categoria: Distruzione creativa
Imprese e blockchain, quattro strategie e un problema: l’Italia
L’autore di questo post è Claudio Parrinello. Imprenditore seriale, attualmente CEO di UNICO, un progetto sulla blockchain EOS. Dopo aver conseguito il Diploma di Perfezionamento (dottorato) in Fisica alla Scuola Normale Superiore di Pisa, è stato ricercatore in Gran Bretagna e poi manager al CERN di Ginevra –
Nel quadro dei buoni propositi per il 2019, domandiamoci se (e come) oggi in Italia si può creare valore economico dalle tecnologie blockchain, dal punto di vista di un imprenditore. A chi non sa di cosa sto parlando consiglio di leggere il mio post introduttivo.
Io vedo quattro possibili strategie imprenditoriali, con diversi profili di rischio e diversi livelli di creazione di valore per il sistema Italia (valore definito in termini di acquisizione e trasferimento di conoscenze, nonché di creazione di posti di lavoro).
Cominciamo dalla strategia a mio avviso meno interessante, ma che più attrae l’attenzione dei mezzi di comunicazione:
1) Investimento speculativo in criptomonete
Tutti negli ultimi mesi hanno sentito parlare di bitcoin, nel bene e nel male. Ultimamente la stampa ama sentenziare che “la bolla è scoppiata”, perché il valore di mercato di bitcoin e delle altre criptomonete più note ha subito negli ultimi dodici mesi una forte correzione, che molti definirebbero un tracollo. Senza addentrarmi in analisi tecniche o predizioni sui valori futuri, vorrei sottolineare che anche l’investitore in criptomonete deve tener presente la regola aurea di tutti gli investitori, vale a dire: investire solo in qualcosa che si conosce, di cui si capiscono i fondamentali.
Cosa c’è da capire prima di investire in questo mondo? Le criptomonete sono componenti strutturali delle blockchain, un investimento in criptomoneta è quindi un investimento nella tecnologia blockchain sottostante. Se quella tecnologia si rivelerà valida nel tempo e riuscirà a creare valore, è lecito pensare che ciò si rifletterà in qualche modo nel prezzo della cripto associata. Però non è così semplice. Vediamo perché:
Ogni criptomoneta ha una propria politica monetaria. Per alcune, come bitcoin, la creazione di nuova moneta è soggetta a un tetto globale inviolabile (21 milioni di bitcoin in totale, di cui oltre 17 milioni già emessi). Altre, come l’Ether, non hanno un tetto prestabilito bensì un’inflazione annua programmata. Questi parametri possono influire in modo significativo sull’andamento a lungo termine del valore di mercato.
Il mercato delle criptomonete è ancora relativamente piccolo. La capitalizzazione di mercato attuale di bitcoin, la più importante criptomoneta, è dell’ordine dei 70 miliardi di dollari, cioè un decimo della capitalizzazione di Apple e un centesimo del mercato dell’oro. Di conseguenza il mercato è facilmente manipolabile da grossi player (hedge fund e simili) e caratterizzato da un’altissima volatilità in confronto agli asset tradizionali. Infine, va detto che il trading di criptovalute è tuttora poco regolamentato, quindi le manipolazioni di tipo insider trading sono relativamente facili e poco rischiose.
Un capitolo a parte meriterebbe l’investimento in “token”. Essi sono componenti strutturali non delle blockchain, ma di specifici progetti basati sulle blockchain. Per usare un’analogia imprecisa ma familiare a molti, si potrebbe dire che dal punto di vista finanziario i token stanno alla loro criptomoneta di riferimento come le azioni delle singole aziende quotate sul NASDAQ stanno all’indice NASDAQ stesso.
Conclusione: chi non ha chiaro quanto sopra sicuramente non dovrebbe investire in criptomonete, ancor meno in token. A proposito di bitcoin ed Apple: è interessante notare che nonostante il suo tracollo nel 2018, la performance di bitcoin al 15 dicembre 2018 è stata comunque migliore di quella di Apple nei dodici mesi precedenti (vedi grafico).
Infine, vorrei sottolineare che il valore creato nel sistema Italia da una strategia speculativa pura è ovviamente vicino a zero: scarsa acquisizione di know-how e scarsissima creazione di posti di lavoro.
2) Creazione di prodotti e servizi dove la blockchain aggiunge valore
A mio avviso, le opportunità più interessanti oggi per un imprenditore dinamico sono quelle legate alla “tokenizzazione” di beni e servizi. Rimando a un mio recente post per una discussione dettagliata di alcuni casi d’uso concreti. In estrema sintesi, tokenizzare un bene vuol dire creare uno o più token di blockchain che rappresentano dei diritti legati al bene stesso (proprietà del bene, diritto di ricevere una rendita associata al bene, ecc.). L’interesse dell’operazione nasce dal fatto che i token, una volta creati, sono a prova di contraffazione, nonché trasferibili in modo rapido, economico e sicuro tramite la blockchain. Inoltre, se il bene ha un chiaro valore di mercato ma scarsa liquidità, collegare la proprietà del bene a un token di blockchain permette di allargare significativamente la platea dei potenziali acquirenti e può quindi aumentare drasticamente la liquidità del bene stesso.
