi nuove e vecchie: la prima, del 1998, che dispone le iscrizioni e le variazioni anagrafiche dello straniero regolarmente soggiornante; la seconda, quella del decreto sicurezza (adesso convertito), che dispone: “il permesso di soggiorno costituisce documento di riconoscimento […]. Il permesso di soggiorno […] non costituisce titolo per l’iscrizione anagrafica”.

Il nuovo decreto sicurezza, in altre parole, con l’eliminazione dei permessi di soggiorno per motivi umanitari e del diritto di residenza ai richiedenti asilo, ha creato confusione su materie di competenza regionale quali per esempio, salute, assistenza sociale, diritto allo studio. Materie, insomma, che riguardano sostanzialmente il welfare. Ad oggi, sono due le Regioni (Piemonte e Toscana) che hanno proposto ricorso alla Consulta, che già nel 2010 aveva dichiarato la parziale illegittimità dell’art. 14, comma 5-quater del TU immigrazione, poiché contrario alla Direttiva 2008/115/CE recante la disciplina in materia di procedure comuni applicabili negli Stati membri al rimpatrio dei cittadini di Paesi terzi il cui soggiorno fosse irregolare.

Vale la pena evidenziare, come già l’autorevole dottrina ha fatto (L. Pepino), che l’introduzione del reato di immigrazione clandestina – come nel diritto penale classico – non punisce un fatto ma il “migrante che diventa reato”. La ratio dell’intera gestione dei flussi migratori andrebbe cercata nella disciplina amministrativa dell’immigrazione e non in un bene giuridico protetto, né finale né strumentale ad essa.

Bene giuridico è l’oggetto che si vuole tutelare attraverso le leggi, non l’insieme delle regole stesse. Un tal modo di concepire il bene giuridico, cancella ogni funzione critica della legislazione, elevando la lesione del bene alla mera disobbedienza alle norme.

Twitter @micelimari_1