categoria: Res Publica
La fiducia, dal basso, decisiva per la crescita. E invece cola a picco
La Banca d’Italia ha stimato nel Bollettino Economico pubblicato venerdì scorso una crescita economica negativa (-0,1%) nel quarto trimestre 2018. Siamo passati da un 2017 positivo (+1,5%), ai primi due trimestri del 2018 ancora positivi, poi le aspettative si sono invertite (il terzo trimestre si era chiuso con -0,1%; l’Ocse ha registrato che l’Italia è l’unico paese dell’Eurozona in cui il tasso di occupazione è calato nel III° trimestre). Il combinato disposto del rallentamento del commercio internazionale e delle chiacchiere – a vanvera – del governo giallo-verde hanno indotto gli imprenditori a bloccare gli investimenti e i consumatori a ridurre le spese considerate superflue. Ne è derivata una crescita forte dei depositi bancari. L’italiano, in periodi di incertezza, inizia a risparmiare, perché “non si sa mai”. Il risparmio precauzionale ha la meglio. Nessun investimento in borsa, non sia mai comprare Btp, e allora i denari rimangono sul conto corrente in attesa di tempi migliori.
Fulvio Coltorti, già direttore della ricerca di Mediobanca, ha ricordato – in un pregevole saggio su “La Nuova Antologia” – una lettera del 1933 di John Maynard Keynes al presidente americano Franklin D. Roosevelt in cui sottolineava – per far ripartire la crescita economica – la necessità di agire su tre fattori: gli individui devono essere indotti a spendere una parte maggiore del loro reddito disponibile; le imprese devono essere stimolate ad aumentare gli investimenti tramite minori tassi di interesse o maggior fiducia (“increased confidence”); oppure lo Stato deve agire in prima persona attraverso la spesa pubblica (investimenti meglio della spesa corrente).
Bene. Cosa ha realizzato questo governo nei primi 9 mesi – da aprile a oggi? Ha aumentato l’incertezza a livelli mai visti negli ultimi anni; la salita dello spread Btp-Bund è stata il termometro della febbre, creata ad arte da membri del governo per illudere i cittadini che fossero l’Europa e l’euro la causa dei nostri mali (invece bassa produttività e bassa natalità sono antecedenti alla nascita dell’euro). Un classico caso di capro espiatorio.
Ha fatto colare a picco la fiducia dei consumatori, dei risparmiatori e delle imprese. Come ha scritto Giuseppe De Rita, fondatore del Censis, è la sfiducia, più del rancore, che ottunde l’intelletto e depotenzia ogni spirito di iniziativa. […] Ma la fiducia (specie se collettiva) non fiorisce per nobili esortazioni dall’alto. […] Deve e può nascere dal basso, come è avvenuto del resto in Italia, dove i periodi di maggior fiducia collettiva sono stati quelli in cui milioni di persone hanno vissuto «terra-terra» la speranza di «star meglio». Negli anni della ricostruzione, del “miracolo economico”, non c’era nessuno che invocava la fiducia dall’alto. Parlare di “boom economico” (fantascienza) e dopo pochi giorni vedersi certificare la recessione (ossia due trimestri consecutivi di crescita negativa) è cosa rara.
Nel 1962 Guido Carli, allora governatore della Banca d’Italia, scrisse: “Quanto più si riducono i margini dell’autofinanziamento (con i profitti in calo, come oggi, ndr), quanto più cresce l’importanza del mercato dei capitali, tanto più occorre conservare la fiducia in quanti attraverso di esso dovranno convogliare risparmi agli investimenti produttivi”.
L’imprenditore deve essere messo nelle condizioni di poter “fare impresa”. Uno dei primi provvedimenti del governo ha viceversa reso complesso l’utilizzo di lavoratori a tempo determinato. Il cosiddetto decreto “Dignità” è stato così controproducente che gli imprenditori hanno preferito non rinnovare i contratti in essere. Un bel risultato!
Sempre Carli nel 1971 scriveva: “Se nel nostro sistema economico non si assegnerà una posizione onorevole a questa categoria di uomini (imprenditori, ndr), saranno fatali il rifuggire dalle responsabilità, lo spegnersi degli impulsi alla ricerca del nuovo, il ristagno permanente; sarà un modo di vivere anche quello, rassegnato però all’accettazione del grigiore di una economia stazionaria”.
Eh sì, siamo qui, in un’economia stagnante (ministro Tria, cit.), languente (Ciocca, cit.), dove gli uomini d’impresa vengono definiti “prenditori” (ci possono anche essere, ma non sono certo la maggioranza).
E ancora, il governo ha invocato l’aumento degli investimenti pubblici (quante volte sono stati citati dal ministro Savona!) per poi ridurli in sede di legge di Bilancio, preferendo la solita spesa corrente (pre-pensionamenti, sospensione per soli tre anni della legge Fornero). Non è stato previsto alcun intervento di struttura tendente a migliorare l’assetto istituzionale del Paese. La scuola, che dovrebbe essere la priorità massima, non è un tema all’ordine del giorno. E il funzionamento della macchina della giustizia?
Il governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco ha chiuso così il suo intervento alla presentazione del volume “Mercato, Europa e libertà” (Laterza, 2019), una raccolta di interventi di Guido Carli : “Da decenni il principale freno allo sviluppo del nostro Paese è costituito da rigidità legislative, burocratiche, corporative, imprenditoriali, sindacali – ossia da quelli che, riprendendo Tommaso Campanella, Carli aveva definito come i “lacci e lacciuoli””.
Mario Draghi li chiama interventi strutturali. Non se ne vede neanche l’ombra.
Questo governo preferisce una manovra assistenziale (“illusorio affidarsi ai sussidi, scrive Carlo Cottarelli), basata sul reddito di cittadinanza (chissà come verrà fatto funzionare, di corsa, per poter arrivare alle elezioni europee di maggio con la pancia piena) e riduzione dell’età pensionabile. Pannicelli caldi. Anzi freddi, per l’economia italiana. Sono molti gli istituti di ricerca che stimano una crescita anemica nel 2019. Se non torna la fiducia – dal basso – sarà ben difficile invertire il trend.
Twitter @beniapiccone