Esempi ovvi di beni tokenizzabili sono licenze software, elementi di videogiochi, biglietti elettronici, buoni acquisto, ma anche certificati di proprietà di beni fisici da collezione e di pregio (arte, proprietà immobiliari, ecc.). Naturalmente, a seconda del bene e dei diritti tokenizzati, è necessario assicurarsi che la vendita e le rivendite dei token avvengano in conformità con le normative in essere, in particolare con le norme antiriciclaggio in caso di token legati ad asset finanziari. Ma ne riparliamo alla fine dell’articolo.
Questa strategia imprenditoriale porta alla creazione di startup innovative e può quindi creare molto valore nel sistema Italia.
3) Contribuire al funzionamento e alla manutenzione di una blockchain
I contributi al funzionamento di una blockchain, in particolare alla certificazione sicura delle transazioni, vengono remunerati in criptomoneta. Partecipare a queste attività è quindi un modo di investire in criptomoneta alternativo all’investimento finanziario diretto.
Bitcoin ed Ethereum, le blockchain oggi più note al pubblico, utilizzano un tipo di certificazione basato sul principio della Proof of Work (POW). In estrema sintesi: la sicurezza di queste blockchain è legata all’uso di una grande potenza di calcolo per certificare. Il fatto che la certificazione sia dispendiosa rende virtualmente impossibile/antieconomico modificare le transazioni già certificate.
Chiunque può partecipare alla certificazione POW ed essere remunerato in criptomoneta, a condizione di disporre di elevata potenza di calcolo (direttamente tramite hardware di proprietà, oppure prendendola in affitto). Il processo si chiama “mining”, e molti imprenditori (anche italiani) negli ultimi anni hanno messo su centri di calcolo, in Italia e all’estero, per minare criptomoneta. Questo approccio “industriale” all’investimento in criptomoneta può avere ricadute più significative di quello finanziario puro in termini di creazione di posti di lavoro, ma l’impatto sulla comunità e l’acquisizione di know-how blockchain sono comunque limitati.
Molto più interessanti dal punto di vista dell’ecosistema dell’innovazione sono le opportunità di certificazione legate alle nuove blockchain, che utilizzano l’approccio della Decentralized Proof of Stake (DPOS). La differenza fondamentale dal punto di vista imprenditoriale fra POW e DPOS è che nel mondo DPOS l’attività di certificazione non è aperta a tutti. I certificatori vengono scelti dalla comunità dei detentori di criptomoneta, tramite vere e proprie votazioni.
Il criterio principale di selezione è un alto livello di know-how blockchain e la capacità di creare software utile per supportare gli utenti e di fornire contributi significativi per l’espansione dell’ecosistema. Ovviamente è anche richiesta un’adeguata infrastruttura tecnologica, ma la selezione si fa sul know-how e sul contributo alla community. Di conseguenza, dal punto di vista di una startup che intende entrare nel mondo DPOS, il potenziale di acquisizione di know-how e creazione di posti di lavoro qualificati è molto elevato.
La blockchain EOS, lanciata nel giugno 2018 a seguito di una raccolta fondi da 4 miliardi di dollari, è a mio avviso la più interessante nel mondo delle blockchain DPOS e quella che offre le maggiori opportunità imprenditoriali. I certificatori EOS (o “block producer”) nelle prime 21 posizioni della classifica dei più votati ricevono attualmente 670 – 780 EOS al giorno (1600 – 1900 euro al giorno, al cambio attuale). Dietro a loro, una sessantina di gregari ricevono cifre superiori ai 240 euro al giorno. Chiaramente la competizione per diventare un block producer di punta in EOS è molto serrata. Tuttavia, stanno nascendo altre blockchain basate sulla stessa tecnologia (esempio: Telos) che offrono nuove opportunità. A mia conoscenza, fino ad oggi, solo una realtà italiana ha raccolto la sfida di diventare block producer nel mondo EOS: EOS Impera. Bravi!
4) erogare consulenza blockchain
Le aziende che si impegneranno ad acquisire conoscenze e creare valore negli scenari 2) e 3) descritti sopra saranno a mio avviso quelle posizionate meglio per trarre profitto a medio termine dal mercato della fornitura di formazione e consulenza in ambito blockchain. L’opportunità è a mio avviso enorme: oggi virtualmente tutte le grandi aziende fanno ricorso all’outsourcing di servizi e consulenza IT. L’avvento delle tecnologie blockchain, su cui già oggi banche, borse e giganti dell’ecommerce stanno investendo somme considerevoli, creerà una grande domanda di servizi di formazione, consulenza e gestione nel segmento blockchain.
Si può fare tutto ciò in Italia, oggi?
Dopo aver cofondato nel 2012 una startup tecnologica in Francia, nel mondo della sensoristica avanzata e dei sistemi di navigazione per robot e droni, negli ultimi tre anni mi sono dedicato a progetti nel mondo blockchain, scoprendo che in questo ambito le cose si muovono molto più velocemente che negli altri comparti tecnologici. Di conseguenza, un paese che voglia incentivare la creazione di valore nel mondo blockchain in particolare, deve fare benissimo ciò che per incentivare le startup tecnologiche in generale basta fare bene.
Detto questo, proviamo a confrontare ciò che esiste oggi in Francia con la realtà italiana.
Gli ambiti in cui le startup tecnologiche hanno bisogno di sostegno sono quelli della liquidità,delle agevolazioni e degli investimenti. Nei primi anni di attività si spende molto più di quanto si incassa. Bisogna poter investire tanto, rapidamente, cambiare strategia se necessario senza incorrere in troppe pastoie burocratiche, e pagare pochissime tasse finché non si realizzano utili.
Parliamo di liquidità: una startup di solito acquista molto e vende poco, quindi si trova spesso con un credito di IVA. Mi risulta che in Italia per ottenere un rimborso IVA ci voglia parecchio tempo, la procedura sia complessa, e in alcuni casi siano richieste garanzie (ma perché un creditore dovrebbe presentare garanzie a un debitore?). In Francia, il rimborso si può richiedere anche mensilmente e viene liquidato tipicamente nel giro di trenta giorni.
Agevolazioni: nel quadro di Impresa 4.0 è previsto il credito d’imposta R&S. Sulla carta, è un dispositivo utile e importante ma il problema è che in Italia il credito d’imposta è utilizzabile esclusivamente in compensazione, cioè come deduzione su imposte dovute. Parlando di liquidità, dal punto di vista di molte startup, questo può equivalere a dire a babbo morto.
Al contrario, in Francia un dispositivo analogo prevede che le startup innovative (e tutte le PMI) possano ottenere il rimborso immediato. In pratica, qualche mese dopo la chiusura del bilancio, lo Stato eroga un bonifico per l’importo del credito R&S.
Investimenti. È stato annunciato dal nuovo governo nel quadro della manovra 2019 un ambizioso piano di sostegno all’innovazione e al comparto digitale, con fondi pubblici a sostegno del venture capital, detrazioni per chi investe in startup, ecc, ecc, ecc…
Senza entrare nel merito di ciò che è stato annunciato, vorrei sommessamente suggerire di dare un’occhiatina a cosa fanno gli altri in Europa, analizzando le “best practices” prima di reinventare la ruota. Nel sistema francese, che ci ha aiutato a costruire un’azienda di successo nel mondo della sensoristica, il supporto alle startup è basato su una struttura a tre livelli:
– Locale, attraverso una rete di piattaforme che erogano prestiti a tasso zero in partenariato con le banche (vedi Initiative France),
– Regionale, tramite prestiti agevolati e finanziamenti a fondo perduto (esempio Inovizi),
– Nazionale, grazie a una vera e propria banca dedicata, BPI France, che offre un ampio ventaglio di servizi finanziari e di supporto all’export per gli imprenditori.
Torniamo alla questione lasciata in sospeso della conformità delle transazioni blockchain (specialmente in certi settori di applicazione) con le normative italiane e internazionali in materia di antiriciclaggio. Il bisogno per gli imprenditori è quello di avere un quadro giuridico di riferimento chiaro e stabile. In questo ambito, l’esempio da seguire a mio avviso è quello di Malta, che si è data come obiettivo di diventare una “blockchain island” e ha legiferato di conseguenza, cercando di creare dei percorsi chiari per la classificazione degli asset di blockchain, per ottenere le autorizzazioni a raccogliere fondi vendendo token, ecc.
Per concludere: ritengo che la creazione di un ecosistema italiano favorevole all’innovazione (in particolare in settori come Blockchain e Intelligenza Artificiale) richieda una riflessione a 360 gradi, che affianchi misure strategiche a provvedimenti molto concreti (vedi rimborsi IVA), facilitando la vita degli imprenditori e offrendo loro un vero partenariato con lo Stato. Dal punto di vista strategico, bisogna costruire percorsi di valorizzazione dell’innovazione a partire dall’individuo, quindi nelle scuole e nelle università, per arrivare alle misure di supporto alle startup, passando per gli incentivi alle persone per fare ricerca e innovazione in Italia piuttosto che all’estero.
Il MISE ha recentemente selezionato trenta esperti per delineare una strategia nazionale blockchain. L’iniziativa è lodevole e le persone selezionate (almeno quelle che io conosco) sono competenti. La vera sfida sarà dimostrare una capacità e una volontà seria della politica di attuare le raccomandazioni che verranno. Considerando la confusione e le contraddizioni evidenziate ad oggi su altri grandi dossier (reddito di cittadinanza, per dirne uno), nonché il clima attuale, fondamentalmente ostile al riconoscimento delle competenze professionali ed accademiche non “allineate”, non sono molto ottimista.
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